Perché non sia troppo tardi per #Charlie
Per i genitori era già chiaro in aprile che il bambino dovesse ricevere cure adeguate al suo stato, e i tre mesi trascorsi da allora fra tribunali e carte bollate potrebbero aver segnato la sorte del bambino, contro il quale gioca il passare del tempo senza alcuna nuova terapia.
Si sta avverando quello che temevamo: l’attesa sta rendendo vane le possibili cure per Charlie, purtroppo vale l’adagio latino “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” (mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata). Lo segnala oggi l’articolo di Elisabetta Del Soldato su Avvenire (QUI):
Per i genitori era già chiaro in aprile che il bambino dovesse ricevere cure adeguate al suo stato, e i tre mesi trascorsi da allora fra tribunali e carte bollate potrebbero aver segnato la sorte del bambino, contro il quale gioca il passare del tempo senza alcuna nuova terapia.
Niente di nuovo sotto il sole. Era già accaduto 35 anni fa negli USA con il piccolo Baby Doe. Spiega bene la questione la dott.ssa Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in un vecchio articolo del 2006 (QUI):
Nel 1982 il problema era sorto in seguito al rifiuto da parte dei genitori di sottoporre il loro neonato ad un intervento all’esofago che avrebbe potuto salvargli la vita, in conseguenza del fatto che il bambino era affetto da sindrome di Down. Il piccolo aveva cioè due anomalie differenti e irrelate: la trisomia 21 e una fistola all’esofago (per atresia esofagea) che gli impediva la nutrizione. Poiché la soluzione chirurgica della seconda anomalia – stimata dai medici attorno al 50% di successo – non avrebbe risolto la prima, medici e genitori optarono per lasciarlo morire, conducendolo alla morte per disidratazione, dopo sei giorni di agonia.
Naturalmente, le ragioni ufficialmente addotte furono la pericolosità dell’operazione e le esigue possibilità di miglioramento della qualità di vita del bambino, ma il reale intento eugenetico era facilmente rintracciabile. La corte dell’Indiana, dove si svolse il caso, non ritenne scorretto il comportamento dei genitori, dal momento che avevano scelto una delle opzioni presentate dai medici, il cui parere sul da farsi era discordante. La Corte Suprema, interpellata da uno dei medici, non fece in tempo a pronunciarsi, perché il bambino morì.
Il fatto coinvolse in prima persona il chirurgo pediatrico C. Everett Koop, che avendo eseguito in 35 anni di attività 475 interventi chirurgici per atresia esofagea, con quasi il 100% di successi, sentiva il dovere etico e professionale di intervenire a precisare i termini della questione. Anche a seguito di un caso simile – stavolta di spina bifida – occorso l’anno successivo e subito ribattezzato Baby Jane Doe, il medico si batté a fianco di Reagan perché simili abusi sulla pelle dei disabili non accadessero nuovamente (National Library of Medicine, The C. Everett Koop Papers Congenital Birth Defects and the Medical Rights of Children: The “Baby Doe” Controversy).
La speranza è che accada una reazione simile a quella che si ebbe con Baby Doe:
Nel 1984, l’amministrazione Reagan riuscì ad emanare le Baby Doe rules, che sono in vigore dal 1985, e che in 20 anni hanno già salvato 430’000 bambini invalidi. Per alcuni medici, filosofi ed esponenti del mondo politico, tuttavia, tali cifre non rappresentano un successo. Anzi, rappresentano un problema. Perché, sostiene candidamente la Kopelman nell’articolo citato, “limitano il potere discrezionale dei medici e la capacità decisionale dei genitori di agire nel miglior interesse del bambino, stabilendo se egli debba ricevere unicamente cure palliative oppure trattamenti salvavita aggressivi” (L. Kopelman, Are the 21-Year-Old … cit.). È interessante che, nel caso di bambini disabili, vengano automaticamente considerati aggressivi i normali mezzi di sostentamento come l’alimentazione e l’idratazione artificiale.
Purtroppo, però, non sarà affatto facile, complice l’inerzia e l’ignavia di molti uomini di Chiesa, che si sono comportati come i “cani muti” così bene descritti dal profeta Isaia (Is. 56,10-11):
10 I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi.
11 Ma tali cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori incapaci di comprendere. Ognuno segue la sua via, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione.
