Condividi:

Don Milani non è solo un francobollo!

“Gli imperialismi? Ci vorrebbero ventimila sammarini per eliminarli. Il mondo cambierebbe radicalmente in meglio, sarebbero protette le culture e le identità. Sostanzialmente sarebbe protetta anche la pace, perché le guerre diverrebbero guerricciole”.

Il 13 giugno 2017, memoria di s. Antonio di Padova protettore dei giovani, a San Marino è stato presentato il francobollo commemorativo dei 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani. In questa occasione ho conosciuto il prof. Alessandro Mazzerelli e Manrico Casini-Velcha. Ero presente in rappresentanza del Vescovo Mons. Andrea Turazzi.

“Gli imperialismi? Ci vorrebbero ventimila sammarini per eliminarli. Il mondo cambierebbe radicalmente in meglio, sarebbero protette le culture e le identità. Sostanzialmente sarebbe protetta anche la pace, perché le guerre diverrebbero guerricciole”.

Potremmo partire da questa considerazione di don Milani e capovolgerla. Ci vorrebbero ventimila Don Milani nel mondo per fare rinascere le culture e le identità. Ma non solo. In quegli anni, in Italia, erano presenti figure sacerdotali che – pur nella diversità di impostazione e di temperamento – avevano compreso la grande questione, l’urgenza della educazione.
Penso in particolare a Don Mazzolari e a Don Giussani, le cui figure, come quella di don Lorenzo, hanno saputo affascinare tanti giovani, pur nel contrasto – a volte – con l’istituzione civile ed ecclesiastica.
Rispetto alla figura di don Milani, reagisco a partire dalla mia esperienza, tenendo conto che negli anni della mia formazione sacerdotale (sono entrato in seminario il 20 ottobre 1967, dopo la maturità scientifica) il confronto con la sua figura e i suoi testi era cosa quotidiana.

Riprendo quindi la questione educativa, che renderebbe ancora oggi San Marino (e non solo) terra in cui si proteggono «le culture e le identità», sottolineando alcuni aspetti dei testimoni che ho richiamato.

Don Primo Mazzolari (1890 – 1959): Nella introduzione ad uno dei suoi libri più famosi, «Impegno con Cristo», del 1943, egli riporta il messaggio del Natale di Pio XII. Basta leggerlo per cogliere il cuore di questo sacerdote straordinario.
«Gran parte dell'umanità, e non rifuggiamo dall'avvisare anche gran parte di coloro che si chiamano cristiani, entrano in certa guisa nella responsabilità collettiva dello sviluppo erroneo dei danni e della mancanza di altezza morale della società odierna.
Ma per un cristiano, cosciente della sua responsabilità anche verso il più piccolo dei suoi fratelli, non vi è tranquillità infingarda, né si dà fuga, ma lotta, ma azione contro ogni inazione e diserzione nel grande agone spirituale dove è proposta in palio la costruzione, anzi l’anima stessa della società futura.
Oggi più che mai scocca l’ora di riparare, di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore in cui i tossici di false idee largamente diffuse l'hanno fatta cadere; tanto più che in quest'ora di sfacelo materiale e morale, la conoscenza della fragilità e dell'inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano, [è sul disingannare] ridesta anche coloro, che in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto con l'eterno e non la consideravano come un difetto essenziale delle nostre costruzioni.
Non lamento ma azione è il precetto dell'ora; non lamento su ciò che è o fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene della società…
E proprio a voi giovani, inclini a volgere le spalle al passato e rivolgere al futuro l’occhio delle aspirazioni e speranze, diciamo, mossi da vivo amore e da paterna sollecitudine: speranza e audacia da sé non bastano, se non siano, come bisogna, posti al servizio del bene e di una bandiera immacolata.» Pio XII - Messaggio del Natale 1942.

