Uccidere Inès nel nome del diritto!
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Ritorno sulla notizia riguardante la giovane Ines (QUI e QUI), ennesima vittima dell'ideologia dei "diritti umani". Il 27 gennaio di ogni anno ricorre la giornata della memoria della Shoà e desidero porre alla vostra conoscenza questi passi tratti dal saggio "Le origini del totalitarismo" (1951) di Hanna Arendt, filosofa esule ebrea scampata all'olocausto, in cui si spiegano i motivi dell'ascesa totalitaria di Hitler. Il suo pensiero è illuminante e attualissimo:
L'identificazione del diritto con l'utile diventa inevitabile una volta svanita l'autorità dei criteri assoluti e trascendenti della religione o del diritto naturale. […] È perfettamente concepibile, e in pratica politicamente possibile, che un bel giorno un'umanità altamente organizzata e meccanizzata decida in modo democratico, cioè per maggioranza, che per il tutto è meglio liquidare certe sue parti. Qui, a contatto col reale, ci troviamo di fronte a uno dei più antichi dubbi della filosofia politica, che è potuto rimanere nascosto finché una solida teologia cristiana ha fornito la cornice per tutti i problemi politici e filosofici, ma che già a Platone aveva fatto dire: "Non l'uomo, ma un dio deve essere la misura di tutte le cose".
Il Dio, misura di tutte le cose, non è uno qualunque, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che ci ha creati tutti a sua immagine e somiglianza e che in Gesù Cristo ci ha resi figli adottivi del Padre: la dignità e l'uguaglianza dell'uomo hanno qui le loro basi.
Se, invece, il consenso democratico pretende di togliere, o creare, i diritti ad alcune categorie di uomini, con la scusa del bene o dell'utile per la maggioranza della società, allora la Costituzione è tradita e la democrazia diventa totalitaria e nessun essere umano è al sicuro. Per rendersene conto, basta leggere i "ragionamenti" dei massimi bioeticisti contemporanei:
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"Non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone umane" [T.H.Engelhardt, Manuale di bioetica].
" "Non è un caso che i problemi morali di fine vita siano simili a quelli dello stabilire l'inizio della vita personale. In entrambi i casi vengono meno i requisiti che rendono le persone tali. Chi è a favore dell'eutanasia nel caso del coma irreversibile lo è in genere proprio perché accoglie la possibilità che una persona possa perdere quelle caratteristiche che la rendevano tale e tornare ad essere 'solo' un essere umano" [Chiara Lalli, docente di Logica e Filosofia della Scienza Università "Sapienza" di Roma].
Traduzione: l'uomo, in quanto tale, non è degno di tutela e lo si può uccidere. La risposta contenuta nel saggio della Arendt è da brividi:
La concezione dei diritti umani è naufragata nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana. […] I superstiti dei campi di sterminio, gli internati dei campi di concentramento e gli apolidi hanno potuto rendersi conto che l'astratta nudità dell'essere-nient'altro-che-uomo era il loro massimo pericolo.
Prosegue la Arendt:
Il loro distacco dal mondo, la loro estraneità sono come un invito all'omicidio, in quanto che la morte di uomini esclusi da ogni rapporto di natura giuridica, sociale e politica, rimane priva di qualsiasi conseguenza per i sopravviventi. Se li si uccide, è come se a nessuno fosse causato un torto o una sofferenza.
Ditemi voi, se queste parole non si adattano bene a tutti i bimbi abortiti, ad Eluana Englaro, al piccolo Charlie Gard e alla giovane Ines…
Illuminanti sono le parole del Cardinale Caffarra: "L'affermazione pura e semplice dell'umanità di ogni individuo, come base sufficiente della dignità propria di ogni individuo è l'affermazione su cui si gioca il futuro della nostra civiltà umana".