Infatti, il vero scopo recondito dei cultori della morte è bene descritto nella frase finale della Navarini:
In definitiva, il dominio sulla vita e sulla morte, anche in funzione dell’aspettativa di “qualità” di una vita umana, carica le spalle dell’uomo di una responsabilità assolutamente sproporzionata alle sue reali forze, che suona pressappoco così: “se nasci, se muori, se soffri, se sei infelice dipende esclusivamente da te”. O da “noi”, gli esperti. Se dipende da noi, allora l’ovvio – nonché vano – obiettivo sarà sconfiggere una volta per tutte la malattia, la sofferenza e la morte. E laddove questo non risulti (ancora, per l’irrazionale ottimismo onnipotente dello scientista) possibile, il dominio sulla morte si “accontenta” di deciderne autonomamente i tempi e i modi, provocandola quando la debolezza, la malattia, la vecchiaia, la disabilità, l’imperfezione, l’anomalia genetica o magari la tristezza la rendono “di scarsa o di insufficiente qualità”.
Questo approccio corrisponde perfettamente, in ultima analisi, al tentativo neo-gnostico di rifondazione dell’uomo, nel quale l’uomo stesso pretende di essere il demiurgo e il creatore, in base a quei nuovi criteri che la società - o meglio le élite culturali – hanno l’alto compito di delineare, e di fare lentamente assimilare alla gente.
Decidono gli esperti. Questa è la vera questione, bene sottovalutata e bene nascosta perché è il cuore stesso dell’inganno. Partiamo sempre dalla Navarini:
La delegazione dell’Unione Europea (rappresentata dalla Finlandia) è apparsa clamorosamente determinata a favorire un provvedimento volto a negare l’obbligo dei trattamenti medici salvavita per i disabili, e la cosa non stupisce: in molti paesi europei la soppressione del neonato disabile o seriamente infermo è una tragica realtà, sancita o in via di ricezione dalle normative nazionali (Battles Over Abortion, Euthanasia in United Nations Disability Treaty Continue , Lifenews.com, 24 agosto 2004).
Allora, non ci deve stupire la sentenza per la Corte europea dei diritti umani (QUI): Charlie deve morire! Si è passati dal diritto alla vita al diritto a togliere la vita. Come è reso possibile questo perverso meccanismo? Purtroppo, appartiene alla stessa ideologia dei diritti umani. Marcello Pera lo spiega molto bene nel suo libro “Diritti umani e cristianesimo” (QUI) (QUI una recensione del Card. Müller).
Il nodo cruciale è la giurisdizionalizzazione dei diritti umani: una volta inseriti in una Carta, i diritti umani assumono la veste di un Giano bifronte: istanze morali da un lato e norme legali dall’altro. Mentre la prima istanza domanda riconoscimento, la seconda richiede interpretazioni e sanzioni. Se i diritti devono diventare qualcosa di più che scudi di carta allora le Corti devono poter agire anche a livello transnazionale. Le Corti di giustizia nazionali e internazionali hanno accolto di buon grado il compito, ma con il terribile risultato di creare diritto anziché solo applicarlo. Ciò è inevitabile: il giudice che legga “non sopprimere la vita” usa molti più giudizi di valore del giudice che legga “non calpestare le aiuole”, data la tessitura molto aperta della nozione di vita. Questo fenomeno provoca un paradosso: considerati come diritti non positivi, i diritti umani finiscono per diventare positivi per altra via. Si realizza, in modo diverso, la situazione contro cui Pio IX aveva scagliato il suo anatema: lo Stato diventa fonte di tutti i diritti! Nati come scudo protettivo contro l’interferenza dello Stato, i diritti umani diventa l’arma positiva dello Stato che perfora lo scudo. E così si è giunti al perfetto Stato totalitario, padrone della vita di ogni uomo, donna e bambino proprio in nome dei diritti umani!
La Rivoluzione, con la sua ribellione a Dio, è giunta a compimento. Ora, minimizzato se non eliminato il Sacrificio della Messa, si è tornati ai sacrifici umani tipici della società anticristica.
San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia
Andrea Mondinelli