Don Lorenzo Milani: Sulla figura di Don Milani, di cui ricorre il 50° anniversario dalla morte, sono tantissimi i contributi che aiutano a comprendere il significato della sua vita e della sua missione, come pure tante, troppe, sono le strumentalizzazioni del suo insegnamento. In particolare la sua riduzione nelle file di un comunismo che ha sempre lucidamente criticato.
Troppi suoi «estimatori» poi ne hanno tradito la memoria mischiando il suo nome e vantando una loro discepolanza che ne ha offuscato la luminosità.
Per quanto riguarda la sua opera educativa e ecco che cosa racconta un suo amico: «La scuola di Barbiana è una rivoluzione grandissima, non è vero che la scuola di Barbiana è la scuola di classe, come dice Bertinotti, contrapposta alla scuola di Stato, la scuola di Barbiana è una scuola parrocchiale, come erano scuole parrocchiali quelle che i nostri sacerdoti hanno costruito per secoli in America Latina e in tutto il mondo. Era una scuola che dava le cinquemila parole agli ultimi perché il problema, vedete qual era, era togliere ogni consenso morale, ogni legittimazione etica all’imperialismo comunista. E allora come fare? E’ evidente che non si può lasciare gli ultimi ultimi e i primi sempre primi: diamo allora le cinquemila parole che mancano, questo è il lato di giustizia e di carità cristiana, questa è la scuola di Barbiana. Non è una scuola di classe, è contro la scuola di classe, è la scuola che supera la logica delle classi». Nella lettera che scrive a Mario Lodi per raccontare la sua esperienza inizia dicendo: «La nostra è una scuola privata». Così Mario Lodi, in un bel libro in cui racconta la sua esperienza di maestro elementare (e in cui esprime la sua consonanza con don Lorenzo) ricorda la condizione fondamentale di una scuola che sia per il bene dei giovani: «Ricevere dai genitori i figli in consegna per educarli mi ha sempre dato un senso di sgomento. Anche stamane mi chiedevo: se questi genitori fossero liberi di scegliere la persona che educherà il proprio figlio come sono liberi di scegliersi il medico, il sarto, il parrucchiere, l’assicuratore, verrebbero da me? In una scuola che avesse come fine la formazione integrale e senza traumi del fanciullo, la scelta del maestro, o meglio dell’indirizzo pedagogico, dovrebbe essere il primo argomento da discutere fra genitori e insegnanti all’atto della iscrizione. Invece non se ne parla nemmeno, come se la scuola fosse la proprietaria dei bambini.» Mario Lodi, Il paese sbagliato, p. 18

Un accenno a don Giussani
Innanzitutto la stima di don Giussani per don Milani, nel ricordo di un poeta ateo: «Sebbene Loi non sia cattolico - nel 1954 ha dato le dimissioni dal PCI (è stato responsabile di una sezione giovanile a Milano) -, il legame tra di loro si fa sempre più intenso. E sarà Giussani a insistere con Loi perché vada a conoscere don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana: «Aveva certo capito la mia psicologia e il mio ingenuo ateismo, però aveva anche compreso la mia passione sociale, e don Milani gli pareva il prete adatto per me».» Savorana, Vita di Don Giussani, p. 242

Don Giussani, che è famoso per la sua affermazione «Lasciateci andare in giro nudi ma non toglieteci la libertà di educare» così descrive l’educazione in quel capolavoro che è Il rischio educativo: «L'idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso).
Il tema principale, per noi, in tutti i nostri discorsi, è l'educazione: come educarci, in che cosa consiste e come si svolge l'educazione, un'educazione che sia vera, cioè corrispondente all'umano. Educazione, dunque, dell'umano, dell'originale che è in noi, che in ognuno si flette in modo diverso, anche se, sostanzialmente e fondamentalmente, il cuore è sempre lo stesso. Infatti, nella varietà delle espressioni, delle culture e delle consuetudini, il cuore dell'uomo è uno: il cuore mio è il cuore tuo, ed è il medesimo cuore di chi vive lontano da noi, in altri Paesi o continenti.

La prima preoccupazione di un'educazione vera e adeguata è quella di educare il cuore dell'uomo così come Dio l'ha fatto. La morale non è nient'altro che continuare l'atteggiamento in cui Dio crea l'uomo di fronte a tutte le cose e nel rapporto con esse, originalmente.» pag XIII

Se sarà possibile riprendere ovunque, e qui a San Marino, il cammino educativo che questi tre grandi profeti e sacerdoti ci hanno insegnato, allora veramente saranno PROTETTE LE CULTURE E LE IDENTITÀ
«…Non si può dire amo i miei figli permettendo alla società di farne man bassa. Non si può dire: amo la mia famiglia, ci tengo alla mia famiglia, permettendo al costume sociale di distruggerla. Occorre il coraggio di difendere questi riferimenti in pubblico associandosi perché senza l’associarsi la debolezza del singolo o del particolare è travolta da qualsiasi forma di potere.»

Questo è l’impegno educativo che la Chiesa ha sempre indicato come compito fondamentale in ua società che voglia essere rispettosa di ogni uomo, e lo ritroviamo nell’insegnamento del Concilio Vaticano II e nella straordinaria testimonianza di S. Giovanni Paolo II. «Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda alla loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l'uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere.» (Gravissimum educationis, 1)

E Giovanni Paolo II diceva all’UNESCO nel 1980: «Io sono figlio di una nazione, che ha vissuto le più grandi esperienza della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua identità ed ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua cultura. Questa cultura si è rivelata all'occorrenza d'una potenza più grande di tutte le altre forze. Quello che io dico qui in ordine al diritto della nazione, al fondamento della sua cultura e del suo avvenire non è «eco» di alcun nazionalismo, ma si tratta sempre di un elemento stabile dell'esperienza umana e delle prospettive umane dello sviluppo dell'uomo. Esiste una sovranità fondamentale della società che si manifesta nella cultura della nazione. Si tratta della sovranità per la quale, allo stesso tempo, l'uomo è supremamente sovrano.»