Per l’umano e per l’eterno
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Abbiamo pubblicato presso ARES questo libro, che ci introduce a una lettura appassionata e commovente di quanto Don Giussani ci ha insegnato.
«…Non si può dire amo i miei figli permettendo alla società di farne man bassa. Non si può dire: amo la mia famiglia, ci tengo alla mia famiglia, permettendo al costume sociale di distruggerla. Occorre il coraggio di difendere questi riferimenti in pubblico associandosi perché senza l’associarsi la debolezza del singolo o del particolare è travolta da qualsiasi forma di potere.» (Intervento di don Giussani durante un incontro con i responsabili del SIDEF (Sindacato delle Famiglie) avvenuto il 13/6/1993, pubblicato sul bollettino del SIDEF “Dimensione Famiglia” nel n. 84 dell’aprile/maggio 2005.

Questo è un libro nato dallo stupore e dall’amicizia. Quante volte, di fronte a fatti, spesso a difficoltà che abbiamo incontrato, ci siamo ricordati di ciò che don Luigi Giussani aveva detto, in situazioni analoghe. Quante volte ci siamo sentiti per telefono, o tramite un sms, o per e-mail, evidenziando ora una ora un’altra affermazione del «Gius» – come lo chiamavamo familiarmente – che riusciva sempre a conferire una luce intensissima a quanto stavamo vivendo, grazie a quella sua così speciale adesione a Cristo per cui era e ci aiutava a essere compiutamente figli di Dio, cioè cristiani, uomini nel mondo, ma non di questo mondo. Quante volte ci è sembrato che quella sua parola avesse una forza che superava il momento e la contingenza, anche rispetto alle problematiche più gravi!
Allora, trovandoci davanti alle domande e circostanze di oggi, è nato in noi il desiderio di leggere, prima, e poi di trascrivere ciò che questo nostro grande maestro aveva detto e scritto nell’affrontare questioni e situazioni simili. Integralmente, senza neppure alterare una virgola delle sue parole. E questo dialogo, che pure va definito «virtuale», ci è sembrato un ulteriore gesto di amicizia sua nei nostri confronti, e nostra nei confronti di chi vorrà fare con noi un pezzo di strada. Naturalmente il nostro primo pensiero va a don Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, e agli amici del Movimento in cui siamo cresciuti e che amiamo con tutto noi stessi.
Non abbiamo voluto forzare, come in un immaginario letto di Procuste, il dettato del fondatore di CL. Lo abbiamo sentito vicino – come è sempre stato quando era in vita – al cammino di fede e di presenza che, senza la sua chiarezza, sarebbe risultato per noi più fragile e con meno ragioni convincenti. Rispetto alla grande crisi del tempo presente, che è crisi sociale, religiosa, politica ed economica e di fronte alle difficoltà del nostro vissuto quotidiano nell’affrontare la realtà alla luce della fede, la prima domanda che informa questo testo è: «Che cosa avrebbe detto don Giussani? Come avrebbe risposto lui, come si sarebbe comportato in questa mia stessa situazione?».
Le successive domande e le rispettive risposte del Gius danno seguito a questo impulso interiore. Abbiamo, quindi, riportato alcuni pensieri del fondatore con libertà, scegliendo quei passi che ci hanno fatto vibrare, in cui abbiamo trovato argomenti e luce ai nostri quesiti, al nostro travaglio odierno. Non era e non è nostra intenzione manipolare i suoi insegnamenti, e per questo ogni passo è accompagnato da precisi riferimenti bibliografici, affinché il lettore possa reinquadrare ogni parola di don Giussani nel contesto originario. Questo libro non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno. È espressione e dà testimonianza di un percorso assolutamente personale per noi irrinunciabile: il rapporto che nella comunione dei santi continua con colui che un giorno ci ha affascinato e conquistati a Cristo, iniziando un dialogo costante, personale, che neppure la morte terrena ha potuto interrompere.
