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I Sacri Monti

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

È recente la valorizzazione artistica dei Sacri Monti; come per i Compianti quattrocenteschi in terracotta, anche sul complesso dei Sacri Monti pesava il giudizio della critica classicista che li riteneva un esempio di arte locale e popolare, nata da esigenze particolari e devozionali.
Fin dai primi tempi del cristianesimo era vivo nella cultura occidentale la tradizione “topomimetica”, cioè riproporre la topografia di Gerusalemme e dei luoghi legati alla vita di Gesù (si pensi ad esempio alla grande diffusione nel medioevo di chiese a pianta centrale ad imitazione del Santo Sepolcro).
Ciò ebbe un notevole incremento dopo la battaglia di Lepanto (1571) quando svanisce definitivamente la possibilità di riconquistare Gerusalemme. Per necessità il pio esercizio del pellegrinaggio diventa una dimensione “interiore” che sfocerà negli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola.
Si possono individuare due momenti nella genesi dei Sacri Monti, situati soprattutto nell’arco alpino lombardo-piemontese: un primo momento legato alle iniziative e alla spiritualità dei francescani (come già evidenziato per i Compianti) e un secondo di ripresa in coincidenza con la riforma cattolica.
I Sacri monti di Varallo e Varese
Il più antico e più completo è il Sacro Monte di Varallo (Novara), nato per volontà del beato Bernardino Caimi, nato a Milano da ricca famiglia alla metà del XV secolo, entrato giovanissimo nei minori osservanti. Venne mandato presto a Gerusalemme come Vicario generale, di ritorno in Italia ricoprì la carica di priore di Sant’Angelo a Milano e poi divenne Vicario di tutta la provincia lombarda del suo ordine.
Il Caimi aveva un pensiero fisso: importare in occidente Gerusalemme, e per questo cercò in un’area dell’alta Italia, il novarese, un luogo, un monte attorno al quale ricostruire, dettaglio per dettaglio, i luoghi della vita di Gesù. Questo desiderio gli veniva dalla cultura dell’ordine a cui apparteneva e per il quale era impensabile che la fede potesse sopravvivere senza fare i conti con i luoghi originari della sua esperienza religiosa. La potenza contenuta nei segni e nei luoghi non era cosa di cui si potesse fare a meno; bisognava restituirla ai credenti. Un altro avvenimento fu determinante: nel 1478 i Turchi avevano fatto strage ad Otranto e imperversavano nel Mediterraneo, rendendo impossibile i pellegrinaggi in Terrasanta. Così papa Innocenzo VIII autorizzò nel 1486 i francescani a raccogliere offerte per l’impresa che il Caimi stava iniziando: ricostruire Gerusalemme a Varallo. Nel 1493 ebbe inizio il Sacro Monte a partire da due nuclei: la grotta dell’Annunciazione con la cappella della Natività e il Santo Sepolcro, riprodotto con precisione filologica. Nel 1499 alla morte del Caimi erano state realizzate una ventina tra cappelle ed edicole sparse per i boschi di Varallo.
Il geniale continuatore dell’opera del Caimi, colui che ne comprese lo spirito e ne ereditò l’entusiasmo, fu Gaudenzio Ferrari (1475/80-1546), che nel 1517 riprese i lavori a partire dalla cappella della Crocefissione, capolavoro assoluto dove pittura, scultura ed architettura si compenetrano in modo armonioso ed efficace.
Gaudenzio pose mano alle cappelle realizzate dal Caimi, portandole a perfezione: la cappella dei Re Magi (V), quella della Natività (VI), l’Ultima Cena (XX), la Pietà (XL).
Per Gaudenzio l’episodio sacro non è un fatto archeologico, né di pura riflessione intellettuale o formale; esso è un fatto vivente che deve rivivere negli occhi e nell’animo del pellegrino che vi si accosta; proprio per questo le statue sono a grandezza d’uomo e, in un primo tempo, rivestite da veri abiti.
Se il Caimi è stato l’ispiratore del Sacro Monte e il Ferrari l’ideatore artistico, san Carlo ne fu il mecenate.
Quando nel 1578 egli lo visitò ne rimase ammirato e si adoperò perché crescesse e fosse conosciuto. Infatti san Carlo non solo apprezzava l’intento topografico-imitativo dell’originale progetto, ma ne intravedeva anche l’aspetto didattico-catechetico. Il percorso attraverso le cappelle, con la loro forte carica emotiva, coinvolgeva il pellegrino, lo piegava alla “com-passione” ottenendo un rafforzamento della fede minacciata dalle dottrine protestanti, precisando nel fedele le verità del cattolicesimo fino ad invitarlo alla sequela Christi.

