L'abolizione del peccato
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Cari amici,
rileggendo il bellissimo “Ortodossia” (1908) di Chesterton sono rimasto colpito dal capitolo 6 relativo alla morale cristiana. Chesterton, prima, esamina la morale in voga nel mondo pagano e le sue parole sono veramente illuminanti:
Un pagano sensibile direbbe che ci sono quelli che uno può perdonare e quelli che non possono essere perdonati. Fin dove l’atto è perdonabile è perdonabile l’uomo.
Questo, di per sé, è razionale ed anche comodo. Aggiungo che sotto sotto ci sta il primato dell’ordine sociale sulla persona. Infatti, un atto che mette a rischio la stabilità sociale era imperdonabile: per questo nei primi secoli dell’impero romano tanti cristiani furono uccisi, perché l’unica funzione della religione pagana era di carattere sociale. Prosegue Chesterton:
Il cristianesimo è arrivato all’improvviso con una spada ed ha diviso il delitto dal delinquente: il delinquente può essere perdonato fino a settanta volte sette, ma il delitto non deve essere perdonato affatto.
Questo vale, tanto più, anche per il peccatore ed il peccato. Questa separazione deve essere assolutamente rigida, altrimenti il disastro totale è assicurato. Prosegue GKC:
Più esaminavo il cristianesimo, più trovavo che mentre aveva stabilito una regola e un ordine, lo scopo principale di quest’ordine era di permettere alle cose buone di avere libero sfogo. La libertà mentale ed emozionale non è così semplice come pare. Richiede, in realtà, un accurato equilibrio di leggi e di condizioni.
[…] Si suole dire, specialmente nei nostri ambienti pacifisti, che quando il leone giace con l’agnello diventa simile all’agnello; ma questa sarebbe una brutale annessione imperialistica da parte dell’agnello: vale a dire l’agnello assorbirebbe puramente e semplicemente il leone invece di essere il leone a mangiare l’agnello. Il vero problema è: “Può il leone giacere con l’agnello e conservare ancora la sua regale ferocia?” Ecco il problema in cui la Chiesa si è cimentata, il miracolo che ha compiuto.
[…] Chiunque può dire “Né essere spavaldi né umiliarsi” e sarebbe un limite; ma il dire “Qui potete essere spavaldi e qui potete umiliarvi” è una emancipazione. La scoperta del nuovo equilibrio è questo il fatto importante dell’etica cristiana.
[…] Questo spiega quello che della storia del Cristianesimo resta inesplicabile a tutti i critici moderni; voglio dire le mostruose guerre intorno a minuscole questioni di teologia, i terremoti di emozioni per un gesto ed una parola. C’era la differenza di un pollice, ma un pollice è tutto quando si tratta di raggiungere un equilibrio. Una volta lasciata che un’idea perda di potenza, un’altra diventerà troppo potente. Non è un gregge di pecore che il pastore deve guidare, ma un’orda di bufali e di tigri, di ideali terribili e di dottrine divoranti, ognuna abbastanza forte per trasformarsi in una falsa religione e devastare il mondo.
[…] Qui basta notare che se qualche piccolo errore fosse stato commesso nella dottrina, enormi ne sarebbero state le conseguenze sull’umana felicità.
Per questo la Chiesa Cattolica è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento, restando in equilibrio.
