Perché si vuole negare l’obiezione di coscienza?
- Autore:

Alla Camera è stata approvata la prima stesura della legge sul biotestamento, la cosiddetta legge sulle DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento). Nella legge approvata non è riconosciuta l’obiezione di coscienza in maniera esplicita, come nel caso della legge sull’aborto, ma solo implicitamente. La proposta di legge, nella sua versione originaria, addirittura non prevedeva affatto per il medico l’obiezione di coscienza poiché veniva depenalizzato il reato di suicidio assistito. E’ da notare però che, in questi ultimi anni, si sta facendo sempre più pressante, anche per l’aborto, la richiesta della abrogazione della obiezione di coscienza, e ciò perché, a parere dei richiedenti, in circostanze delicate della vita verrebbe leso un diritto primario della persona. Diritto che si declina in vario modo: quello di abortire, di suicidarsi, di manipolare la vita nella fecondazione in vitro, e così via.
Ma perché nella nostra società si fa sempre più insistente la richiesta della negazione del diritto alla obiezione di coscienza? Quali conseguenze possono derivare? E perché una società che si vanta di essere tollerante, dunque teoricamente rispettosa delle convinzioni più profonde della persona, finisce poi per imporre alle persone, in questo caso specifico ai medici, di mettere in atto azioni che violano proprio le convinzioni profonde di quelle stesse persone?
La risposta è possibile ravvisarla nel fatto che la società tende sempre più ad esaltare e a far predominare il “diritto all’autodeterminazione” dell’individuo su tutto il resto. Una autodeterminazione che è il frutto avvelenato di un soggettivismo senza freni.
Per capire le ragioni della richiesta della abolizione della obiezione di coscienza occorre capire quale sia la concezione che sta alla base dei concetti di coscienza, verità e diritti.
E’ diffusa in questa nostra società, che è oramai scristianizzata, una cultura che ha il suo fulcro nello scetticismo più assoluto verso la Verità. Si afferma infatti che la Verità non esiste o, al massimo, è inconoscibile. Quindi, la coscienza non sarebbe più il santuario più profondo dell’uomo, dove egli intuisce la verità, dove viene a contatto con la verità che Dio ha messo nel suo cuore. No. L’uomo contemporaneo, credendo fermamente che la verità non esiste, erige la sua coscienza a fonte autonoma di ciò che è bene e ciò che è male. E’ lui, in ultima istanza, a stabilire cosa è bene e cosa è male. Ma se la Verità non esiste, l’orizzonte della nostra esistenza si riduce a vivere per soddisfare i desideri ed i bisogni che la vita mano mano ci porta innanzi, o che noi stessi ci auto-produciamo (si vedano quelli indotti dalla fecondazione in vitro). L’uomo viene così ridotto ad “animale-desiderante”. Ogni desiderio ed ogni capriccio generano il bisogno, anzi il “diritto” a che siano soddisfatti. E di desiderio in desiderio, di diritto in diritto, si arriva ad una esplosione di pretese di diritti, fino ad arrivare ad una ideologia dei “nuovi diritti” generati dai mutati orientamenti culturali spesso sostenuti da lobbies di potere o, ad esempio, dai nuovi traguardi raggiunti dalla tecno-scienza. Il “diritto” dell’individuo a vedere soddisfatto il suo desiderio, determina lo speculare “dovere” da parte dello Stato ad esaudire quel tale desiderio. I diritti della persona, da baluardo che erano contro l’invadenza e lo strapotere dello Stato totalitario, trasformano la persona stessa in un piccolo, capriccioso e prepotente dittatore proprio nei confronti dello Stato. La persona, con la sua sfrenata pretesa di essere detentrice di diritti, risulta essere sì un dittatorello ma, allo stesso tempo, un dittatorello che è schiavo delle sue voglie e delle sue pretese.
Una tale percezione della coscienza non può che generare una società intollerante, una vera e propria “dittatura della tolleranza”, che si fa violenta proprio in nome della sua presunta e formale tolleranza. Se non esiste più la Verità, allora regina diventa l’opinione, anzi la “fiera delle opinioni”. E l’unico criterio per gestire una tale congerie di contrastanti opinioni è quello del numero, il criterio della maggioranza, il sistema della forza della maggioranza. Nella società non si ricerca più il “bene comune” come esito della ricerca della Verità, ma si ricerca il “bene personale”. E la verità non è qualcosa che si ricerca, ma è l’esito della deliberazione di una mutevole maggioranza. La maggioranza di oggi può stabilire la “sua” verità, che potrà diventare la falsità della diversa maggioranza di domani. La verità, meglio, “le” verità sono il frutto del gioco delle alterne maggioranze al potere. Quello che conta non è il Vero, ma il rapporto di forza, la logica del più forte. E’ così che la società può legalmente decidere che la mamma può essere assistita dalle strutture dello Stato nell’uccisione del bambino che porta nel suo grembo; che un medico è obbligato ad assecondare il desiderio-diritto del malato a suicidarsi; che il sindaco o un pubblico funzionario sono obbligati a sposare una coppia di omosessuali; che l’anziano malato grave o il bambino handicappato possono essere soppressi nel momento in cui la loro vita, a parere di terzi, non corrisponde più agli standard che la società si è data.
Come si vede, è una società, quella contemporanea, che in qualche modo presenta gli stessi lineamenti delle società totalitarie del XX secolo. Società che avevano stabilito per legge, erga omnes, che cosa dovesse essere la verità: la razza, il partito, ecc. Ai nostri giorni, lo spirito totalitario è lo stesso, solo che si presenta in forma più subdola e silente. Questa società dei nostri giorni, epoca di molteplici verità, evanescenti e sempre liquide e cangianti, è falsamente accomodante, vale a dire apparentemente tollerante, solo verso quelle persone che, spaesate e senza punti di riferimento, in qualche modo fatte oggetto di manipolazione da parte del Potere, hanno rinunciato alla loro coscienza, alla loro responsabilità e, in ultima analisi, all’uso della loro ragione. D’altra parte, una tale società diventa radicalmente intollerante verso quelle persone che antepongono la loro coscienza alla prepotenza dello Stato. La coscienza, infatti, se non ridotta a pura espressione della soggettività, è capace di riconoscere l’esistenza della Verità che, per se stessa, si pone al di sopra dello Stato, e ne mina le sue certezze dalle fondamenta. Per questo lo Stato ideologico non può che percepire la Verità come sua acerrima nemica. La società post-totalitaria, quella che vediamo ai nostri giorni, non può dunque tollerare l’obiezione di coscienza, proprio perché essa è una “obiezione”, cioè un “affronto” al suo status di potere autocostituito. Quella stessa società post-totalitaria, se non ammette l’obiezione di coscienza, tanto meno potrà tollerare gli obiettori di coscienza, percepiti come idealisti rompiscatole, lontani dalla realtà, granellini che inceppano i delicati ingranaggi del suo Stato-apparato ideologico.
Occorre dunque lottare perché sia riconosciuta e sempre confermata l’obiezione di coscienza, non perché si rivendichi semplicemente l’ennesimo diritto nell’oceano dei diritti, vecchi e nuovi, ma perché il suo riconoscimento costituisce la cartina di tornasole della esistenza di una società realmente democratica, e non di una società che è falsamente tollerante e, nei fatti, ideologicamente oppressiva.