Condividi:

Ribellarsi è un’arte

Autore:
Giovanni Lazzaretti
Fonte:
Taglio Laser, La Voce di Reggio, 9 ottobre 2017
Piccola proposta: «Le scuole materne paritarie dell’Emilia Romagna promuovono la sana educazione dei vostri figli. Non si occupano di “polizia sanitaria”. Nessuna segnalazione all’AUSL per i bambini senza vaccinazioni»

Un cartello al quinto piano dell’Ospedale di Reggio: «Il Servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna tutela e cura la salute. Nessuna denuncia all’Autorità Giudiziaria di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno».
Nel 2009 era in fase di proposta una norma che avrebbe imposto ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che fossero venuti a curarsi. La contestazione dei medici fu dura e ben supportata dai loro Ordini. Fu una “ribellione sensata” contro un “governo sensato”.
Il governo di allora era un “governo sensato” in quanto espressione di una maggioranza parlamentare che corrispondeva, più o meno, alla maggioranza degli elettori. E la protesta era anch’essa “sensata”, perché non è pensabile un medico che prima si prodiga per curare e poi prende il telefono per denunciare.
Ma non tutte le ribellioni sono sensate: penso alla manifestazione “Se non ora quando”, febbraio 2011, nata «sull’onda dell’indignazione del mondo femminile verso un presidente del Consiglio che con le sue politiche e la sua condotta ledeva pubblicamente la dignità delle donne». Poi andavi a vedere in piazza e ci trovavi tutte le componenti che avevano contribuito alla sessualizzazione dell’Italia, comprese alcune attricette molto libere nel mostrare lato A e lato B con dovizia di particolari.
Nel marzo 2011 ci fu la “non ribellione” per l’attacco alla Libia. Piazza muta nonostante ci fossero tutti gli elementi per scatenare le “bandiere della pace”: bombardamenti americani in combutta col governo Berlusconi. Invece, silenzio: evidentemente i missili lanciati dal premio Nobel Obama avevano una “valenza etica” che a me sfugge.
Poi ci fu la “ribellione parlamentare” che sfociò nel novembre 2011 nella caduta del governo Berlusconi. O meglio, del governo Tremonti che stava per proporre la legge di separazione bancaria. Fu una ribellione insipiente a servizio della finanza internazionale, e inaugurò la “rosea” era del governo Monti.
Ci furono le ribellioni sensate del Family Day (giugno 2015, gennaio 2016). Di fronte però avevano un governo insensato, fatto di transfughi del centrosinistra e del centrodestra, con una maggioranza parlamentare priva di relazione con una maggioranza elettorale. Cosa volete che importi la piazza a un governo che sopravvive attraverso accordi tra minoranze?