Oggi, purtroppo, un virus terribile ha colpito la Chiesa e molti uomini apparentemente appartenenti ad essa hanno compiuto qualcosa di profondamente diabolico: hanno mescolato peccatore e peccato fino a far credere che il peccato sia solamente una questione teorica come la dottrina, ma di fatto sia stato abolito. Lo squilibrio nefasto è avvenuto proprio sul concetto di misericordia. Scrive don Divo Barsotti nell’introduzione a “Iota unum” pubblicato da fede & cultura nel 2009:
I più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente ad un generale disordine mentale per cui viene messa la “caritas” avanti alla “veritas”, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità. La cristianità, prima che nel suo seno si affermasse il pensiero di Cartesio, aveva sempre proceduto santamente facendo precedere la “veritas” alla “caritas”, così come sappiamo che dalla bocca divina del Cristo spira il soffio dello Spirito Santo, e non viceversa. Nella lettera con cui Amerio presenta al filosofo Augusto Del Noce quello che sarà poi il celebre “Iota unum”, egli spiega chiaramente il fine per cui lo ha scritto, che è “di difendere le essenze contro il mobilismo e il sincretismo propri dello spirito del secolo”. Cioè difendere le tre Persone della Santissima Trinità e le loro processioni, che la teologia insegna avere un ordine inalterabile: “In principio era il Verbo”, e poi, riguardo all’Amore, “Filioque procedit”. Cioè l’Amore procede dal Verbo, e mai il contrario. Di rimando Del Noce, evidentemente colpito dalla profondità delle tesi di Amerio, annota: “Ripeto, forse sbaglio. Ma a me pare che quella restaurazione cattolica di cui il mondo ha bisogno abbia come problema filosofico ultimo quello dell’ordine delle essenze”. Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno della santa Verità alla base di ogni atto.
Scrive Chesterton nel suo “Tommaso d’Aquino”: “La falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore”. Mettere la caritas avanti la veritas è qualcosa di così “orribilmente simile, e di così orribilmente dissimile che (come l' Anticristo), potrebbe ingannare gli stessi eletti”. In effetti, si potrebbe dire che il risultato che si ottiene è una parodia di Dio, che è simboleggiato nel profondo proverbio che “il diavolo è la scimmia di Dio”.
Parafrasando Chesterton, la falsa chiesa dell’anticristo è il luogo dove tutte le eresie si danno appuntamento per erigere la falsa misericordia! San Pio X definì il modernismo la cloaca (collettore fognario) di tutte le eresie.
Capite bene, che la falsa misericordia che “precede” la verità per escluderla è più distruttiva, per la fede cristiana, di una guerra termo-nucleare. Questa falsa misericordia si esplicita in una, e una soltanto, morale: l’etica della situazione, che si fonda sul senso della libertà senza alcun contenuto veritativo. Questa etica è già stata severamente condannata dal Magistero di Pio XII e dall’enciclica Veritatis splendor di San Giovanni Paolo II. L’etica della situazione è perniciosa. Lo spiega da par suo padre Cornelio Fabro nel suo “L’avventura della teologia progressista” del 1974:
[…] Ecco la morale cristiana dei tempi nuovi ossia del «cristiano maggiorenne» (oggi si direbbe dei cattolici adulti! Ndr): essa non è né eteronoma e precettistica nel senso tradizionale, né autonoma e ancora precettistica nel senso kantiano, ma teonoma. Ed egli [Robinson] lo spiega in un modo abbastanza caratteristico. La morale teonoma è definita come quella che riconosce come unico principio del proprio orientamento morale l’amore: «Soltanto l’amore può essere aperto a ogni situazione particolare [concreta] o meglio alle persone nelle loro particolari situazioni, in se stesse e per se stesse, senza perdere il proprio orientamento e la propria incondizionalità». Per questa ragione l’amore è la sola etica in grado di offrire un elemento di sicurezza in un mondo continuamente in movimento e che resti di fatto sempre libera e indipendente dal mutare delle situazioni. È il principio guida di quella che da un quarto di secolo si chiama appunto l’«etica della situazione» (Situationsethik). In questa concezione l’unico male intrinseco e l’unico peccato è la «mancanza di amore» (lack of love). Matrimonio e divorzio allora, per tornare all’esempio di fuoco del mondo contemporaneo, matrimonio e procreazione vanno regolati dalla situazione e non da prescrizioni; questi comportamenti cioè vanno visti non dall’esterno ma dal nocciolo della situazione personale di ogni individuo. Perciò può darsi benissimo che il divorzio sia un bene maggiore anzi l’unica soluzione veramente morale perché l’unica corrispondente alla legge dell’amore, e l’indissolubilità del matrimonio diventare un male poiché è diventato una situazione falsa. Quindi, secondo la situazione, il rapporto matrimonio-divorzio può capovolgersi, e il divorzio diventa l’unica soluzione morale. Facile, su questa base, l’applicazione al problema della regolazione delle nascite, a quello della condotta prematrimoniale e simili.
