Condividi:

Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Se afferro la mano che mi sfiora, trovo il sostegno e la sicurezza assoluti».
(Edith Stein, La struttura ontica della persona umana)

Ci sono volte in cui vai in chiesa perché è domenica, perché è Natale o Pasqua, per un battesimo o un matrimonio, e momenti in cui entri perché il cuore ti dice che non puoi farne a meno. Oggi è una di queste volte, le più belle perché a spingerti lì è l’amore. Come quando non vedi l’ora di recarti all’appuntamento con l’innamorato e raccontargli quel che ti è capitato, o ascoltarlo, o anche solo stare in silenzio, ma vicino a lui. (Sì, lo so che dovrebbe essere lo stesso sempre, anche la domenica, anche a Natale e a Pasqua, anche alle feste comandate, ai battesimi, ai matrimoni, anche dopo tanti anni di matrimonio, anzi “di più”. Ma siamo fatti così, e forse sono proprio queste volte a ricaricarci anche per le altre…)
Sono entrata per amore, dicevo. E anche un po’ per cercare conforto, che letteralmente vuol dire forza. E’ infatti quando sei debole che abbassi la cresta e diventi umile, mendicante. Credevi di farcela da solo e invece no. Allora bussi a quella porta, varchi quella soglia, tendi la mano e speri (chiedi, implori) di essere afferrato di nuovo, perché la vita ti ha detto una volta di più che da solo sei niente.
Confesso che sono entrata nella speranza che non ci fosse nessuno. Io e loro due, da soli. La Madonna e suo figlio, tutti per me. Non distraetevi, per favore, almeno voi. Già a casa parlo e a volte mi pare che tutti abbiano altre cose più importanti che ascoltare me. Sono viziata, lo so. Gesù è morto per me e mi ha abituata a godere di un amore esclusivo, e così Maria, sua e nostra Madre, che come tutte le mamme ama infinitamente ognuno dei suoi figli, perché l’amore se ne frega della matematica e sa solo moltiplicarsi.
Sono entrata e mi sono seduta in primo banco, quello più vicino alla statua della Madonna del Rosario. E un po’ con le parole sapienti delle preghiere della tradizione, un po’ con le parole che mi venivano alla labbra, ma silenziose, ho raccontato di me, ho messo a nudo il cuore. Le ho detto che ci sono delle volte in cui cammino cammino cammino ma poi mi trovo al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. O mi sembra di affogare: imprevista è scoppiata la burrasca, nuoto, ma sono stremata, e la riva si allontana. O una nebbia densa è calata improvvisa e non vedo più i numeri che indicano il sentiero…
Così, le parlavo, piegata sul mio affanno. Come i bambini che corrono dalla mamma per liberarsi da un brutto sogno e neanche prendono fiato, concentrati come sono sul groviglio delle loro paure. O come quando, nel resoconto delle quotidiane incombenze, per tuo marito sembri trasparente, e potresti esserti dipinta i capelli a pois, che tanto non se ne accorge. Proprio così.
Quando il cuore si è un po’ alleggerito, finalmente li ho guardati, come in attesa di una risposta. Ho guardato quel bambino con le braccine spalancate, e lei, sua madre, attenta e pensierosa. E ho visto solo allora che a differenza delle volte precedenti, anziché avere tra le mani una corona del rosario ciascuno, questa volta ne tenevano una lunga in due. Gesù Bambino, tra le dita, reggeva una corona sorretta, poco più in basso, anche da lei, come a protenderla, poi, verso di me, verso i fedeli.
Un’ancora, ho pensato. Una fune come quella che tiene insieme gli escursionisti in montagna, saldi alla loro guida. Un salvagente gettato dalla barca. Una scala…
Questo ho visto, ho vissuto, nel silenzio di una chiesa, a mezzogiorno. Ho chiuso gli occhi e mi sono aggrappata.

Articoli Correlati
Vai a "Ultime news"