Non ci va di essere educati dallo Stato
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Mi sorgono delle domande a dir poco inquietanti.
Prima di tutto: ma è compito della scuola di stato attivare percorsi educativi di lotta alla discriminazione di genere senza informare e coinvolgere preventivamente le famiglie e ottenere il loro consenso? Questa della lotta alla discriminazione di genere è una tematica “neutra”, “tecnica” che può essere svolta da qualsiasi insegnante o esperto senza che si conoscano i riferimenti antropologici e culturali alla base della proposta educativa che verrà effettuata? Nel recente passato in alcune scuole sono intervenuti esperti che fanno riferimento ad associazioni LGBT (che sostengono la teoria gender) e utilizzati strumenti (opuscoli, filmati, ecc.) prodotti dalle stesse associazioni LGBT, naturalmente senza informare i genitori e chiedere loro il consenso. E questo sarebbe il rispetto del pluralismo culturale ed educativo? Questi corsi diventeranno curriculari e obbligatori, senza la possibilità per i genitori di proporre dei corsi alternativi, a partire da una diversa concezione antropologico-culturale: questa sarebbe la democrazia della scuola italiana e del ministro della P.I.?
In secondo luogo, Il ministro Giannini ha affermato che sarà insegnato ai professori, utilizzando soldi pubblici (cioè nostri), come parlare di amore in classe. Ma solo nelle peggiori dittature esisteva l’educazione obbligatoria di stato su argomenti di carattere ideale, morale, umano come l’amore, la religione, la politica ecc..
E’ evidente che non esiste una idea di amore uguale per tutti, da imporre a tutti, il significato dell’amore dipende dagli ideali e dai riferimenti culturali e morali di ciascuno e della famiglia in cui uno vive. Allora prima di tutto bisogna chiedersi che cosa è l’amore, qual è il significato di una delle esperienze fondamentali della vita umana. Invece ci vogliono imporre e noi dobbiamo accettare “l’amore di stato”?
Mi sembra che si stia realizzando la profezia di Orwell “1984” dove si narra che un dittatore, il Grande Fratello, prenderà il grande dizionario della vita per farne il dizionario della neolingua, fatto di parole il cui unico significato è quello che attribuisce loro il potere. Basti pensare a quell’idea supersentimentale, emotiva di amore tanto diffusa oggi, al punto che se chiedete a un giovane cosa è l’amore vi sentite rispondere in modo confuso, parziale, emotivo, secondo l’immagine di amore che emerge dai media e dal web. Se una parola si riduce a un solo significato, quello che le viene attribuito dal potere, non si capisce più. A questo proposito vorrei ricordare che nella lingua greca la parola amore aveva 4 significati: Eros (una passione, una attrattiva per l’altro); Filia (un legame, una preferenza, che ha come scopo l’amore per la verità dell’altro); Agape (desiderare per l’altro quello che desidero per me, amare la felicità dell’altro come la mia); Karis (riconoscere di essere amati, di aver ricevuto tutto, che la vita è dono). Si tratta di un significato dell’amore totalmente diverso da quello che va per la maggiore oggi.
Ora io ritengo che un bambino, un giovane abbia il diritto di essere educato all’idea di amore che ha scoperto, riconosciuto e vissuto nella famiglia a cui appartiene e che più corrisponde alla propria esperienza, ai propri ideali, non “all’amore di stato”.
Lo stato e la scuola non devono entrare in una questione come l’amore per imporre la propria visione, il compito di educare all’amore appartiene alla famiglia e a chi con la famiglia si confronta, collabora per aiutare i giovani ad approfondire il significato dell’amore che i genitori hanno trasmesso ai figli.
Vorrei fare una osservazione che mi sembra molto importante: questo problema dell’educazione all’amore nella scuola rende evidente, per chi ancora non l’avesse capito, la contraddizione insita nell’idea di scuola di stato in Italia. Su cosa si basa l’idea e la pratica scolastica oggi? Sul fatto che insegnanti casuali, scelti con criteri burocratici, insegnano a ragazzi casuali, capitati per caso in quella classe. Ma non sarebbe assolutamente ragionevole se i genitori (insieme agli studenti delle superiori) avessero la libertà, la possibilità di scegliere gli insegnanti a cui intendono affidare l’educazione dei loro figli, in continuità con l’esperienza educativa vissuta in famiglia? Questo renderebbe finalmente possibile l’esistenza di un reale, vero pluralismo educativo. Purtroppo la cultura laicista italiana, di origine risorgimentale e illuminista, ha impedito e continua a impedire una riforma della scuola italiana, che la metta al livello delle esperienze di molti paesi europei, che da decenni attuano il pluralismo educativo. Una situazione inconcepibile!
Detto questo io penso che noi dobbiamo batterci con tutti i mezzi contro questo indottrinamento dei ragazzi nelle scuole su temi così delicati e importanti come l’educazione all’amore, al riconoscimento e allo sviluppo della propria identità, superando quella idea tanto diffusa di dialogo, secondo la quale uno per dialogare deve essere un po’ meno se stesso. Dobbiamo lottare affinché tematiche di grande valore antropologico e culturale siano e rimangano responsabilità della famiglia e di quei luoghi educativi a cui la famiglia chiede una collaborazione per sviluppare la propria responsabilità educativa, sto pensando ad esempio agli ambiti dell’educazione cristiana.
Ma la vera novità in Italia che eviterebbe proposte così strampalate e dannose come quella del ministro della P.I. rimane quella di garantire quella che è la base per la costruzione di un paese democratico e civile: la libertà di educazione. Purtroppo le cronache registrano ogni giorno attacchi ed ostacoli di ogni tipo a persone e istituzioni che cercano di realizzare la suddetta libertà, l’ultimo esempio è la fuga degli insegnanti dalle scuole paritarie perché vincitori di concorso nella scuola di stato. Ma come pensiamo di realizzare una vera esperienza educativa, di cui tutti sottolineano l’urgenza per un mondo giovanile sempre più confuso, fragile e disorientato, con un reclutamento degli insegnanti attuato esclusivamente con criteri burocratici e con metodi centralistici e escludendo o emarginando la famiglia dalla scuola? Non è venuto il momento di riprendere con decisione e rinnovato impegno la battaglia per la libertà di educazione?