Questa posizione, tipicamente protestante, ha preso piede anche nella teologia cattolica. Qui padre Fabro è veramente chiarissimo e pieno di quella che si può ben definira “santa ira”:
Che cosa sta accadendo ora in teologia? O, piuttosto, che cosa sta accadendo da un paio d’anni o poco più (siamo nel 1974! NDR) anche in Italia, in questo campo che dovrebbe rappresentare l’orientamento di fondo della coscienza religiosa e il punto di riferimento di quanti aspirano a una verità e a un conforto oltre il tempo? Termini come «secolarizzazione» e «demitizzazione» nel campo biblico-dogmatico (e nel campo morale quelli di «psicanalisi» ed «etica della situazione») sono passati sulla Chiesa post-conciliare come un turbine di fuoco facendo il deserto dello spirito. Il pubblico dei fedeli, anche quello che frequenta le chiese e segue devoto i riti liturgici, si domanda sbigottito e smarrito che cosa sta accadendo. La stessa stampa laica, una volta sprezzante e assente, si sta buttando da qualche tempo sull’argomento come su un boccone ghiotto, gongolante nell’assistere allo spettacolo o regalo offerto dagli stessi teologi e uomini di Chiesa con l’affossamento di quelle verità che fino a ieri si presentavano eterne e che traevano da questa perennità nello scorrere del tempo l’efficacia di conforto sul male e di salvezza dal peccato. È a conoscenza di tutti che un numero di «Panorama» del 1972 (n. 349-350) ha presentato in un modo, piuttosto pittoresco, ma sintomatico, il sabba del sesso con il consenso di rappresentanti della nuova teologia. Qui la sconcezza dell’esposizione non ha carattere episodico ma è il segno e il sintomo del rigurgito di una società in putrefazione, che trova per la prima volta nella sfera della stessa teologia cattolica ammiccamenti e consensi di autentica solidarietà. Ciò che fino a pochi anni fa incuteva orrore e costituiva peccato, ed era evitato perciò come tentazione, ora anche da questa teologia è preso per tabù repressivo dell’espansione e celebrazione della vita. Nei seminari le nuove norme hanno introdotto la psicologia sessuale (non bastava per una pastorale sana un buon corso di psicologia dell’età evolutiva con elementi di psicopatologia?) e l’effetto è stato immediato: i seminari si sono svuotati e le siepi di ortiche pullulano di tonache di preti e frati convolati allegramente (ma non tanto, poi!) alla proclamata integrazione affettiva.
Nella lotta della Chiesa per la difesa della dignità della vita e per l’esaltazione della purezza degli affetti, ammirata e raccomandata (anche se raramente praticata) dallo stesso paganesimo e nel pensiero moderno da un ateo come Fichte e da un materialista come Feuerbach, questi nuovi teologi si sono decisamente schierati e si stanno schierando dall’altra parte della barricata, quella dell’edonismo e della volgarità: non sono essi certamente disposti a difendere ancora la dottrina tradizionale sulla dignità del matrimonio, a trasmettere alle anime e ad applicare i documenti del magistero (diventati piuttosto rari, ma chiari e sufficienti). Invece questi giovani teologi buttano all’aria il fondamento della dogmatica e rifiutano l’ascetica per proclamare l’impegno di esperimenti da liaisons dangereuses: quello che prima era fango e miseria morale, ora passa per attuazione della personalità e, nei casi limite, è classificato al più come aberrazione psicologica e malattia. Il peccato, che l’antica teologia qualificava come prevaricazione della libertà e offesa di Dio, è diventato ora un affare privato dell’uomo con se stesso, che non ha né può avere alcuna incidenza con il rapporto a Dio: il peccato, nel senso della teologia classica, è per costoro invece ridotto a un residuo dello schiavismo spirituale di epoche di arretramento economico e sociale.
