I mandanti della strage di #Orlando
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Capita a volte di rileggere alcune pagine che ridanno fuoco alla vita. Magari perché un amico, più attento di te, te le ricorda. E così trovi conforto, conferma e correzione nel cammino, e anche ragioni di confronto e dialogo.
Mi è appena capitato di rivedere queste pagine della «Vita di don Giussani» scritta da Savorana che indicano il cuore e la ragione di questo grande maestro ed educatore. E sono parole che oggi hanno un peso e una stringenza ancora più grandi.
Basta pensare alla confusione in cui oggi anche il mondo cattolico sta vivendo, quasi senza più sapere testimoniare quella verità che, unica, salva. Addirittura una paralisi del pensiero, della comunicazione, del coraggio, e quindi non più una presenza, ma una assenza che accetta la logica del mondo come condizione per potere entrare in dialogo con l’uomo di oggi.
Così non ci si accorge che si diventa anche noi parte di quel mondo che non ci può accettare. Il sale che perde il suo sapore. E questi giorni sono la tragica dimostrazione di come il silenzio dei credenti lasci il campo libero di fronte alle più assurde e sconclusionate accuse (avete visto che – per esempio – la tragedia dei 50 gay trucidati da un simpatizzante dell’ISIS è occasione per accusare la Chiesa e i cattolici di omofobia, fino ad indicare Adinolfi e il Vaticano come i mandanti di quella strage?)
Giussani commenterà le accuse di Rodelli [1] con parole che alternano ironia a sconcerto: «Ma, scusate, voi avete lì il compagno radical-socialista in banco, voi alla mattina arrivate alle otto e un quarto, lo guardate in faccia e — fissando gli occhi dentro ai suoi occhi — gli imponete il verbo divino... fate così voi? Ma capite che razza di ridicole affermazioni sono queste? Dire con chiarezza quello di cui sono persuaso è imporre autoritariamente? Oh, bella! [...] Non è imposizione autoritaria la chiarezza e la certezza delle affermazioni, perché io non obbligo nessuno, anzi: quanto più io ti affermo cose precise, tanto più io aiuto la tua libertà, perché tu sai con più chiarezza quello a cui dire sì, o quello a cui dire no. Invece, se io dico delle parole melate, tranquille, ponderate, sagge (come certi professori che non interrogano a scuola, che non dan voti e promuovono tutti, al Beccaria, poniamo), equilibrate, aperte, comprensive... ed equivoche, io tendo a portarti da una certa parte facendoti credere che vai dall’altra. Io ti meno per il naso». Al contrario, «chi parla con chiarezza non è nemico, ma amico della tua libertà, e il cristiano dice pane al pane e vino al vino di fronte all’avversario, non per imporgli quel che dice, ma perché possa con tutta coscienza scegliere, anche di contraddirmi». E per quanto riguarda il dialogo democratico, Giussani invita a stare attenti a un altro equivoco, perché «per costoro il dialogo è democratico quando uno non è sicuro di quel che dice. Se noi siamo in cinque: un radicale, un socialista, un liberale, un marxista e me, cattolico. E il cattolico dice: “Dio è uno e trino”, il socialista, il liberale e il radicale dicono: “Tu sei come un marxista, tu sei un dittatore, perché affermi con assolutezza una cosa”. Allora io, di rimando: “Voi tre siete veramente dittatori, perché per voi uno è libero di affermare tutto ciò che vuole, soltanto che coincida con quello che dite voi. Voi siete dei relativisti, per voi non c’è la verità, ma c’è soltanto il parere di ognuno, tante verità quante sono le coscienze, non c’è la verità assoluta. Io dico che c’è la verità assoluta”. Io non posso dire che c’è la verità, perché se dico che c’è la verità assoluta, sono fascista. Invece sono loro democratici che pretendono che io abbia il loro parere». [Savorana, Vita di Don Giussani, p. 231]
[1] Nel 1958 era uscito un libro di Rodelli (Preti in cattedra) che accusava don Giussani e gli studenti che lo seguivano descrivendoli così: «Hanno [...] una gran paura di gettarsi in acqua per imparare a nuotare, temono di naufragare nel mare delle opinioni e delle parole di cui non conoscono la “vera” portata! [...] Gli è che se a scuola imparassero il significato e la portata delle parole, discutendo tra loro e con gli insegnanti, essi “si autoformerebbero in autonomia totale”! Guai! Arriverebbero a credersi capaci di risolvere tutti i loro problemi da soli; sciocchini! Come potrebbero allora lasciarsi guidare dai preti, i quali, per poterli guidare senza aver l’aria di imporre, vogliono che i giovani si abituino a chiedere sempre il parere del “sacerdote”, e il suo giudizio sulla “vera portata” delle parole?» [Savorana, Vita di Don Giussani, p. 230]