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L'accanimento terapeutico e il cavallo di Troia

Autore:
Andrea Mondinelli
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Il cristianesimo ha alterato l’anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia.» [S. Natoli, I Nuovi pagani, Il saggiatore, Milano, 1995]

Ieri sera mi è venuto in mente di rileggere alcune pagine del libro “Il diritto di morire” di Umberto Veronesi, pubblicato nel 2005.
Rileggendo le pagine di Veronesi, mi sono reso conto di quanto è positivo confrontarsi con una persona che sia franca nel suo modo di ragionare. Veronesi non si nascondeva dietro un dito, ma diceva chiaramente di essere favorevole all’eutanasia, senza trincerarsi dietro i giochi di parole dell’accanimento terapeutico come fanno i Gesuiti (QUI e QUI) ed i giornalisti turiferari (QUI).

Leggete le chiare parole del dott. Veronesi a proposito dell’accanimento terapeutico (pag. 47 e seg.):

Laici, cattolici, giuristi, eticisti sono tutti contrari all’accanimento terapeutico, ma nessuno sa definire in modo preciso che cosa esso sia. Io sono dell’opinione che “accanimento terapeutico” sia già per definizione, un paradosso [più che paradosso lo definirei ossimoro Ndr], perché “accanirsi” significa “infierire”, esprimere con rabbia un’aggressività. Come può legarsi con “terapeutico”? Sono due contrari. Però tutti l’hanno l’hanno subito accettato. Il comune terreno d’intesa è il terrore di soffrire. Ma se entriamo nel contesto e nel merito e prendiamo in esame il malato terminale, vediamo che pensare all’accanimento terapeutico nel malato terminale è fuori dal tempo storico. Oggi il malato terminale è soggetto a tutta quell’area delle terapie palliative che è diventata la frontiera avanzata della medicina contro il dolore. Pensare che qualcuno si accanisca contro il malato terminale è fuori da ogni mio pensiero e dalla realtà della medicina di questo momento.


Parole che devono far riflettere i soloni cattolici che hanno sostenuto la legge sulle DAT in nome dell’opposizione all’accanimento terapeutico. Prosegue Veronesi:

Ma c’è un altro problema molto serio e non abbastanza considerato: in quali casi un malato grave, anche gravissimo, ma non terminale, è ancora suscettibile di cure, può essere recuperato? […] E qui interviene spesso un atteggiamento che mi preoccupa, perché molti chirurghi e molti medici si ritraggono o sconsigliano un intevento impegnativo, non per paura di fare dell’accanimento terapeutico sul paziente, ma per paura dell’insuccesso. Se la probabilità di successo è del 20%, il chirurgo sa che nell’80% dei casi si ritroverà sotto accusa; l’accusa che gli sarà rivolta sarà proprio quella di essersi ostinato a torto, sarà proprio quella di “avere fatto accanimento terapeutico”. Perciò, quando si cita l’accanimento terapeutico, io sono solito raccomandare maggiore riflessione. Perché continuare a rivolgere ai medici il monito di non insistere nelle cure può creare il rischio di scivolare nella direzione opposta: dissuadere da interventi che sono invece necessari.


Più chiaro di così… si muore. Scherzi a parte, Veronesi ha ragione. Ma allora perché questo continuo appello contro l’accanimento terapeutico? A che scopo? La risposta è semplice. Siccome la definizione di “accanimento terapeutico” è molto labile e, scusate il gioco di parole, indefinita allora la si può tirare e stirare a piacimento fino alle estreme conseguenze. Leggete cosa scrive Veronesi, ovviamente favorevole all’eutanasia (pag. 57):

La prima forma di eutanasia, definita attiva, è l’atto di procurare la morte con mezzi idonei a non far soffrire. La seconda forma di eutanasia, definita passiva, consiste nella sospensione delle terapie e dei trattamenti atti a prolungare la vita. Secondo il prof. Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica all’università di Bari, l’eutanasia passiva praticamente non esiste, perché coincide con la sospensione delle cure inutili che sono definite accanimento terapeutico.


Ossia, l’eutanasia passiva sfuma tutta nell’accanimento terapeutico. Dicono accanimento, ma è eutanasia…
Nel leggere Salvatore Natoli, mi si è accesa una lampadina. Dove l’avevo già sentito? Qualche giorno fa la NBQ aveva pubblicato un bellissimo articolo (QUI) sul Beato don Carlo Gnocchi e il suo testamento spirituale: il grandioso libricino dal titolo “Pedagogia del dolore innocente”.
Cosa c’entra Natoli con don Gnocchi? Nulla, che sono come il diavolo e l’acqua santa. Per Natoli, una soluzione all'inevitabilità del dolore può essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo (QUI):

«Il cristianesimo ha alterato l’anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia.» [S. Natoli, I Nuovi pagani, Il saggiatore, Milano, 1995]


Eppure nella nuova edizione di “Pedagogia del dolore innocente” edizioni San Paolo (QUI), vi è pubblicata una riflessione sul dolore di Natoli, che è esattamente opposta a quanto scritto da don Gnocchi. Per inciso, lo scritto del Beato Carlo è di 35 pagine, quello del neo pagano Natoli è lungo ben 43 pagine.
Impertinente domandina finale.
Non è che Salvatore Natoli, così ben voluto dalle Edizioni San Paolo, per quanto riguarda il concetto di accanimento terapeutico sia anche il maître à penser dei Gesuiti di Aggiornamenti sociali e della Civiltà Cattolica?
San Michele arcangelo, difendici nella battaglia

Andrea Mondinelli

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