Nella visione relativista, però, il diritto non è più teso alla ricerca del bene, perché definire migliore una posizione piuttosto che un'altra significherebbe assumere un giudizio di valore che lo Stato laicamente neutro non può permettersi. Pertanto, il diritto non si fonda più sulla legge naturale, ma sul consenso della maggioranza nel rispetto formale delle regole. Nella visione relativista e liberale, quindi, "i diritti umani non precedono più la decisione dell'uomo, la decisione della maggioranza, la decisione del potere, ma ne sono emanati… cosicché i diritti umani non esistono" [Card. Canizares Llovera]. Ma se i diritti umani non esistono cosa ci sta a fare la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo? E qui torna evidente l'importante riflessione del filosofo Marcello Pera, nel suo libro "Diritti umani e cristianesimo":
Una volta proclamati ed inseriti in una Carta, i diritti umani assumono la veste di un Giano bifronte: istanze morali da un lato e norme legali (tipicamente costituzionali) dall'altro. Mentre la faccia morale ed astratta richiede riconoscimento, quella legale e concreta che soddisfa la domanda richiede interpretazioni e sanzioni. Come ha scritto una studiosa "se i diritti devono diventare qualcosa di più di scudi di carta, allora occorre che alle corti - nazionali ed internazionali - sia concesso il potere e l'autorità di sviluppare questo processo".
È noto che le Corti di giustizia nazionali ed internazionali si sono offerte di buon grado per assolvere il compito, ma con il risultato di creare diritto anziché solo applicarlo. Ciò è inevitabile: il giudice che legga "non sopprimere la vita" usa molti più giudizi di valore del giudice che legga "non calpestare le aiuole" data la tessitura molto aperta della nozione di vita.
Questo fenomeno provoca un paradosso: considerati come diritti non-positivi, i diritti umani finiscono per diventare positivi per altra via. Come se Giano perdesse la faccia morale a vantaggio di quella solo legale. Si realizza, in modo diverso, quello contro cui Pio IX aveva scagliato un suo anatema: lo Stato diventa fonte di tutti i diritti. Ciò che è inerente alla persona, e dunque per definizione non è nella disponibilità dello Stato, finisce col dipendere da ciò che di volta in volta è deciso da un organo dello Stato o sovra-statale. Nati come scudo protettivo contro l'interferenza dello Stato, i diritti umani diventano l'arma positiva dello Stato che perfora lo scudo.
Marcello Pera propone l'esempio del diritto all'aborto, ma il ragionamento vale per ogni diritto:
Si consideri il caso dell'aborto. Come nasce questo "diritto"? Tramite una serie di passaggi ciascuno dei quali, presentandosi come una prosecuzione logica del precedente, ha una forza irresistibile. Si comincia con il diritto alla vita. Chi ha diritto alla vita ha diritto a una vita degna o ad "una vita veramente umana", come dice il cap. 26 di GS; chi ha diritto ad una vita veramente umana ha in primo luogo il diritto a che non sia ostacolata da interferenze altrui; chi ha diritto ad una vita non ostacolata ha diritto ad auto-determinarsi; e chi ha diritto ad auto-determinarsi ha diritto a rimuovere gli ostacoli che possono limitarlo. A quel punto, interviene un parlamento o una corte giurisdizionale a riconoscere che una madre, la quale ritenga che un figlio ostacoli la sua vita fisica, sociale e morale, ha diritto ad abortire. E così si produce l'autofagia: il diritto alla vita finisce con l'implicare il diritto alla soppressione della vita; in generale il diritto alla dignità della persona finisce con implicare il diritto alla distruzione della persona.
[…] È la "sorprendente contraddizione" di cui parlava Giovanni Paolo II: gli stessi diritti umani intesi per proteggere la persona finiscono col minacciarla. Perché allora proclamare i diritti umani in forza del Vangelo? Perché vedere nell'evoluzione dei diritti umani l'opera dello Spirito di Dio?
È giusto commemorare le vittime della Shoà, ma non accorgersi che gli attacchi alla dignità ed alla vita umana, oggi, sono di una ferocia "da pugno di ferro in guanto di velluto", dà un'idea di quanto l'aberrante ideologia totalitaria dei "diritti umani" abbia lobotomizzato i nostri cervelli.
San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia!
Andrea Mondinelli