***



Insomma, ribellarsi in modo sensato è un arte. Ma mi sembra che la gente sensata abbia sempre meno voglia di reagire, sempre più assuefatta a lasciarsi vessare da un governo senza autorità. E chi non ha autorità, d’istinto diventa autoritario.
Prendete il caso delle vaccinazioni obbligatorie. Ricordiamo innanzitutto che non c’è correlazione tra l’obbligo di vaccinazione e il tasso di copertura della popolazione che si dovrebbe vaccinare. Per questo motivo le obbligatorietà sono estremamente variegate nei paesi europei: una buona politica di formazione e di convincimento può valere più di una politica coercitiva.
L’antipolio, ad esempio, che per noi è “la” vaccinazione per eccellenza, in Svezia è solo raccomandata. E comunque 15 stati europei non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria.
In Italia abbiamo avuto lunghi anni di “svaccatura medica”: il certificato vaccinale, che un tempo si doveva presentare iscrivendosi alla materna, venne abolito. Abolito in Emilia Romagna anche il certificato per il ritorno a scuola di bambini con assenze lunghe per malattia (così arrivano a scuola materna bambini col naso moccolante e con la febbre tenuta a bada dalla tachipirina, ma che i genitori ritengono “guariti”).
Improvvisamente, complice qualche caso mediatico enfatizzato, al governo (come si dice oggi) “parte l’embolo”: batte i pugni, vuole la “scelta di civiltà” di 12 vaccinazioni obbligatorie, minaccia multe fino a 7500 euro e anche la revoca della patria potestà. Che la questione non abbia i contorni ben chiari lo dimostra il fatto che le vaccinazioni vengono poi ridotte a 10, le multe calate e la faccenda della patria potestà viene accantonata.
Ma resta comunque in essere una metodologia vessatoria, quella che coinvolge le scuole.
Prima dell’inizio dell’anno scolastico nelle materne i genitori dovevano recapitare una liberatoria (autocertificazione o copia del libretto di vaccinazione). Già questo la dice lunga su un governo che non ha idea di come funzioni una famiglia: pochissimi sono informati della faccenda, i più ignorano il nuovo adempimento e lo apprendono solo quando inizia la scuola.
Nel frattempo la Regione manda a casa una certificazione da consegnare alle scuole. Arriva divisa in due fogli: uno col nome del bambino, uno con la certificazione. Il grosso delle famiglie butta il primo foglio nella raccolta differenziata e consegna solo il secondo, senza accorgersi che lì il nome del bimbo non c’è.
Le autocertificazioni, pur col modulo già tracciato, vengono consegnate nelle maniere più fantasiose: senza firma, senza compilazione alcuna, barrando una cosa e il suo contrario. Essendo però da consegnare in busta chiusa per non so quali motivi di privacy, le scuole si accorgono degli errori solo al momento della successiva apertura.
Ve la faccio breve. Da questo lungo lavoro coatto di raccolta, catalogazione, segnalazione di errori, dovrebbe emergere il gruppetto dei “non vaccinati”. Di questi non vaccinati la scuola dovrebbe dare comunicazione alla AUSL.
«Con la presente si comunica che, non avendo ad oggi ricevuto dai Voi l’idonea documentazione codesto Istituto provvederà a segnalare tale inadempimento all’AUSL territoriale competente, affinché provveda a quanto di propria competenza».
Quando leggo queste frasi in “burocratichese”, mi innervosisco. In pratica questo lungo lavoro coatto serve a segnalare alla AUSL quello che l’AUSL sa già: chi sono i bambini non vaccinati. E se li voleva conoscere divisi per scuola, bastava che incrociasse i dati vaccinali con le liste dei bambini iscritti che sono a loro disposizione a semplice richiesta.
Perché questo lungo giro? Perché il governo non ha autorità, e così deve ricorrere al ricatto. Un tempo, quando estesero l’obbligo scolastico alle medie, per tanti figli di contadini era un dramma e stavano a casa. Lo Stato, che aveva creato l’obbligo, aveva il coraggio e l’autorità di mandare i carabinieri a casa. Otteneva che i ragazzi andassero a scuola? No, non l’otteneva, ve lo posso testimoniare. Ma lo Stato comunicava l’idea che la questione era seria, e le famiglie, da lì in poi, avrebbero dovuto tenerne conto.
Adesso lo Stato non ha il coraggio di mandare a casa i carabinieri per l’obbligo vaccinale. Preferisce assegnare il ruolo di “polizia sanitaria” alle scuole, con la minaccia ricattatoria dell’espulsione dei bambini.
Ora, se il Dirigente Scolastico di Stato vuole comminare espulsioni (per lui l’espulsione è un pezzo di carta, mica conosce le famiglie e i bambini) faccia pure. Ma dalle scuole paritarie mi sarei aspettato una ribellione collettiva. Con un cartello simile a quello del quinto piano dell’ospedale.
«Le scuole materne paritarie dell’Emilia Romagna promuovono la sana educazione dei vostri figli. Non si occupano di “polizia sanitaria”. Nessuna segnalazione all’AUSL per i bambini senza vaccinazioni».
Uno Stato serio quando impone un obbligo si struttura per sanzionarlo con le forze stipendiate che ha a disposizione. Se non le ha, si limita a promuovere una crescita culturale senza atteggiarsi a dittatorello improvvisato.
Cosa otterrà infatti? O bambini vaccinati contro la volontà delle famiglie, famiglie che perderanno ancor più la stima per lo Stato. O bambini espulsi e non vaccinati. In ogni caso un regresso culturale e relazionale enorme. E le scuole paritarie avranno perso l’occasione per “ribellarsi con arte”.

Giovanni Lazzaretti

Vai a "Ultime news"