Lalli: L’utero artificiale renderà le donne più libere (dal cervello)
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(G. K. Chesterton)

C’è sempre un assente (ingiustificato) negli interventi brevi o lunghi di Chiara Lalli. Dall’alto del suo scranno, la filosofa, saggista, bioeticista, femminista, docente universitaria e chi più ne ha più la innalzi rispetto a noi, comuni mortali, è evidentemente così presa dalle grandi (!) questioni sui diritti (ma solo degli adulti), la parità di genere, l’aborto, l’eutanasia, la lingua sessista, la lotta agli stereotipi, ai cattolici, ai medici obiettori… che proprio non li vede, i bambini. Grumi di cellule, ectoplasmi, al massimo oggetti di desiderio degli adulti, da fabbricare a piacere e guai se sono fallati.
In un articolo sul settimanale Internazionale, dal titolo “L’utero artificiale renderà le donne più libere”, la Lalli riprende un lavoro di Evie Kendal e fantastica su quanto sarebbe bello per le donne sentirsi finalmente come i maschi che i figli mica li portano in grembo. Arrivano a casa, un giorno, già belli confezionati.
Scrive e sogna, la giornalista, ma non le viene mai in mente che per mettere al mondo un essere umano i soggetti interessati sono tre: madre, padre, figlio. Manca il padre, in questo articolo, ma in fondo è comprensibile (il ’68, se no, che c’è stato a fare?), e vabbè: alla sua lotta dura e senza paura contro il maschilismo ormai siamo abituati. Ma manca soprattutto, in questo incensamento della macchina-fabbrica bambini, un qualsiasi accenno ai figli. Come non fossero mai stati fatti studi sulla vita intra-uterina (uteri di carne e sangue, placenta, e cordone ombelicale); studi sul legame inestirpabile con la madre che si instaura da subito e per sempre. Piccolissimi, nel corso della gravidanza memorizzano il ritmo del battito del cuore della mamma, e prendono confidenza con la sua voce, che riconosceranno fra tante…
Proprio non ce la fa, la Lalli, a calarsi nei panni di un bambino (della bambina che è stata!), a pensare quanto possa essere drammaticamente diverso passare nove mesi nel grembo della propria madre o dentro l’oblò di una macchina.
Vuoi che tra una lezione universitaria, una manifestazione arcobaleno e una comparsata in tivù non le sia mai capitato di vedere dei bambini prematuri o immaturi nelle incubatrici? E quanto bisogno hanno di un contatto fisico con la propria madre? Faccia un giro in neonatologia e osservi cosa si inventano per offrire al piccolo un ambiente che assomigli il più possibile a quello, inimitabile, che aveva conosciuto nel grembo. Retorica pure questa, come quella che Chiara Lalli denuncia in punta di penna un giorno sì e un giorno no accusando le donne (pure le sue amiche femministe) di portare argomenti alle loro tesi contro l’utero in affitto, fallaci che neanche il pensiero magico?
E allora, se ne facciano una ragione, i bambini che verranno. Gli adulti (certi adulti) i figli preferiscono fabbricarli: paghi ma eviti dolore e fatica, vuoi mettere? (Procrearli non si può più dire: sa di Creatore e dunque di Chiesa e la Chiesa è indietro almeno di duecento anni dal Lalli-pensiero e dalla modernità: sappiatelo)
Oggi va di moda così. In nome della libertà (ma solo degli adulti), nel paese dei balocchi immaginato da Lalli & C. troveremo nella lista nozze degli amici pure l’utero artificiale. Lo sistemi in un angolo, ché ti potrà sempre servire: magari per noia, dopo i viaggi, la carriera, le scorribande giovanili, un giorno ti verrà il ghiribizzo di scongelare gli embrioni che avevi accantonato e, fregandotene di quel cattivone di orologio biologico, potrai toglierti lo sfizio di diventare madre a… 70 anni. Chi sono io per giudicare?
Sempre in nome della libertà (ma solo degli adulti) la Nostra aveva già sdoganato – lo dico in disordine, come viene viene - la vendita e l’acquisto di gameti maschili e femminili, l’affitto di uteri altrui, la compravendita dei bambini, la scelta degli embrioni, la selezione del figlio (il difettoso si butta), l’omogenitorialità, la plurigenitorialità… dunque, ben venga l’utero artificiale, la macchina-fabbrica bambini, se può colmare “la disparità nella distribuzione dei rischi associati alla riproduzione”, che notoriamente “sono tutti a svantaggio delle donne”. L’utero artificiale, scrive, “potrebbe consentire quell’uguaglianza che la biologia ostacola”. E se può evitare alla donna “nausea, scomodità, restrizioni alimentari, divieto di fumare e di bere, smagliature”… perché no?
Nel mondo nuovo sognato da Chiara Lalli, liberi tutti, bambini esclusi. Sesso senza amore e amore senza sesso, figli messi in cantiere senza rapporti sessuali e cataloghi per scegliere il seme maschile e i gameti femminili doc , perché il figlio va bene se è perfetto e una o due madri, uno o due padri noti o ignoti per lei pari son. Una volta dato il la in laboratorio, che bello quando gli embrioni potranno essere coltivati in uteri artificiali.
E nei nove mesi in cui del bambino si preoccuperà un ventre d’acciaio e anche dopo, quando tuo figlio verrà allattato artificialmente, e educato dal compagno, la compagna, o nonni, zii, vicini di casa, estranei (ma anche robot, perché no?) così non perdi tempo per lui, tu, donna in forma smagliante perché l’utero è tuo e hai deciso di tenertelo stretto, come un soldatino continuerai a (in)seguire lavoro e carriera: libera dalla sudditanza di marito e figli, obbedientissima al datore o alla datrice di lavoro. De gustibus.
Ma poi? Evitati, grazie all’utero artificiale, il gonfiore alla caviglie, i chili di troppo, le smagliature, il travaglio, le fatiche del parto, che facciamo? Un figlio è per sempre. Come la mettiamo quando ha la febbre alta, si sbuccia un ginocchio, si rompe un braccio, si ammala, torna tardi la sera, va male a scuola, si è lasciato con la morosa, non trova lavoro…? Cervello e cuore artificiali, così non sentiamo il nostro e il suo male di vivere?
Per i problemi seri c’è l’eutanasia. L’ha già scritto, la Lalli che è tanto buona e si occupa di noi dalla culla alla tomba, nel suo “Secondo le mie forze e il mio giudizio. Chi decide sul fine vita”. E il cerchio si chiude.