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Tutti hanno il diritto di emigrare, nessuno ha il diritto di immigrare

Autore:
Giovanni Lazzaretti
Fonte:
Taglio Laser, La Voce di Reggio, 11 settembre 2017
E’ più probabile che l’obiettivo sia il “piano Soros>”...

Quando si cerca di ragionare con l’uso della logica e l’apporto della dottrina si può dare l’impressione di essere insensibili, cinici e di cuore freddo. Impressione legittima. Ma è, appunto, un’impressione. L’alternativa al ragionamento è lasciarsi trasportare dalle emozioni. Le emozioni viaggiano principalmente con le immagini. Le immagini sono veicolate dai media. I media sono controllati da qualcuno. Questo qualcuno usa bene la logica, ma di solito è una logica perversa. Ecco quindi che le emozioni sono al servizio del ragionamento altrui. Meglio usare la propria testa, qualunque sia l’impressione che faremo agli altri.

Chiudevo la scorsa puntata descrivendo i flussi migratori come una sorta di “cartolarizzazione della carne umana”: “lor signori” radunano affamati, migranti economici, gente che fugge da guerre, persecuzioni, dittature, terroristi, malviventi. Impacchettano il tutto. Suddividono in flussi. Gestiscono i flussi. Nessuno Stato può discernere di primo acchito cosa c’è dentro la “quota” che gli arriva in casa: deve trattenere, alloggiare, nutrire, esaminare, innescando un enorme giro d’affari, tutto a scapito della popolazione residente. Vediamo allora di ripercorrere i princìpi generali: solo così sapremo come muoverci.
Per agire occorre avere le idee chiare sul bene comune: la contemplazione della realtà ti dà il punto di partenza, le idee chiare ti danno il punto di arrivo, l’azione politica variegata e mediata creerà una strada per portare la realtà verso il bene comune.

Primo principio: «Ogni persona innocente ha il diritto di emigrare». Sono certamente Stati totalitari quelli che impediscono alle loro popolazioni di varcare i confini; la regola vale ovviamente solo per l’innocente, mentre il colpevole potrà emigrare solo dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. Oppure può essere “estradato”, cosa diversa dall’emigrazione.
Stabilito questo principio, occorre ricordare che c’è un principio a monte: «Ogni persona innocente ha il diritto a NON emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria». In pratica non dovrebbe mai esistere una situazione come il Regno d’Italia che in 55 anni costrinse all’emigrazione 19 milioni di persone. Il diritto a emigrare non corrisponde però a un diritto a immigrare. Ho il diritto di bussare alle porte di un altro Stato, ma spetta allo Stato decidere se può farmi entrare: «ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana». Questo mix di “diritto a bussare alla porta” e contemporaneo “diritto a non aprire la porta” chiarisce che non esiste un “diritto all’immigrazione clandestina” né un “dovere generico di accoglienza”. Certamente esistono casi particolari che creano un diritto più forte a bussare: fame, guerra, persecuzione, calamità naturali, disordini sociali. In questo caso le persone hanno il diritto di essere accolte da qualche parte, ma questo non significa che ogni Stato sia in condizioni di accoglierle: una comunità di Stati che fosse davvero tale individuerebbe i luoghi più idonei per dare sostegno alle persone in situazioni di emergenza.

In ogni caso ciò che ho descritto fino a questo punto riguarda l’emigrazione della singola persona, un singolo caso umano o familiare che lo Stato di immigrazione può esaminare e vagliare: un nigeriano di Maiduguri può dire che vuole fuggire dalle persecuzioni di Boko Haram, un nigeriano di Lagos non può dirlo; un siriano di Aleppo fugge dalla guerra, un siriano di Damasco è meno credibile; un africano che arriva in aereo in Italia con visto turistico potrà trasformarsi in un “richiedente asilo”, ma non potrà dire che fugge dalla fame. Eccetera. E’ quindi escluso che si possa accettare un traghettamento informe su barconi: possono muovere la nostra pietà per lo spazio di un’ora quando vediamo gente annegata nel Mediterraneo, ma questa melensa pietà televisiva non deve essere trasformata in accettazione di un crimine.

