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Abitudine non è fedeltà (?)

Sono stato in dubbio sulla pubblicazione di questo bel contributo di Andrea Mondinelli a proposito dell’articolo dell’Osservatore Romano, e la ragione è semplice. Un antico detto afferma «Raglio d’asino non sale al cielo» e qui mi pare proprio di essere in presenza di un raglio, di affermazioni scontate e niente affatto documentate, luoghi comuni e disprezzo dei tanti sacerdoti che quotidianamente cercano di essere fedeli al compito di educazione, di edificazione della Chiesa, di missione che hanno ricevuto nel giorno della loro ordinazione sacerdotale...

Sono stato in dubbio sulla pubblicazione di questo bel contributo di Andrea Mondinelli a proposito dell’articolo dell’Osservatore Romano, e la ragione è semplice. Un antico detto afferma «Raglio d’asino non sale al cielo» e qui mi pare proprio di essere in presenza di un raglio, di affermazioni scontate e niente affatto documentate, luoghi comuni e disprezzo dei tanti sacerdoti che quotidianamente cercano di essere fedeli al compito di educazione, di edificazione della Chiesa, di missione che hanno ricevuto nel giorno della loro ordinazione sacerdotale. Poi mi sono detto che è ora di smettere di proclamare la necessità della misericordia e della costruzione di ponti, abbattendo i muri, se tali predicatori sanno solo seminare odio e disprezzo per chi non si inginocchia al loro verbo. Sembra oramai che non si possa più interrogarsi, chiedere, confrontarsi. Solo «obbedienza cieca e assoluta». Certi cosiddetti teologi sembrano rispondere all’immagine di Guareschi dei «trinariciuti», spesso voltagabbana, il più delle volte impermeabili a quello che è stato il sublime magistero di s. Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Ho deciso di pubblicare questa riflessione di Andrea Mondinelli nella speranza (che non vorrei si trasformasse in illusione) di un respiro «cattolico» e colmo di quella carità nella verità che è il patrimonio più bello della nostra fede cristiana.
don Gabriele Mangiarotti


Comprendo l’indignazione del caro amico don Gabriele per l’articolo dell’Osservatore Romano a firma di Giulio Cirignano (QUI), professore emerito di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e dal 1978 al 2011 assistente nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC). L’incipit e tutto il resto è semplicemente vergognoso:

L’ostacolo maggiore che si frappone alla conversione che Papa Francesco vuol far fare alla Chiesa è costituito, in qualche misura, dall’atteggiamento di buona parte del clero, in alto e in basso. Atteggiamento, talvolta, di chiusura se non di ostilità. […] Gran parte dei fedeli è in festa. Tuttavia quella porzione più vicina a pastori poco illuminati (LEGGASI CARD. CAFFARRA ET ALTERUM! NDR) viene mantenuta dentro un orizzonte vecchio, l’orizzonte delle pratiche abituali, del linguaggio fuori moda, del pensiero ripetitivo e senza vitalità. In fondo, il Sinedrio è sempre fedele a se stesso, ricco di devoto ossequio al passato scambiato per fedeltà alla tradizione, povero di profezia. Quali le ragioni di tutto ciò? Al primo posto della lista occorre, probabilmente, collocare il livello culturale modesto di parte del clero, sia in alto che in basso.


Devo dirvi, però, che quest’articolo, in fondo, è una vera consolazione proprio alla luce del Vangelo con la preghiera di lode di Gesù al Padre Mt 11, 25-30:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Questi piccoli evangelici sono proprio i sacerdoti insultati dal “sapiente” Cirignano e dall’Osservatore Romano.
Queste idee, per Cirignano e l’OR, rappresentano solamente “un orizzonte vecchio, l’orizzonte delle pratiche abituali, del linguaggio fuori moda, del pensiero ripetitivo e senza vitalità”.
Ordinario, oggi, ha assunto un significato quasi spregiativo sinonimo di scarsa qualità, di dozzinale. Invece, il suo significato primario è “ciò che non esce dall’ordine comune delle cose, che rientra nella norma; consueto”. Dall’ordinario scaturisce l’abitudine e l’abitudine è qualcosa di positivo, deriva da habitus e significa modo di essere. È un’inclinazione, tendenza acquisita con la ripetizione degli stessi atti o comportamenti; è una disposizione stabile, un’attitudine. Senza l’abitudine non può esserci vita cristiana, o meglio è il seme piantato nel terreno poco profondo e quando il sole si levò, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Tuttavia, ordinario ha pure un significato liturgico: è l’insieme delle preghiere invariabili, cantate o recitate, della Messa o di un altro ufficio divino, costituite da Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei (QUI). Ed è proprio da qui che bisogna ripartire: dal Sacrificio della Messa, fonte e apice di tutta la vita cristiana.
In realtà questo vecchio orizzonte è l’unico e vero orizzonte cattolico! Le pratiche abituali sono positive, perché sono l’habitus della fede cattolica (habitus che manca a Cirignano, e mancava a Rahner e compagnia modernista).

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia!

Andrea Mondinelli