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La rivoluzione d'ottobre

Autore:
Stocchi, Gianluca
Fonte:
CulturaCattolica.it

Ci sono pagine di letteratura che sono estremamente attuali. Accade di leggere un brano di scrittori come Chesterton o Guareschi e di ritrovarvi in miniatura o amplificata la realtà che stiamo vivendo noi oggi. Ci sono autori che hanno intravisto il futuro a partire dal loro presente. Altri che avendo sperimentato sulla loro pelle il totalitarismo lo hanno descritto nei minimi dettagli, penso ad esempio a Solzenicyn, e ci consentono oggi di riconoscerlo anche se ha cambiato di forma e si presenta diversamente.
Questa pagina di Guareschi può far riflettere su cosa implica il nostro sistema scolastico, oggi come al tempo dell’Autore che già ravvisava la falsità di tante verità enunciate nell’istituzione scuola: l’appropriazione indebita del modo di pensare dei ragazzi. Il senso critico è frammisto a uno sguardo simpatico, ironico e scanzonato, come era suo solito, in maniera da non essere sommersi dall’amarezza, pur legittima. E questo sguardo è unito in un senso profondo dell’essere famiglia. Ed è unito in un’identità solida, che per Guareschi è l’identità cristiana, che tutto vaglia alla luce del vero bene per l’uomo. Lo Stato non è sussidiario rispetto alla società delle famiglie. Lo Stato ha iniziato a dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato di suo arbitrio sotto le pressioni di mille strutture asfissianti. Questo è ciò che possiamo e dobbiamo impegnarci a fare per il bene delle future generazioni: insegnare la libertà di pensiero, riconoscere il bene il bello il vero con leggerezza. Tanti discorsi complicati possono essere smontati, da una mattina di gioco all’idroscalo, dall’innocenza di un bambino che dice “Io sono me” come la Pasionaria del nostro racconto.