«Ma ci sono donne incinte, ci sono bambini…» Ma certo. E il bene comune per donne incinte e bambini è che NON siano sopra barconi in balia del mare. E’ paradossale che per il naufragio del 3 ottobre 2013 di fronte a Lampedusa siano indagati solo i sei uomini del peschereccio Aristeus, a parte lo scafista Khaled Ben Salem già condannato. Ben Salem intervistato nel 2014 dal TG2 disse questa frase, in discreto italiano: «Io sono responsabile, però non è colpa mia». Frase apparentemente strana, ma vera: lui guidava il barcone, ma la colpa è di altri, che non saranno mai individuati e processati. E la colpa non è nemmeno del peschereccio Aristeus, che potrà avere delle responsabilità, ma non certo la colpa di 368 morti, 20 presunti dispersi, 155 superstiti di cui 41 minori, quasi tutti non accompagnati, in massima parte eritrei.

E quindi la colpa di chi è? In primis è di Sarkozy, Cameron, Obama, Frattini, Napolitano e compagnia bella che distrussero la Libia: il barcone poté partire da Misurata perché la Libia di Gheddafi non c’era più. E poi è della comunità internazionale che si preoccupa di abbattere Gheddafi e lascia in vita il regime eritreo in cui è in vigore «il servizio nazionale obbligatorio in maniera indefinita prevedendo che tutti gli uomini e le donne adulte debbano essere a disposizione dei programmi di lavoro previsti dallo Stato fino all'età di 40 anni, più spesso fino ai 50 o anche 55». E infine la colpa è delle organizzazioni criminali e/o pseudo-umanitarie che sfruttano le situazioni per creare i “flussi”. Il quadro attuale è: immigrazione clandestina selvaggia. L’obiettivo ideale è: ognuno possa prosperare a casa propria, l’emigrazione sia una scelta e non una necessità. E qui occorre avere delle linee di azione. Innanzitutto è necessario il blocco dei flussi migratori, con la fermezza di Orban per la via di terra (barriere fisiche) o con un po’ di intelligenza italica per la via di mare (firma obbligatoria per le ONG e un po’ di accordo coi ruderi della Libia). La cessazione dei flussi è la precondizione: ognuno sta a casa sua e si parte con identificazioni e motivazioni vagliate alla partenza, non all’arrivo: se uno riesce a scappare dall’Eritrea deve trovare accoglienza immediata al di là del confine. E poi agire perché ognuno possa prosperare nella sua terra. Poiché Gheddafi c’era riuscito perfettamente (massimo benessere africano, occupazione piena, migrazione zero, debito inesistente, grandi opere pubbliche) logica vuole che ci si possa riuscire ancora. Gheddafi è un leader da imitare, anche per l’originalità affascinante delle sue idee: metodi unici, da copiare per tutta l’Africa. Infine scegliere gli emigrati. Che senso ha che un filippino cattolico vada a lavorare in Arabia Saudita e un marocchino islamico venga a lavorare in Italia? Non sarebbe molto più facile l’integrazione se le due opzioni venissero scambiate? Sempre che l’integrazione sia davvero un obiettivo.

E’ più probabile che l’obiettivo sia il “piano Soros”: (1) Ogni anno centinaia di migliaia di immigrati devono essere trasferiti nel territorio dell'Unione Europea dal mondo musulmano (2) Ciascuno di essi deve ricevere un importo di 15.000 euro in modo da mantenere un flusso continuo; nella terminologia degli euroburocrati è chiamato “fattore di attrazione” (3) I migranti devono essere distribuiti tra i paesi europei nell'ambito di un meccanismo obbligatorio e permanente (4) Deve essere istituita un'Agenzia europea per l'immigrazione che prenda tutti i poteri decisionali svuotando di ruolo gli stati nazionali. Questo è il Piano Soros. Chi ha a cuore l’Italia e l’Europa si opponga.

Giovanni Lazzaretti

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