Il coraggio di fermare l’arroganza ... di Avvenire
La falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore”.
Gli pseudo-cattolici, come il prof. D’Agostino presidente dei giuristi cattolici, sono gli avversari più pericolosi per la difesa della vita umana senza “se” e senza “ma”. Parafrasando il titolo del solito Avvenire, occorre avere “il coraggio di fermare la loro arroganza”. D’Agostino è molto suadente, mescola la verità con la menzogna con il risultato che, come scrive Chesterton nel suo “Tommaso d’Aquino”, “La falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore”. D’Agostino, nel suo articolo (QUI), prima definisce l’accanimento terapeutico:
“Per accanimento intendiamo una pratica medica futile, sproporzionata rispetto alla situazione clinica del malato, avventurosamente sperimentale, capace di generare nel paziente più sofferenze che benefici, incapace di sottrarlo all’inevitabile progredire letale della sua patologia, supportata da tecnologie invasive, gravemente onerose e da un uso di macchine capaci sì di sostituire funzioni biologiche assolutamente compromesse (cardiache, respiratorie, renali) e di garantire quindi la sopravvivenza del malato, ma non di riportarle a una loro normale, anche se ridotta, funzionalità”
La definizione di D’Agostino, applicata alla ventilazione di Charlie, è maliziosa perché mescola verità e falsità, ottenendo un cocktail mortale che un cattolico non ben preparato potrebbe facilmente bere con esiti nefasti.
Vediamo, invece, la definizione contenuta nel documento della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede “Iura et bona” (qui). È una citazione un po’ lunga, ma necessaria per evitare gli inghippi dell’estrapolazione fittizia delle citazioni:
L’USO PROPORZIONATO DEI MEZZI TERAPEUTICI. […] Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o utili.
Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi “straordinari”. Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi “proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali.
Per facilitare l’applicazione di questi principii generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni:
- In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità.
- È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi [di cui al punto precedente NDR], quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.
- È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività.
- Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una persona in pericolo.
Punti molto interessanti e taluni pure sorprendenti, vero? È lecito ricorrere ai mezzi ancora allo stadio sperimentale! È lecito interromperli, “ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari”! È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire! Inoltre, a chiunque sia rimasto un briciolo di buon senso risulta chiarissimo che la ventilazione artificiale, il cui scopo è fare respirare bene, l’idratazione e la nutrizione rientrano nelle cure normali. In un qualunque ospedale, degno di questo nome, viene dato ossigeno ad un qualunque malato se in difficoltà respiratoria e non lo si lascia morire soffocato, anche se inguaribile. Sapete perché? Perché farlo sarebbe un vero e proprio omicidio! In Evangelium vitae (n.65), si definisce così l’eutanasia:
Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. «L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati».
Ora, Charlie un minuto prima che gli staccassero la ventilazione era stabile e dopo 12 minuti di agonia respiratoria è morto. Don Michele Aramini, moralista cattolico, definisce l’eutanasia come “l’intervento intenzionalmente programmato per interrompere in maniera diretta e primaria una vita, quando questa si trova in particolari condizioni di sofferenza o di inguaribilità o di prossimità della morte” (“Manuale di bioetica per tutti” pag. 242). Pertanto, l’eutanasia è l’introduzione intenzionale, attraverso un’azione od una omissione, di un nuovo processo di morte, parallelo più veloce rispetto a quello della malattia. Per Charlie è stato praticamente immediato, perché al piccino è stata semplicemente applicata “un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”, perfetta e magistrale definizione di eutanasia. Così si conclude “Iura et bona”:
Le norme contenute nella presente Dichiarazione sono ispirate dal profondo desiderio di servire l’uomo secondo il disegno del Creatore. Se da una parte la vita è un dono di Dio, dall’altra la morte è ineluttabile; è necessario, quindi, che noi, senza prevenire in alcun modo l’ora della morte, sappiamo accettarla con piena coscienza della nostra responsabilità e con tutta dignità.
Senza prevenire in alcun modo l’ora della morte… Qualcuno può dire che per Charlie sia stato “pietosamente” evitato l’accanimento terapeutico, togliendo la ventilazione artificiale e facendolo morire dopo soli 12 minuti?
Purtroppo sì, infatti per D’Agostino non si è trattato di eutanasia: “non si tratta di una decisione eutanasica, come è esplicitamente chiarito anche nell’Evangelium vitae e in altri documenti del Magistero della Chiesa. È la malattia che porta il paziente alla morte, non la decisione del medico di sospendere un trattamento ormai inappropriato e senza speranza”.
Invece, penso di avere dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che, proprio per quanto insegnato in Evangelium vitae e in Iura et bona, Charlie è stato ucciso con atto eutanasico.
La posizione di D’Agostino è ideologia pura, l’ideologia dei fautori della cultura della morte, al soldo di colui che è menzognero e omicida fin dal principio, a cui da qualche anno si è iscritto il presidente dei giuristi cattolici. A lui rivolgo questa citazione anti-ideologica di Chesterton:
«Non c’è che un peccato: dire che una foglia verde è grigia,
per questo il sole in cielo rabbrividisce
… non c’è che un credo: sotto l’ala di nessun terrore al mondo
le mele dimenticano di maturare sui meli»
San Michele Arcangelo difendici nella battaglia
Andrea Mondinelli
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