La rivoluzione d'ottobre

La Pasionaria era già pronta per uscire: si sedette con molta serietà sull'angolo del divano.
- Me aspetto, - disse.
Mi alzai e, agguantata la giacchetta, me la infilai.
- Sono pronto anche io, - risposi avviandomi verso la porta. Ma la Pasionaria non si alzò e, quando fui sul pianerottolo e non la vidi arrivare, tornai sui miei passi e trovai la Pasionaria ancora seduta dignitosamente sull'angolo del divano.
- E allora? - domandai.
- La barba, - rispose la Pasionaria senza scomporsi.
Ora bisogna considerare che io, nato nel cuore dell'Emilia, terra di grandi passioni, sono un impulsivo e così, spesso, mi accorgo di aver detto cose che non ho avuto il tempo di pensare. Davanti a quella assurda pretesa, mi ribellai con irruenza.
- Tua madre mi ha conosciuto che avevo la barba lunga, mi ha sposato che avevo la barba lunga e non si è mai sognata neppure che io, per uscire con lei, dovessi farmi la barba. Chi sei tu che avanzi simili pretese?
- Io sono me, - rispose calma, quasi gelida, la Pasionaria.
Andai a farmi la barba. Poi dovetti cambiarmi anche la giacca e i calzoni e spolverarmi le scarpe: ma feci tutto ciò con tale aria di superiorità e di disgusto che, se non ha la pelle di rinoceronte, la Pasionaria deve averlo capito perfettamente.
Camminammo in silenzio per le strade del dolce autunno milanese, e ben presto arrivammo dove dovevamo arrivare.
Nel piazzale davanti alla scuola c'era gente: mamme, babbi, bambini, bambine e bidelli come nelle prime pagine di Cuore: e io ripensai all'altra volta, quando avevo portato nello stesso piazzale Albertino e poi lo avevo abbandonato ed egli era scomparso nella mandria, come un mattone nel muro.
Io sentivo nella mia mano la piccola mano tiepida della Pasionaria e vedevo le mamme e i bimbi e i babbi ma non respiravo l'aria di Cuore e non pensavo alle paroline zuccherate di Edmondo De Amicis.
Avevo la bocca piena di parole amare, e le masticavo a bocca chiusa e le mandavo giù, una per una, e molte mi si fermavano in gola.
Ancora una volta dunque sta per avvenire il sopruso e io dovrò lasciare la tua mano, Pasionaria, e tu andrai a incunearti nel buchino rimasto aperto nel muro.
Dunque addio anche a te, Pasionaria: tu esci dalla mia vita ed entri nella vita dello Stato.
Ti insegneranno l'ipocrisia statale e anche i tuoi pensieri non saranno più tuoi e vedrai le cose con gli occhi del Ministero.
Adios, Pasionaria.
Anche questa volta, come per Albertino, io avrò accettato il sopruso, dovrò aggiogare anche te, con le mie mani, al barbaro, orrendo, smisurato carro dello Stato.
Adios, Pasionaria!
Io, un tempo, quando sfogliavo le vecchissime Domeniche del Corriere leggevo sorridendo la spiegazione de Le nostre pagine a colori e mi facevano pena le donnette dei lontani paesi del Mezzogiorno che si mettevano in rivoluzione per impedire che vaccinassero i loro bambini. Ma allora non capivo un accidente e pensavo alla greve ignoranza, e alle nebbie grasse della superstizione che inducevano le povere donnette a reputare i medici governativi emissari di chi sa mai quale paurosa centrale di maleficio. E invece le donnette agivano per istinto e credevano 'di difendere le loro creature dal maleficio, mentre le difendevano dal sopruso dello Stato.
È un sopruso necessario ma la lancetta del medico che, per legge, inocula il benefico vaccino nel braccio di vostro figlio, è una zanna del gran mostro, lo Stato, che uncina una nuova tenera vittima.
Adios, Pasionaria: io adesso abbandonerò la tua mano tiepida e ti sacrificherò al dio crudele creato dalla gente che non crede in Dio perché, se vi credesse, potrebbe vivere felice all'ombra delle sue Eterne Leggi.
Adios, Pasionaria: lo Stato fa le strade e fa camminare le ferrovie e illumina le città, di notte, ma ci toglie la libertà, e regola i nostri atti e anche i nostri pensieri, e sempre di più ci avvince nella matassa ormai inestricabile delle sue leggi e dei suoi regolamenti, e sempre più ci trasforma in trascurabili ingranaggi di una orrenda macchina che consuma sangue e serve solo a macinare aria.
E io che mi indigno se il treno ritarda di cinque minuti, il treno dello Stato, io ora sono pieno di amarezza perché debbo permettere che lo Stato mi porti via la mia bambina per insegnarle l'abicì governativo.
Quale tempesta nel tenero cranio di un povero borghese che cerca di difendere la propria personalità e quella dei suoi figlioli da quel mostro che egli stesso ha contribuito a creare e che egli stesso alimenta togliendosi il pane di bocca.
Adios, Pasionaria.
Ormai le squadre si erano composte e le mamme e i padri si erano ritirati in mezzo al piazzale e i bambini erano rimasti tutti soli, addossati al muro della scuola.
Mancava soltanto la Pasionaria e io allentai le dita.
In quel momento le porte si aprirono e i bambini cominciarono ad entrare.
Un tassì era fermo all'angolo: lo raggiunsi di corsa e, spalancato lo sportello, mi buttai dentro come un sacco di patate.
La macchina partì di gran carriera e navigò per le strade di Milano e puntò verso la periferia. E, quando fu davanti all'acqua azzurra dell'Idroscalo, la macchina si fermò e noi scendemmo.
Dico “scendemmo” perché la Pasionaria era con me.
La Pasionaria era col ribelle.
I viali attorno al laghetto erano pieni di sole e deserti e ci divertimmo parecchio.
Ma io pensavo che a casa ci aspettava lo Stato: Margherita.
E questo mi amareggiò il divertimento. E quando a mezzogiorno tornammo, Margherita domandò alla Pasionaria com'era andata e la Pasionaria rispose che era andato tutto bene, che la signora maestra era buona, eccetera eccetera.
Poi mi guardò strizzandomi l'occhio perché si era stabilito che lei avrebbe dovuto dire questo e quest'altro, e così, con una strizzatina d'occhio, finì la mia rivoluzione di ottobre.

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