Loris Stival anni otto. Semplicemente un bambino.
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Quante volte accompagniamo un figlio davanti al portone di scuola, corriamo a portarne un altro all’asilo, sfrecciamo verso il lavoro, sempre di corsa, sempre con il pensiero a qualcosa da fare dopo. Non siamo sempre consapevoli di quale grazia sia il dono dei figli. Di come la loro esuberanza, i loro perché, il loro mettere a dura prova le nostre virtù sia la strada per il nostro cambiamento, una vera occasione per crescere insieme con loro.
Viviamo affaticati dal compito di educare, dagli appuntamenti che si accavallano: sport, scuola, compiti, catechismo e spesso sono solo “impegni” fatichiamo a dare loro una priorità, un senso, sono solo inevitabili fatiche da fare quando si hanno figli.
Poi accade che un bambino di otto anni sparisca. La mamma racconta di averlo lasciato davanti a scuola, ma in classe non è mai arrivato dicono le maestre. Viviamo connessi, spiati, le telecamere degli esercizi commerciali vigilano ma non ci difendono, i telefonini ci danno l’illusione di avere sempre tutto sotto controllo: “Dove sei? Cosa fai?” Ma non è così.
Pare che la mamma fosse arrabbiata con il suo bambino, chissà, un capriccio magari uno di quelli che ti fa dire “arrangiati, a scuola ci vai da solo” e lui a scuola non è andato.
Lo ritrova poche ore dopo un cacciatore, adagiato in un canalone asciutto, senza vita. Si cerca il “mostro” dicono alla TV, ma noi sappiamo che il mostro ha il volto umano di uno come noi è questo che ci spaventa, che Caino e Abele alberghino nel cuore della stessa persona.
La cronaca è impietosa, il desiderio di comunicare notizie ad ogni costo, rasenta spesso la morbosità. Così ogni dettaglio è dato in pasto a giornali e tv. Il cacciatore che ha trovato il bambino è indagato, atto dovuto ripetono, ma questi atti dovuti non si potrebbero fare nel completo riserbo? Così che il cittadino non debba pensare che anche un atto di buona condotta o di pietà possa trasformarsi in qualcosa di spiacevole?
Le tv ” indagano” a colpi di talk show, si contendono psicologi, avvocati, ospiti illustri, si cercano testimoni, chiunque desideroso di un attimo di notorietà abbia qualcosa da dire. I giornalisti devono riempire il vuoto, l’assenza di informazioni diventa una notizia. La mamma è disperata, indagata, no, solo interrogata Le immagini indugiano sul luogo del ritrovamento.
Nessuno ha visto, impossibile, no possibile, sono stati trovati degli indumenti del bambino, no, sono simili ma non suoi. Viene voglia di gridare: “SILENZIO”. un po’ di rispetto. C’è un bambino di otto anni che è morto. I dettagli, le illazioni, le supposizioni, non servono, aggiungono orrore al dolore, infangano persone che potrebbero essere innocenti.
SILENZIO.
Pregate per questo figlio andato in cielo, per la sua mamma e il suo papà, per chi indaga, perché trovino il colpevole di tanto dolore, perché gli uomini hanno bisogno di giustizia. Anche di quella umana, fragile ma pur sempre giustizia. Ne ha bisogno anche l’assassino, perché compito della giustizia umana, è quello di metterti di fronte al male compiuto, di punire e di tentare di riabilitare l’umano che è in ognuno di noi.
Silenzio. Indagate e quando il caso è chiuso, diteci come sono andate le cose, nel frattempo non serve dare in pasto alla curiosità morbosa, i profili facebook, i pettegolezzi, i “sentito dire”, possibile che nessuno pensi a proteggere questa famiglia, il fratellino?
Abbiamo bisogno di un giornalismo nuovo, umano e per questo rivoluzionario, un giornalismo che ritrovi il cuore e la nobiltà del mestiere.