Il “sì” all’amore (anzi, all’Amore)
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(Papa Francesco)

E’ un rumore impercettibile quello dei semi che cadono a terra, delle gemme che si spaccano, dei fiori che sbocciano. Non fa rumore la loro storia. Nemmeno questa, e infatti non è finita sui giornali o nei talk show. Non c’erano telecamere a riprendere, non c’erano giornalisti.
Sabato 9 aprile, un sabato come tanti. Shopping, passeggiata, aperitivo in centro, soliti programmi in tivù, solite notizie dai media: indiscrezioni sul Panama Papers, stallo sul caso Regeni, caccia ai terroristi del fondamentalismo islamico, le ragioni del sì e del no per il referendum del 17 aprile, e poi la disoccupazione, la crisi che non molla, la cronaca nera che non manca mai. Niente di nuovo, nessuna bella notizia.
Un altro week-end da riempire, altro giro di ruota di criceti nella gabbia di un mondo che sembra sempre uguale a se stesso: giorni che ripetono altri giorni. Noia.
Secondo piano di una palazzina rosso veneziano. Ore 17. C’è la tovaglia bella, sul tavolo. E i calici per il brindisi, e mazzi di fiori, e una grande torta. Risuona nelle stanze l’allegria dei più giovani: fratelli e cugini dagli otto ai tredici anni che giocano e che di quella casa, la casa dei nonni, conoscono ogni angolo, ogni segreto. E tutto racconta della loro mamma o del loro papà, che lì hanno vissuto, lì hanno lasciato il segno.
In sala c’è festa, ad un tratto si applaude. Si ricorda quel giorno, 55 anni prima, e si guardano foto, e si raccontano aneddoti. Ricordi, la sera prima, il batticuore? E l’entrata in chiesa, e quel momento così tanto atteso? Si fa l’appello: molti non sono più qui, e ci si commuove.
Da quel “sì”: due lettere (che bello quell’accento sulla seconda, che pare già nascondere il punto esclamativo!)… Da quel “sì”, da quelle due lettere, quattro figli, otto nipoti. Non ci sarebbero, altrimenti.
Sono lì, i quattro figli: due maschi e due femmine, nati dal 1962 al 1974. Sono lì le loro mogli, i loro mariti, i figli che negli anni sono venuti alla luce. Due all’università, i più piccoli alla scuola elementare.
Da quel “sì”, da quelle due lettere pronunciate in chiesa davanti al prete e davanti a Dio, una famiglia di 18 persone. Attorno alla torta per i 55 anni di anniversario, attorno ai festeggiati.
Lei compirà 80 anni a luglio, lui di anni ne ha quasi 88, manca pochissimo. Lei è vestita d’azzurro, che è il suo colore preferito (gliel’ha chiesto lui di indossare quel vestito lì, quel colore lì); lui ha scelto la cravatta più bella e ha voluto la camicia azzurra, e quei pantaloni, e quella giacca, e pazienza se è dimagrito e gli stanno un po’ larghi. Lui è stato il primo ad entrare nella stanza della festa. Ha aspettato tutti lì.
Lo guardi seduto dietro il tavolo e non diresti che non sta bene: accoglie e bacia tutti e sorride, e ringrazia, ed è felice.
E’ da più di tre mesi che è sempre a letto per problemi di salute seri. Due degenze in ospedale e poi a letto a casa, accudito sempre perché da solo non può più fare niente. Muove solo il braccio destro. Ma parla bene, ha una memoria di ferro e non ha perso la sagacia, l’ironia, il buon umore.
Per l’anniversario ha chiesto di essere vestito e di essere messo in sedia a rotelle, perché l’anniversario di matrimonio è una cosa seria. Non è un giorno come gli altri, il giorno che dà inizio a una storia grande come una famiglia che il 9 aprile 2016 è di 18 persone! E’ un “principio non negoziabile”, alla faccia di chi dice che i principi sono ciarpame da mandare in soffitta.
Si festeggia, in quella casa, in quella sala: si ricorda il passato, si dialoga sul presente, ci si confronta sul futuro (i progetti all’università dei nipoti più grandi, la scelta dell’indirizzo di scuola superiore per i due di mezzo, l’iscrizione al primo anno della scuola media, i progressi nello sport o nella musica…). Si racconta la vita, anzi, la si vive, la vita – le sue gioie, i suoi dolori – con l’intensità di chi dà valore al tempo perché, da tre mesi, ha capito che ogni secondo di ogni giorno è regalato.
E si fa carne, in quella stanza, la promessa di matrimonio pronunciata 55 anni fa, che poi è la stessa mia di 24 anni fa, la stessa delle coppie che sono in quella sala. “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.
Guardi lei, 80 anni. Guardi come gli infila di nuovo la fede all’anulare, come guarda il suo sposo, e commuove la tenerezza dei suoi gesti quando lo aiuta a mangiare la torta, o gli accarezza quella mano che non si muove più. Guardi lui: gli brillano quegli occhi innamorati, quando lei gli accarezza il viso, quando scattano le foto con i figli e i nipoti accanto. Lei gli pulisce la bocca, lui è geloso se si fanno complimenti alla sua bella moglie, ma orgoglioso nel cuore.
Poi non lo dice ma lo vedi che è stanco: sono passate due ore e mezzo. Allora lo accompagnano in camera, lo spogliano, lo rimettono a letto: il letto come quelli dell’ospedale, con le bandine e il materasso anti decubito. Ma la festa continua, e dopo cena i figli e i nipoti maschi guardano la partita con lui, che quand’era giovane giocava a calcio nella squadra del paese, e la passione è rimasta.
Non è roba da farfalle nello stomaco o uno spot di “love is love”, quella che vedi al secondo piano della palazzina rossa. Neanche rivendicazione di diritti.
E’ l’“amoris laetitia” che esce dall’Esortazione papale e si fa carne e sangue, croce e resurrezione quotidiana. Perché “laetitia” ha la stessa radice di “laetamen”, che non sa di rosa fresca aulentissima, ma puzza proprio come il liquame che esce da neonati e malati non autosufficienti, eppure rende fecondo il terreno, così crescono alberi, si schiudono i fiori, maturano i frutti.
Fa un rumore impercettibile la vita quando sboccia, proprio come questa storia. Ma non servono gesti eclatanti perché sia primavera, e non serve finire sulle prime pagine dei giornali o sotto i riflettori della tivù, perché l’esperienza insegna che le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo. Si comincia da poco: due lettere, un “sì” all’amore (anzi, all’Amore), un “sì” alla vita, da rinnovare ogni giorno.
Me l’hanno ricordato sabato i miei genitori, alla festa per il loro anniversario, al secondo piano di quella palazzina rosso veneziano.