Ecco allora che sotto il governo dei due Borromeo, quando vescovo di Novara era Giovanni Bascapè, biografo di san Carlo, si amplia il progetto del Sacro Monte, cambiando anche le modalità espressive e organizzative originarie delle cappelle (ora munite di grate che separano i visitatori dalle statue, con un punto d’osservazione obbligato che concentra la tensione drammatica).

Il complesso si articola in due piazze, dando molto spazio alla Passione-Morte di Gesù; infatti sulla piazza dei Tribunali si affacciano i palazzi in cui sono situate le scene del giudizio di Gesù (Pilato, Erode, Caifa) e della via Crucis. Sono le cappelle in cui si respira un’atmosfera tesa e fortemente drammatica, con effetti teatrali di forte impatto emotivo, nelle quali lavorano i più noti artisti lombardi del tempo, molti dei quali attivi a Milano per le celebrazioni di san Carlo: i pittori Morazzone e Tanzio da Varallo, i plasticatori fiamminghi Tabacchetti e il Prestinari.

Ideato e completato nell’arco del Seicento è invece l’altro complesso unitario e dalla fisionomia ben definita, il Sacro Monte di Varese. Per rendere più agevole la salita al monastero e al santuario mariano che sorge sulla sommità del monte di Velate, alla fine del XVI secolo, si pensò di aprire una via più comoda per i pellegrini.

Accanto alla nuova strada si sarebbe voluto erigere qualche cappella per aiutare la preghiera di chi saliva. Il cappellano del monastero, il cappuccino padre Aguggiari, anche con il consenso e il patrocinio dello stesso Federico Borromeo, diede avvio al grande progetto coinvolgendo l’architetto varesino Giuseppe Bernasconi.

Il percorso, che si snoda su per il monte, comprende quattordici cappelle (sono ben 43 quelle di Varallo!) nelle quali sono rappresentati i misteri del Rosario: Misteri gaudiosi, dolorosi e da ultimo gloriosi, costituendo il santuario stesso l’ultima cappella.
Tra gli artisti più noti menzioniamo i già citati Morazzone, Prestinari, ai quali si aggiungono una serie numerosa di artisti lombardi quali i plasticatori Dionigi Bussola e Francesco Silva e i pittori Recchi e Legnani.
I Sacri Monti meno conosciuti
Area piemontese
Tutti gli altri Sacri Monti sono ancor oggi poco noti, ma meritano comunque attenzione, in attesa di una maggiore valorizzazione.
In area piemontesi si trovano: Orta, Oropa, Crea, Domodossola, Arona, Valperga Canavese.
Il Sacro Monte di Orta nasce per volontà popolare; infatti posta la prima pietra del convento dei francescani cappuccini nel 1590, l’anno successivo si mise mano alla serie di cappelle che dovevano mostrare la vita di san Francesco. A dirigere i lavori fu chiamato padre Cleto da Castelletto Ticino, già allievo del Pellegrini. Le cappelle, 20, sorgono in un bellissimo bosco dal quale si ammira il panorama del lago d’Orta; la vita di san Francesco, dalla nascita fino alla morte e ai miracoli, è presentata in chiave controriformistica e a gloria della Chiesa. Vi lavorarono valenti artisti: i pittori Morazzone, Nuvolone e Procaccini e i plasticatori Bussola e Prestinari.
Situata a 1180 metri nelle prealpi biellesi, Oropa è un centro religioso molto vivace, tanto che la notorietà del suo santuario ha sempre messo in secondo piano il Sacro Monte.
Attorno al 1620 un francescano, padre Fedele di San Germano, che serviva nel santuario, promosse la costruzione di 19 cappelle aventi per tema la vita della beata Vergine Maria.
Le cappelle del Sacro Monte di Oropa sorsero tutte nell’arco di un secolo, con i proventi delle offerte che man mano giungevano; si possono dividere in due gruppi: dodici dedicate alla vita della Madonna, lungo la costiera a occidente del santuario e sette, dedicate a diversi santi, sparse nei dintorni.
Il Sacro Monte di Crea fu iniziato verso il 1590, accanto ad un santuario dedicato a Maria di antichissima origine. Furono i Canonici lateranensi ad adoperarsi perché si ripetesse l’esperienza di Varallo e Orta, creando un percorso che illustrasse i Misteri del Rosario. Il progetto iniziale subì diverse trasformazioni, fino ad arrivare alle attuali 23 cappelle e 5 romitori che, partendo dal santuario, offrono uno spunto di meditazione e riflessione per i pellegrini.
I romitori sono una caratteristica propria di Crea: si tratta di tabernacoli con nicchia dedicati ai santi. Tra gli artisti più noti menzioniamo Giovanni Tabacchetti, che qui fu anche architetto, tra i pittori i fratelli Fiammenghini e il Moncalvo. La più suggestiva tra tutte è l’ultima cappella detta del Paradiso: contiene numerosissime statue con un particolare effetto scenografico.
Promotori del Sacro Monte di Domodossola furono ancora una volta i frati cappuccini. Nel 1656 due frati, Gioacchino di Cassano e Andrea da Rho, durante un quaresimale tenuto nella collegiata di Domodossola, cercarono di entusiasmare i fedeli per il progetto di un Sacro Monte del Calvario. Il popolo, il clero e i notabili della cittadina si entusiasmarono all’idea e nell’estate dello stesso anno erano già state piantate le 14 croci presso le quali sarebbero state innalzate le cappelle nelle quali si volevano illustrare i misteri della Passione, completati da un santuario dedicato al crocifisso. Nel 1659 il santuario, alla cui costruzione presiedeva il maestro Tommaso Lazzaro di Val d’Intelvi era così a buon punto da poter essere aperto al culto, mentre le cappelle furono realizzate con maggior lentezza.
Grande impulso al complesso fu dato da Rosmini, che si stabilì quassù per dare vita all’Istituto della Carità.
Ad Arona, poco distante da Domodossola, luogo di nascita di san Carlo, fu costruito nel 1614, ad opera del cugino Federico Borromeo, un Sacro Monte che, in 15 tappe racconta la vita del santo vescovo milanese. Il progetto non fu portato a termine; ora rimangono solo la chiesa del Richini, il Seminario, e la colossale statua di san Carlo (detto “San Carlone”), alta 23 m, visibile da tutto il lago, simbolo della “statura” morale e religiosa di uno più importanti riformatori del periodo tridentino.
Da ultimo segnaliamo il Sacro Monte di Belmonte a Valperga Canavese. Presso l’antichissimo santuario mariano fu costruito nel Settecento (1712) un Sacro Monte dedicato alla Passione di Cristo in 13 cappelle. Il luogo è particolarmente suggestivo, ma purtroppo non tutte le cappelle conservano i gruppi statuari e gli affreschi originari.