Agli esercizi della Fraternità di CL del 1982, don Giussani si esprimeva in questi termini: «Io spero che tutti nella fraternità si impegnino a livello sociale, culturale e politico, nei limiti del possibile»; e, ricordando la forza del movimento di Comunione e Liberazione dei primi anni, aggiungeva quanto segue: «Abbiamo affrontato problemi culturali e sociali in proporzione intensi almeno come quelli che affrontiamo ora, ma metodologicamente eravamo più chiari, netti (...): il punto di partenza era Cristo, era lo stupore, era la semplicità del riconoscimento di quell’avvenimento, di quello che accadeva, che era accaduto e che accadeva nel mondo: Cristo».
Nonostante don Luigi Giussani ci abbia lasciato ormai da dieci anni, la grazia dell’incontro con lui mantiene tutta la sua freschezza e tutta la sua forza. Quando il 7 marzo 2015 ci siamo ritrovati in tantissimi con papa Francesco a ricordarne la figura e l’insegnamento, lo spettacolo vivo di un popolo educato, capace di rivivere nel presente la gratitudine dell’incontro, ha toccato e commosso il cuore di molti.
Per questa ragione, le parole con cui Giussani richiamava alla fedeltà al carisma incontrato sono per noi il suggerimento e il compito più decisivo. Riferiva, infatti, ad alcuni Memores Domini, cercando di individuare l’aspetto più decisivo della sua posizione, queste parole che riportiamo con timore e tremore: «Allora, la cosa più importante su cui costruire, su cui siamo costruiti, non è il senso religioso, ma è l’incontro con Cristo. Tutto l’ecumenismo di adesso, che poggia la sua argomentazione sul fatto che tutte le religioni sono simili, che tutte le espressioni religiose si equivalgono, che tutto l’affermarsi del cuore dell’uomo ha lo stesso valore, dimentica semplicemente che Dio è nato bambino, è nato come un uomo e che è seguendo questo uomo che si capisce cos’è il cuore, cos’è il senso religioso, cos’è la ragione, cos’è il destino, cos’è tutto. Ma la cosa impressionante è che, dopo quarant’anni, ci siano anche capi dei nostri gruppi che non capiscono queste cose. Sono così lontani dal comprenderle che, siccome debbono cercare di governare o di ordinare la massa di gente che costituisce la comunità, la ordinano secondo i loro pensieri e soprattutto secondo i loro sentimenti e soprattutto secondo le loro preferenze, nel senso più bieco del termine; e così squassano e sconfiggono l’energia che è costata tanto a chi li ha preceduti cinque anni fa, dieci anni fa (a chi le ha prese!). Bisogna essere implacabili con questa gente, con chi sostituisce un proprio progetto al progetto che dice di avere incontrato, al progetto cristiano in nome del quale si muove. Bisogna essere intransigenti, non bisogna lasciar passare nessun equivoco».
«Intransigenti e implacabili». Per questo le parole di Giussani ricordate da papa Francesco – «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta» –, ci hanno interrogato sulla natura dell’incontro vissuto e sul volto autentico del carisma incontrato.
Ci sono ritornate alla mente anche le parole con cui papa Giovanni Paolo II ha indicato il cuore del carisma di CL e il compito affidato a chi lo ha incontrato: «Quando un movimento è riconosciuto dalla Chiesa, esso diventa uno strumento privilegiato per una personale e sempre nuova adesione al mistero di Cristo. Non permettete mai che nella vostra partecipazione alberghi il tarlo dell’abitudine, della routine, della vecchiaia! Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell’unica potestà che è Cristo Signore! I carismi dello Spirito sempre creano delle affinità, destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito oggettivo nella Chiesa. È legge universale il crearsi di tale comunione. Viverla è un aspetto dell’obbedienza al grande mistero dello Spirito».