Non per nulla questi «pornoteologi» parlano con estrema serietà della funzione liberatrice del marxismo e del freudismo più outrancé. Ma non parlano soltanto: essi si schierano apertamente a fianco dei Filistei, dei Gebusei e dei Ferezei… contro il popolo eletto dei credenti: scorrazzano per i convegni, da un capo all’altro dell’Italia – e pare che abbiano fatto Pro Civitate Christiana di Assisi la loro «Cittadella» – per proclamare la libertà sartriana dell’atto gratuito, emuli di certi Catari medievali. E se l’autorità è intervenuta qualche volta allontanando dalla cattedra qualche falso profeta o richiamando all’ordine i più esagitati – i quali comunque stanno conducendo una fortunata marcia di occupazione delle cattedre nelle stesse facoltà teologiche di Roma e fuori Roma –, costoro sono i primi a strillare e protestare. La criticano come relitto di oscurantismo, la accusano come istituzione repressiva con i «fermi di polizia» teologica, la rifiutano come istituzione decrepita «fuori del tempo» e sorda al messaggio autentico di liberazione dell’uomo da parte della scienza, della tecnica, del benessere, del week-end, ecc. ecc.
A questa teologia morale del rifiuto della legge morale naturale fa da spalla, anzi da fondamento, una teologia dogmatica del rifiuto dei dogmi e dello sviamento delle verità fondamentali del Credo: un’improvvisa e totale capitolazione di fronte al razionalismo della teologia liberale protestante, colorato oggi da un pizzico di esistenzialismo e da molto marxismo.
Essenziale, per comprendere il ribaltamento effettuato, la frase relativa al peccato:
“Il peccato, che l’antica teologia qualificava come prevaricazione della libertà e offesa di Dio, è diventato ora un affare privato dell’uomo con se stesso, che non ha né può avere alcuna incidenza con il rapporto a Dio”.
Detto in altri termini è l’abolizione del peccato, che tuttavia è fondamento di questa teologia anticristica: infatti, come la Redenzione di Cristo è fondamento della Chiesa e dell’antica teologia, così il peccato originale è fondamento dell’antichiesa e della «pornoteologia».
Nel mondo pagano, il cristianesimo è arrivato all’improvviso con una spada ed ha diviso il peccato dal peccatore: il peccatore può essere perdonato fino a settanta volte sette, ma il peccato non deve essere perdonato affatto.
Nel mondo cristiano, l’anti-cristianesimo è arrivato all’improvviso con la suadente e melliflua parola “amore” per perdonare il peccato fino a settanta volte sette al fine di abolirlo e per condannare sempre non solo il peccatore, ma molto più per condannare a morte l’innocente. Sempre! Perché il diavolo è omicida fin dal principio ed uccide in nome del falso amore, perchè menzognero fin dal principio …
Da qui nascono il miliardo di aborti nel mondo, l’utero in affitto, l’esperimento sugli embrioni umani, i matrimoni gay con relativa adozione e, dulcis in fundo, l’eutanasia, la dolce morte dell’innocente.
L’etica della situazione rende vana la Croce di Cristo. Esiste, forse, dolore più grande, dolore che più fa sanguinare il Sacratissimo Cuore di Gesù ed il Cuore Immacolato di Maria, sua e nostra Mamma?
Per non rimanere nel vago ecco in allegato un piccolo esempio di cronaca, ormai storia, relativo ad Eluana Englaro.