Area lombarda
Quasi a corona difensiva della pianura padana dalle dottrine protestanti, anche in Lombardia troviamo alcuni Sacri Monti: Ossuccio e Cerveno.
Fin dai tempi antichi la pietà popolare ha venerato la statua marmorea della Madonna con il Bambino ritrovata nei sulla montagna prospiciente Ossuccio, un paese del lago di Como. Attorno al 1635, ma non è chiaro il motivo, venne iniziata la costruzione di un Sacro Monte di 14 tempietti, con gruppi raffiguranti i misteri del Rosario, che doveva accompagnare la salita al santuario della Madonna del Soccorso. Ad Ossuccio la fusione tra ambiente naturale e soluzioni architettoniche è tra le più felici che si siano realizzate in opere analoghe. La progettazione generale pare debba attribuirsi al plasticatore Agostino Silva da Morbio (1620-1706), il cui padre aveva partecipato alla fabbrica del Sacro Monte di Varese, ma il complesso si concluse, con esiti artistici molto diversi, verso la fine del XVII secolo.

Nella panoramica dei Sacri Monti, la Via Crucis di Cerveno rappresenta un caso anomalo. Il Sacro Monte, in genere, consta di un percorso pellegrinante, attraverso tappe e cappelle, che si snoda lungo le pendici di un monte, un movimento ascensionale che invita alla personale ascesi e conversione di chi lo intraprende.
Quello di Cerveno si discosta per diversi motivi: si trova in Valcamonica, zona appartata all’epoca della costruzione della Via Crucis, non meta significativa di pellegrinaggi; il complesso è tutto al chiuso: lungo una Scala si aprono cappelle con i momenti della Passione e da ultimo il materiale usato è il legno e non la terracotta.

Nel 1750 il parroco di Cerveno, don Giovanni Gualeni, dette avvio alla Fabbrica della Via Crucis. Il lavoro, in un primo tempo affidato al Fantoni, fu poi dato al meno noto Beniamino Simoni. Ciò che colpisce è il crudo realismo dei personaggi, quasi Simoni avesse preso a modelli i contadini e i montanari di quella valle aspra ed isolata, in un estremo tentativo di immedesimazione e contemporaneità dell’evento sacro. Giovanni Testori scrisse pagine memorabili su quest’ora, ancor oggi interessanti per le osservazioni critiche e l’afflato poetico di cui sono pervase.
Il Simoni, per dissapori con il parroco, non portò a compimento l’opera, conclusa poi dai Fantoni; egli lavorò alle cappelle I, II, III, V, VI, X, XI, XII, XIII.

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