Con p. Cavalcoli: i «misericordiosi senza misericordia»
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Non posso tacere. E non lo posso perché p. Cavalcoli ha manifestato nei miei confronti grande delicatezza, premura, misericordia in numerose circostanze, anche difficili, della mia vita, quando tanti mi hanno attaccata, abbandonata, mostrando, egli sì, il Volto caritatevole di Cristo, nelle vesti di sacerdote domenicano. Non lo posso, ancora, perché lo ritengo amico, e proprio per questo non ho taciuto con lui quando non mi trovavo d’accordo, dal momento che entrambi condividiamo la persuasione di Aristotele, secondo cui, amicus Plato, magis amica veritas.
Ma non trovarmi d’accordo con quanto affermato con certezza da lui ora, cioè che i castighi esistono e sono conseguenza del peccato originale, e che oggi dobbiamo ricuperare il senso della legge morale naturale, sarebbe come trovarmi in disaccordo con Cristo e il Suo Vangelo. Il resto delle sue affermazioni rientra in un’opinione personale che era liberissimo di esprimere.
E’ anche, e soprattutto per questo che non posso tacere. La Verità è conculcata, come pure la libertà di esprimere un’opinione personalissima, presentata come tale, e documentata da valide argomentazioni. Ma di fronte a situazioni del genere, noi oggi sappiamo ancora dialogare serenamente, riconoscendo la competenza di ciascuno, confermando la verità in quanto tale, contrapponendo un’opinione ad un’altra, senza attaccare, senza mettere a tacere, senza escludere chi ha opinioni contrarie? Proprio oggi, quando si fa del relativismo una bandiera, della misericordia un assoluto? Ho molte conferme che mostrano come il dialogo sereno, competente, razionale, rispettoso sia sempre più raro.
Ritengo che occorra, pertanto, farsi qualche domanda. Dove sta scritto che una persona competente debba venire punita col silenzio per avere parlato di castighi, in una materia in cui è estremamente preparato? Tale vicenda non conferma proprio, in modo preciso e puntuale, la verità di quanto affermato? E cioè che i castighi esistono e sono conseguenza del peccato originale, il quale ha creato disordine nel mondo, tanto da venire comminati con una leggerezza da lasciare sbalorditi, come in questo caso? Quale misericordia è stata manifestata nei confronti di p. Cavalcoli? Chi, di coloro che sono intervenuti pubblicamente ha letto per intero e compreso fino in fondo ciò che effettivamente ha affermato p. Cavalcoli? Inoltre, chiedo perché questo accanimento mediatico di natura evidentemente intimidatoria verso p. Cavalcoli e le sue affermazioni? Non sarà mica che l’altra chiara affermazione che il Padre domenicano ha fatto spaventa qualcuno? Sì, perché, all’interno della sua risposta egli ha dichiarato pure: «Anche queste leggi sulle unioni civili certamente ci creano molta difficoltà a noi credenti, non c’è dubbio. Che relazione ci può essere col peccato? Bisogna stare attenti, le leggi dello stato purtroppo a volte possono manifestarsi ingiuste, quindi noi cristiani non dobbiamo approfittarne, perché se ne approfittiamo pecchiamo, possiamo peccare anche mortalmente» (cito dal resoconto che si trova nel sito di Radio Maria). E, al termine del suo intervento, richiama a ritrovare la legge naturale donata da Dio. Forse è questo che ha punto sul vivo tanti organi mediatici ed ha spinto a manipolare le parole del Padre fino a trarne fuori un giudizio problematico mai da lui pronunciato in quella forma? Abbiamo timore a chiamare le cose con il loro nome così da sottrarci ad un giusto giudizio, fino al punto da accusare gli innocenti di ingiustizie inesistenti? In questa materia morale chi è il punto di riferimento? Il giornalista, la cultura di moda oppure Cristo?
Tali domande aprono una serie di problemi che non ho qui la possibilità di affrontare in modo preciso ed adeguato. Desidero limitarmi a stimolare la riflessione su di essi, fornendo qualche spunto.
Innanzitutto, credo che sia giunto il momento di chiedere quali titoli ha il giovane giornalista dell’Espresso per eccepire critiche ad un’argomentazione articolata e documentata di un anziano teologo di chiara fama, che parla della materia che conosce ed insegna da molti anni in prestigioso ambito accademico. Stiamo parlando di catechesi cattolica e di valutazioni personali, ben documentate, riguardo ad un fatto di cronaca. Quale preparazione ha il giovane giornalista in materia di teologia e catechesi cattolica? E’ ora di esibire i titoli, le patenti della propria competenza quando si esce dalla semplice cronaca dei fatti e si entra in una sfera così specifica. Occorre competenza nel campo per leggere, sapere comprendere i termini e le argomentazioni, per riportare in modo corretto la lettera e il senso profondo di quanto un teologo sa esprimere, anche con semplicità e in modo divulgativo. Altrettanta competenza e cautela devono ritrovare i quotidiani e le radio nel riferire quanto affermato da altri. Per non parlare della necessità di avere la Fede, allorché, oltre alla semplice cronaca dei fatti, si giunge a trarre delle conclusioni in ambito teologico. Dove sta scritto che un giovane giornalista possa infangare con la sua superficialità la fama di un teologo che fa il suo mestiere, per di più a titolo assolutamente gratuito? Senza neanche sapere a chi stava attribuendo tali parole…
Per di più, occorre che vengano ristabiliti i diritti di Dio. Le critiche fatte a p. Cavalcoli, a quanto ne so, prive della dovuta serietà argomentativa, in genere, colpiscono di fatto un’affermazione certa: i castighi sono la conseguenza del peccato originale, e poi un’opinione personale. La seconda merita un dibattito sereno e il rispetto della libertà di espressione. La prima, se combattuta, va difesa come Parola di Dio.
