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Domenica si vota in Francia!

Chi succederà a Hollande?

Ci siamo. Domenica si vota. Finalmente si vota. Volge al termine una campagna elettorale ai limiti del grottesco, dove gli scandali e i colpi di scena hanno prevalso sull’analisi dei programmi dei vari candidati.
La Francia si prepara ad eleggere un nuovo Président de la République in un clima di tensioni sociali roventi e apparentemente irrisolvibili.

Sono undici moschettieri. Undici candidati che si battono per raccogliere la pesante eredita del socialista François Hollande, il presidente uscente che ha deciso di non ricandidarsi dopo aver ridotto il paese alla canna del gas, economicamente e socialmente.
Inutile nasconderlo: la Francia è il nuovo malato d’Europa. Disoccupazione, scuola, sicurezza, identità, sovranità, immigrazione, islam, ognuno di questi temi è un problema scottante, urgente, esplosivo. La tensione si taglia a fette.
Eppure, durante la campagna elettorale nessuno dei pretendenti è riuscito a proporre una visione chiara e precisa sul futuro della république: come uscire da questo vicolo cieco? I francesi sono chiamati alle urne domenica 23 aprile ma, indipendentemente dall’esito del voto, essi temono che ad attenderli ci sarà un altro quinquennio di nulla assoluto.
La Francia è un paese complesso, la nazione è ormai talmente frammentata e divisa che tutti i suoi bisogni fondamentali andrebbero presi in seria considerazione da tutti i candidati. Come ha scritto recentemente il grande filosofo Marcel Gauchet: conservatori, liberali e socialisti esprimono tutti ambizioni legittime. I conservatori (rappresentati dai candidati François Fillon e Nicolas Dupont-Aignan) propongono di intervenire sulla pubblica istruzione, perché questa si liberi dal vespaio di pedagoghi, psicologi e sociologi (in gran parte massoni ovviamente) responsabili della distruzione di quella che era un tempo la migliore scuola pubblica del mondo. Cinquant’anni di ideologia liberal progressista, unita ad cieco un egualitarismo socialista, hanno trasformato un solido sistema di trasmissione del sapere in una scatola vuota, senza più meritocrazia né disciplina né contenuti, la scuola pubblica è ormai una fabrique de crétins, nonché di futuri disoccupati.
Il neo-liberalismo ha ricreato la miseria, ora sta ricreando l’ignoranza.
Sempre i conservatori, di fronte al dilagare dell’islamismo e del relativismo, fanno appello al rispetto della cultura giudeo-cristiana e dell’umanesimo greco-romano, le vere radici della Francia, costantemente rinnegate e discusse dalla sinistra che si crede sempre all’anno zero della storia, anzi della Storia.
I liberali (Emmanuel Macron su tutti, ex ministro dell’economia, vero squalo della finanza) mettono giustamente l’accendo sul dinamismo imprenditoriale francese, frenato e soffocato da un’imposizione fiscale stellare e da un costo del lavoro folle che causano un’ecatombe annuale di aziende che chiudono o delocalizzano. I socialisti, o gli ex-comunisti (Benoît Hamon e Jean-Luc Mélenchon) denunciano le gravi diseguaglianze che caratterizzano la società francese, con la forbice tra ricchi e poveri che non fa che allargarsi inesorabilmente.
Tutte queste identità politiche sono legittime, ma ogni interprete ignora, disprezza o disconosce le esigenze delle parti avverse, manca così una sintesi tra conservatori-socialisti e liberali in grado di far fare al paese il necessario giro di boa. La sensazione è che uscirà vincitore o un puro liberale, o un socialista vecchio stampo o un conservatore “filosofo”, tre visioni troppo limitate della Francia di oggi e inadeguate al compito, titanico, di dare nuova speranza alla nazione.
In particolare, appare come imbarazzante la retorica della sinistra, che ripropone un lessico politico che speravamo ormai dimenticato: quello dell’odio di classe. La vecchia litania della lotta dei ricchi contro i poveri. La proposta socialista (Mélenchon su tutti) di una tassazione ancora più selvaggia, appare difficilmente giustificabile in un paese che preleva più della metà della ricchezza prodotta per ridistribuirla attraverso una galassia assistenzialistica a dir poco colossale. Sussidi, assegni familiari, disoccupazione, aiuti, c’è tutto. Non sembra davvero possibile insistere su questa strada, in un paese che ha soprattutto bisogno di dare lavoro ai giovani, di dar lavoro a chi l’ha perso, e di trovare un modo di difendere potere d’acquisto e salari di chi un lavoro ce l’ha ma non arriva a fine mese (e in Francia sono davvero tantissimi). Il Welfare francese è già forte, sono l’esistenza e la dignità del lavoro (e del frutto del lavoro) ad essere ormai troppo precari.
Non è qui necessario ritornare sui temi dell’immigrazione e del communautarisme islamico, ormai noti a tutti ma che non trovano proposte adeguate in nessuno dei candidati. I continui attentati e la violenza delle periferie sono però ben presenti nello spirito di un popolo che non sa più vivere insieme.
Parte della popolazione vede in Marine Le Pen e nel suo Front National un’ipotesi di riscatto. Tuttavia, il programma del partito, spesso accusato di fascismo e di razzismo dai benpensanti di sinistra, appare ambiguo e insufficiente circa i temi fondamentali citati finora. Un’elezione FN non farebbe che rendere il clima ancora più incandescente, cosa che senza soluzioni concrete rischierebbe di far fare alla Francia un altro passo verso il baratro.
Interessante l’analisi di uno dei candidati così detti minori, François Asselineau, che pone l’accento sul tema dell’effettiva sovranità dello stato. L’esperto funzionario non ha torto quando dice che il primo passo per ripartire è rimpossessarsi dell’indipendenza nazionale, scrollandosi di dosso il pesante giogo della Nato e dell’Unione Europea. La Francia non può essere il cameriere di Washington o di Bruxelles.

Domenica si vota per il primo turno. I due candidati che realizzeranno il miglior punteggio si affronteranno poi nel ballottaggio del 7 maggio.

La Francia attende con il fiato sospeso. Molti invocano un homme providentiel, un nuovo général De Gaulle, un homme d’Etat in grado di restituire alla Francia l’antico splendore e al popolo un nuovo inizio. L’impressione di chi scrive è che i francesi avrebbero piuttosto bisogno di tornare ad essere un popolo, unico modo per essere poi nuovamente in grado di eleggere un vero presidente. Ma essendo la cultura il grande assente di questa elezione, temo si dovrà attendere ancora.

Luca Costa