Abbiamo vissuto quel carisma anche in questo stesso santo papa, guardando alla sua capacità di ridare alla Chiesa lo slancio missionario, la capacità di parlare ai giovani, il senso di un protagonismo nel bene e nella creazione di nuove forme di civiltà. E abbiamo ripercorso nella nostra memoria tutte le occasioni in cui quell’indimenticabile pontefice – dono davvero prezioso concesso alla Chiesa cattolica (e, stando alle parole della Madonna a Civitavecchia, «il dono più grande che il suo Cuore Immacolato abbia ottenuto dal Cuore di Gesù») – ha valorizzato gli aspetti dell’esperienza generata da don Giussani, fino a commuoverci per quelle parole da lui pronunciate ad alcuni studenti universitari: «Il vostro modo di avvicinare i problemi dell’uomo è vicino al mio: posso dire che è lo stesso».
Ragione per cui riteniamo che l’incontro con don Luigi Giussani sia la grazia più grande del Signore alla nostra vita, e che sia grazia per la Chiesa e per il mondo intero. Un avvenimento di vita che non ha mai potuto essere rinchiuso in formule astratte, ripetuto in gesti meccanici.
Allora guardare don Giussani ci ha sempre aiutato non a «copiarlo», ma a «ripeterlo», cioè a chiedere continuamente di vivere, in prima persona, quello che ci ha affascinato.
Così Cristo e la sua Chiesa sono stati il cuore vivente del nostro cuore, e ci siamo mossi, nella realtà, con un volto inconfondibile (il volto dei «ciellini») e assolutamente personale. Figli, appunto, più che discepoli.
Per questo ci ha sempre commosso lo sguardo paterno con cui lo stesso Giovanni Paolo II ha guardato la nostra esperienza. Quello sguardo che gli ha fatto dire, nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario della fondazione di Comunione e Liberazione, rivolgendosi al don Gius: «Mi è caro esprimere a Lei, come pure a tutti gli aderenti al Movimento, l’auspicio che quest’importante ricorrenza giubilare spinga ciascuno a risalire all’esperienza sorgiva da cui il Movimento ha preso le mosse, rinnovando l’entusiasmo delle origini. È, infatti, importante mantenersi fedeli al carisma degli inizi per poter rispondere efficacemente alle attese e alle sfide dei tempi. Ripeto oggi quello che vi dissi alcuni anni or sono: “Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell’unica potestà che è Cristo Signore!”».
Così, per vivere la strada che don Giussani ci ha indicato, abbiamo imparato a vivere nella drammaticità del nostro oggi, e ci è sempre stato di aiuto e di sostegno quanto lui stesso ha una volta detto significativamente: «Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l’unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco. Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell’autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l’energia di libertà, se non è un’azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora l’attaccamento al movimento è volontaristico, e l’esito è l’intimismo. L’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell’attesa di una manifestazione. La modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro. Per indicare e per definire l’esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l’interesse della nostra persona. La forza della nascita del nostro movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva».
È nato così questo testo che avete fra le mani. Abbiamo cercato di guardare come don Giussani ha vissuto questo contrattacco a un potere e a una mentalità che si fanno sempre più nemici di Cristo e della sua presenza nel mondo, ostacolando il cammino educativo. Quel cammino per cui ci ha chiesto di spenderci con un’implorazione forte, divenuta celebre e inequivocabile: «Lasciateci andare in giro nudi, ma non toglieteci la libertà di educare».