Non posso qui attardarmi in una trattazione specifica. Non mancano belle ed esaurienti esposizioni di questo tema. Desidero solo far comprendere che qui si tratta di non deformare la realtà di Dio, come Creatore, Padre. Dio non può essere irriso. Valga per tutti il richiamo di un brano chiarissimo di Origene, in cui si dice: «Poiché l’uomo, per castigo del peccato, era venuto dal paradiso della libertà alla schiavitù di questo mondo, per questo la prima parola del Decalogo, cioè la prima voce dei Comandamenti di Dio, tratta della libertà dicendo: Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione di schiavitù (Es 20, 2; Dt 5,6)» (Homiliae in Exodum, 8, 1). Il testo, evidentemente, si appoggia sulla sacra Scrittura, Parola di Dio. Stiamo attenti a non combattere contro di Lui.
Inoltre, credo che valga la pena di riportare quanto dice la Regola non bollata del 1221 di san Francesco, per mostrare il comportamento di quel santo, che non corrisponde nei fatti alla manipolazione che ne viene fatta dall’ideologia buonista. Egli infatti, aveva nell’anima i sentimenti di Cristo, vale a dire quell’Amore che vuole che le creature vivano, siano felici e buone, ovvero escano dal fango del male. Con queste intenzioni, il Santo si rivolge al fratello malato, dicendo:
«E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore; e che quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sano o malato, poiché tutti coloro che Dio ha preordinato alla vita eterna, li educa con i richiami stimolanti dei flagelli e delle infermità e con lo spirito di compunzione, così come dice il Signore: “Io quelli che amo, li correggo e li castigo”». (San Francesco, REGOLA NON BOLLATA (1221), c. X).
La vita alla Porziuncola, poi, era impostata sulla base di un’austerità necessaria alla vera vita di virtù e santità: «Vi era osservata in tutto una rigidissima disciplina: nel silenzio e nel lavoro, come pure in tutti gli altri ordinamenti della vita regolare… Se uno, a volte, mancava in questo, veniva messo in guardia a non ripeterlo mai più da un castigo salutare». (Tommaso da Celano, Vita seconda, Parte prima, c. XII).
Lo stesso Santo, davanti ad un sacerdote, si comporta in questo modo: «Nel tempo in cui il santo padre giaceva ammalato nel palazzo del vescovo di Rieti, era pure costretto in un letto, perché infermo e attanagliato dai dolori, un canonico, di nome Gedeone, uomo sensuale e mondano, fattosi portare da Francesco, lo scongiurò con lacrime a voler fare su di lui il segno della croce. Rispose il Santo: “Come posso benedirti se da gran tempo sei vissuto secondo i desideri della carne e senza timore del giudizio di Dio?”. E continuò: “Ecco, io ti segno nel nome di Cristo. Ma tu ricordati che subirai pene maggiori se, una volta guarito, ritornerai al tuo vomito”. E concluse: “Il peccato della ingratitudine riceve sempre castighi più gravi”» (ivi, Parte seconda, c. XII). Risulta chiaro che san Francesco redarguisce un sacerdote sensuale, e non un frate che predica la Parola di Dio.
Infine, riporto una spiegazione semplice e chiara della misericordia di Dio, che si trova nel commento fatto da san Tommaso alla seconda lettera ai Corinzi di san Paolo:
«Et ideo dicit Deus totius consolationis; quia si peccas, consolatur te Deus, quia ipse misericors est. Si affligeris, consolatur te, vel eruendo ab afflictione per potentiam suam, vel iudicando per iustitiam». (San Tommaso, Super II Cor., cap. 1, l. 2): «Perciò (San Paolo) dice “Dio di ogni consolazione”, perché se pecchi Dio ti consola, in quanto egli è misericordioso. Se ti affliggi, ti consola o strappandoti dall’afflizione con la Sua potenza oppure giudicando con la giustizia». E’ evidente qui, come in altri luoghi, che la misericordia di Dio è strettamente legata alla giustizia, sia perché questa dona al peccatore ciò che non possiede, perché lo ha perso, cioè il fatto di essere giusto, sia perché gli concede di scontare sulla terra una pena che altrimenti dovrebbe scontare in modo immensamente più grave in purgatorio (le pene qui sono tanto dure da essere inimmaginabili a mente umana, perché sono vissute da anime senza corpo, quindi senza possibilità di sollievo corporeo e né di preghiera personale a proprio vantaggio) o all’inferno. Sia, pure, perché la giustizia interrompe la catena delle prevaricazioni, delle violenze che il peccatore sempre usa contro Dio o il prossimo, quando pecca. La misericordia, senza giustizia, è violenza. Essa infatti si trasforma in permissività, complicità nel lasciare fare il male ad altri. Chi di noi, chiediamocelo con franchezza, potrebbe anche solo rispettare un dio che non usasse la giustizia per difendere i deboli, a tutto vantaggio di un falso concetto di misericordia verso i peccatori/prepotenti, i quali, se agiscono, lo fanno a danno di altri? E la giustizia di Dio non tarda.
Ciò che non si comprende è che, da un lato, la giustizia è l’altro volto della misericordia, quando l’uomo non accoglie la seconda, e che i castighi, per coloro che sono disponibili alla Volontà di Dio, si volgono sempre al bene; per coloro che rifiutano Dio, quelli, in terra, il più delle volte, vengono mitigati dalla misericordia di Dio che cerca il peccatore a più non posso. E per lo più, lo fa attraverso la donazione riparatrice dell’immolazione di pochi santi.
Siamo sicuri, pertanto, di avere compreso la serietà, la coerenza dell’Amore di Dio?