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Giornata nazionale contro il #bullismo

Fonte:
CulturaCattolica.it

Due flash sul gender-che-non-esiste.
A tal punto “non esiste” (!) che in pochi giorni sono state raccolte più di centomila firme contro lo spettacolo “Fa’ afafine”, proposto alle scolaresche, che, con la scusa di contrastare il bullismo e le discriminazioni, in realtà mette in scena l’indifferentismo sessuale. E la polemica non accenna a placarsi.

Nel frattempo, per i “Quaderni del Centro culturale Augusto del Noce” di Pordenone, con prefazione dell’avvocato Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, è da poco uscita la pubblicazione “Il Friuli Venezia Giulia come laboratorio per la diffusione della teoria gender. Cronaca di un impegno civile per la libertà di educazione”, a cura di Roberto Castenetto e di Gianluca Stocchi. Una settantina di pagine che, partendo da una carrellata sulla gender theory, ripercorrono le tappe per la diffusione delle teorie del genere nei documenti degli organismi internazionali e nazionali, per poi focalizzare l’attenzione sul progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico in Friuli Venezia Giulia, mettendone in evidenza le tante criticità.
Il progetto era partito da una indagine sulla percezione del bullismo omofobico, che – come si evince dall’analisi dei curatori – dal punto di vista metodologico già faceva acqua da tutte le parti e si era rivelata chiaramente orientata a dimostrare una tesi precostituita, tanto che i risultati dell’indagine erano stati presentati sommariamente e raccontavano di fatto solo la “percezione” del fenomeno, con tutti i limiti che tale rilevazione può comportare.

La pubblicazione pordenonese analizza con accuratezza i singoli interventi svolti nelle scuole, ovvero “Il gioco del rispetto” alle materne, “Porcospini” alle elementari” e “A scuola per conoscersi”, proposto alle scuole superiori di primo e di secondo grado.
Per capire di cosa stiamo parlando, in sintesi le dichiarazioni della professoressa Pelamatti, responsabile della raccolta dati del progetto: «Insegniamo la “teoria del genere”, tra i cui contenuti fondamentali c’è che, indipendentemente dal sesso biologico, si può e si deve essere liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale… Nelle classi si affronta anche il tema della flessibilità, per dire che non siamo mai uguali a noi stessi e possiamo anche cambiare, fino alla questione della famiglie omosessuali e dell’adozione. Sempre in chiave di “normalità”, perché il nostro compito è combattere l’omofobia».

Lascio alla lettura del fascicolo i dettagli sui progetti, mi soffermo solo sull’immagine del “Genderbread-Person”, che serve a introdurre espressamente la terminologia gender. Si tratta di una figura in cui sesso, genere, orientamento sessuale ed espressione di genere procedono su linee parallele senza incontrarsi mai, e in cui maschio e femmina sono collocati sempre agli estremi, mentre al centro si trova l’indifferentismo sessuale, come se questa fosse la norma e non riguardasse, invece, solo un’esigua percentuale della popolazione. «E’ evidente – scrivono Castenetto e Stocchi – che un ragazzo non può non rimanere disorientato da una figura in cui la persona umana risulta spappolata, letteralmente distratta, cioè tirata da tutte le parti, come fa capire l’etimologia della parola, dal verbo latino dis-traho». Un disorientamento che si acuisce quando ai bambini e agli adolescenti si dice che le identità sessuali sono molteplici.
Ma sono anche altre le criticità evidenziate dai curatori. Tanto per cominciare, i genitori non sono stati adeguatamente coinvolti in tematiche educative di competenza primaria delle famiglie; si rileva inoltre che durante gli incontri vengono trattate, in sole due ore, questioni complesse e delicate come l’omofobia, il bullismo omofobico, l’identità affettivo-sessuale, i ruoli di genere. Risulta poi discutibile l’intervento di “esperti” esterni alla scuola (psicologi e volontari di Arcigay e Arcilesbica), che di fatto sostituiscono il lavoro dei docenti, gli unici ad essere abilitati all’insegnamento.
Il messaggio? «Il dato di fondo che emerge dal materiale reperito è che i ragazzi sono sollecitati a considerare la sessualità come qualcosa di fluido e interscambiabile, come una scelta dettata dal puro criterio del piacere, del desiderio e della sensazione, secondo l’antica formula del cui libet licet, riproposta in età moderna dal tassiano s’ei piace ei lice». Il progetto, insomma, che si presenta come un intervento di contrasto a una devianza come quella omofobica, si rivela in realtà un laboratorio per sperimentare la diffusione della teoria gender, oltre che per promuovere una visione omosessualista e una concezione della famiglia non corrispondente al dettato costituzionale. Secondo i curatori del fascicolo, si vuole favorire nei ragazzi la libera costruzione della propria identità di genere, mentre le posizioni degli studiosi e degli addetti ai lavori rispetto all’identità e agli orientamenti sessuali, a livello nazionale e internazionale, sono decisamente più vari di quanto si voglia far intendere nel progetto.

Dopo aver raccontato la nascita e l’impegno dei Comitati genitori, consapevoli della necessità di rivendicare e tutelare i propri diritti e impegnati in difesa della libertà di educazione, il quaderno si conclude con un interessante capitolo dedicato ai problemi e alle prospettive dell’educazione alla parità di genere nelle scuole.
In questa giornata nazionale contro il bullismo, mentre invitiamo a leggere questa “Cronaca di un impegno civile per la libertà di educazione”, che proponiamo nel formato pdf, ci piace concludere con questa riflessione di Castenetto e Stocchi: «E’ evidente che quella del bullismo è una realtà complessa e che gli atteggiamenti discriminatori presenti tra i giovani non riguardano solo la questione dell’orientamento sessuale. Certamente oggi esiste una emergenza educativa, denunciata a vari livelli, ma essa deve essere affrontata in modo globale e non settoriale, dai soggetti deputati all’educazione, genitori e insegnanti in primis».


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