Durante la 36ma edizione del Meeting dell’amicizia tra i popoli – dal titolo Di che è mancanza questa mancanza, cuore che a un tratto ne sei pieno? –, abbiamo assistito con particolare attenzione al dibattito tenutosi il 22 agosto 2015, compreso in un evento più ampio denominato «Incontrare don Giussani oggi. Una fede moderna nell’incontro con l’altro». Riportiamo, in merito, alcune osservazioni dal Comunicato Stampa rilasciato per la circostanza dalla Direzione del Meeting: «Gianni Riotta ha messo in guardia dalla tendenza, dilagante sui media e non solo, a congetturare possibili risposte di don Giussani a episodi e problemi contemporanei. “Il respiro del pensiero del fondatore di CL è ben più ampio – ha affermato il giornalista – già negli anni Settanta appariva centrato su prospettive più grandi – nei contenuti e nella durata – delle caduche polemiche oppostegli dai suoi avversari culturali ed intervistatori”. Fondamentale dovrà invece essere, ha sostenuto Riotta riprendendo l’esortazione di don Carrón, “guardare quel che Giussani diceva, non quel che avrebbe detto, quel che Giussani faceva, non quel che avrebbe fatto”)».
È proprio per «guardare quel che Giussani diceva, non quel che avrebbe detto, quel che Giussani faceva, non quel che avrebbe fatto», che abbiamo deciso di imbarcarci in quest’impresa editoriale, raccogliendo un’impressionante mole di giudizi drammaticamente attuali, che ci hanno aiutato a fare nostro l’invito di san Giovanni Paolo II rivolto al MEIC, nel 1982: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Ciò che ci sostiene in questo lavoro – che dura oltre lo spazio di questo libro e per cui, lo ribadiamo, abbiamo cercato con assoluta fedeltà le parole del fondatore di CL, con la stessa devozione con cui si sono potute cercare le ipsissima verba Iesu, per custodire un patrimonio che ci è stato affidato e che desideriamo comunicare a tutti –, sono queste affermazioni che si ritrovano nella bellissima lettera che lo stesso don Gius ha scritto a tutti gli aderenti del Movimento il 3 marzo 2002: «Che lavoro imponente emerge da questa lettera! Siamo ancora daccapo, sempre! È una cosa nuova che deve accadere, un passo estremamente grave della nostra storia. È un momento di responsabilità le cui movenze si palesano nel tempo, come urgenza di radicare nella nostra esistenza il giudizio dello Spirito, cui ciascuno può concorrere ordinatamente, obbediente, oppure cui può resistere come pretesa di una propria carnalità, che diventa impossibilità a difendere la serenità o a combattere contro l’apparente distruzione di ciò che accade. Tutto dipende da una obbedienza serena, e quindi costruttiva, della nostra fatica. Questa fatica è originariamente un sacrificio che segue Cristo, la Sua morte e la Sua resurrezione. Seguire Cristo, amare in tutto Cristo: è ciò che deve essere riconosciuto come la caratteristica principale del nostro cammino. Per questo occorre domandare una chiarezza grande di fronte alla nostra responsabilità. Il singolo, infatti, è responsabile di tutta la Fraternità in cui è immerso, qualunque sia la sua condizione attuale, di salute o di malattia, di letizia o di prova. È una riflessione su questo che ci aiuta a cogliere il valore decisivo del nostro cammino... Ad ognuno Dio affida il suggerimento di essere un’avanguardia per la missione. L’esempio più grande in questo senso ci è dato da coloro tra noi cui sono affidate le responsabilità più gravi; anche in campo civile, perché la novità che investe la nostra storia sia esplicitata in loro nella dedizione al proprio servizio. E questa novità non è giudicata innanzitutto dal comportamento morale del singolo, ma dal tipo di responsabilità che ciascuno avverte nel suo servizio dentro la comunità stessa in cui Dio lo chiama. (...) La forza della missione diventa forza del martirio (testimonianza). Intraprendiamo il futuro liberamente, anche se gli altri fossero portati a non accettare quello che siamo».
È con questo spirito che ogni giorno ci sforziamo di discernere e affrontare il presente, secondo una prassi metodologica che è la stessa tradotta in queste pagine.
Gianfranco Amato & don Gabriele Mangiarotti
P.S.: Le citazioni le trovate sul libro edito dalla ARES.
P.P.S.: Chi fosse interessato a leggerne una copia, lo può chiedere qui al sito.