EBOLA. Qualcosa possiamo fare
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Cari colleghi
quest’estate ci hanno parlato sui mass-media di EPIDEMIA DI EBOLA IN AFRICA OCCIDENTALE, ma poi, essendo che è confinata in alcuni Paesi dell’Africa Occidentale, Sierra Leone e Liberia in particolare, non riguardando né gli USA né l’Europa, non se ne tratta quasi più.
Desidero condividere con voi alcune riflessioni sulla situazione in Sierra Leone, dove mio marito è Ministro del Governo e dove sarei dovuta andare ad agosto. Tuttavia dal 31 luglio in Sierra Leone è stato dichiarato LO STATO DI EMERGENZA per il diffondersi dell’epidemia di EBOLA, i voli aerei quasi tutti sospesi, il Paese con i militari per le strade ad aiutare il Governo, molte attività chiuse, zone di quarantena e cordoni sanitari, l’agricoltura abbandonata, gli spostamenti delle persone fortemente limitati, gli Occidentali scappati...
… nella capitale della Sierra Leone, una megalopoli di più di un milione di persone, che vive per lo più in estrema povertà e promiscuità, i cadaveri sono abbandonati per strada...
Torna alla mente la peste di Manzoni.
D’altro canto questa epidemia di EBOLA (fino all’anno scorso in Africa si erano registrati 100 casi circa all’anno, confinati in isolati e remoti villaggi di altri Paesi ) ha raggiunto questa volta i centri urbani, si diffonde a macchia d’olio in due Paesi che, dopo circa 10 anni dalla fine di una guerra sanguinosa, stavano per ricominciare a svilupparsi. Potete immaginare le strutture sanitarie di simili stati, dove ad esempio, nella Regione di Koinadugu, da dove proviene mio marito, nel nord della Sierra Leone, per più di 450.000 persone… ci sono due medici…!
Mancano quindi medici (ne sono già morti parecchi, come anche gli infermieri per il contagio, data la mancanza di dispositivi di protezione individuale), non hanno esperti sul terreno, non esistevano in questi due Paesi Centri di Isolamento e trattamento perché l’ebola era sconosciuta, le misure di prevenzione e sanità pubblica, causa la povertà, sono in genere molto limitate, la maggior parte della popolazione è analfabeta e, non avendo soldi, si affida ai guaritori tradizionali e diffida degli ospedali, in particolare se vede le persone ricoverate poi morire di ebola in ospedale....
Il culto degli antenati prescrive il lavaggio del cadavere, che però, se infetto di ebola, è altamente contagioso....
La gente ha paura, vive nell’angoscia.
L’ebola inoltre non è conosciuta, non si sa con certezza da dove viene il virus, come curare la malattia, per di più questa ultima epidemia in Sierra Leone e Liberia ha fatto registrare 300 diverse varianti del virus ed i sintomi, inizialmente, sono molto simili a quelli della malaria, cioè febbre alta e mal di testa, quindi ciò rende ancora più difficile riconoscerla.
Gli esperti dicono che ci vorranno anni per nuovi vaccini e farmaci, intanto occorrerebbe formare il personale sanitario locale, trasmettere regole di base alle comunità nei villaggi e nei centri urbani, per evitare il contagio e segnalare subito i casi di infetti.
Cuba ad esempio sta per inviare in Sierra Leone 165 medici.
La comunità internazionale però non ha grandi mezzi, altre sono le emergenze ora, tipo ISIS, UCRAINA, ISRAELE...
La Sierra Leone è ricchissima di miniere di diamanti, oro, bauxite, ferro e tanto altro, ha solo circa 6 milioni di abitanti... ma resta ancora assai povera, per questo motivo mio marito ha voluto tornare nel suo Paese, con grande sacrificio di entrambi, per aiutarne lo sviluppo…
Inoltro APPELLO appena ricevuto da Peter.
La Sierra Leone da venerdì 19 a domenica 21 settembre si è fermata in un estremo tentativo di circoscrivere e combattere la diffusione del virus ebola, isolando i casi di ebola (ad oggi circa 600 morti identificati): per 3 giorni tutti hanno dovuto rimanere in casa e le attività commerciali e tutto è rimasto chiuso.
Circa 30.000 operatori sanitari sono andati di casa in casa, supportati logisticamente per le strade dai soldati, fra i 6 milioni di abitanti della Sierra Leone, per vedere se ci sono malati, che cosa le persone sanno sul virus ebola, dare istruzioni su come prevenire il contagio e che cosa fare in caso di necessità.
Ha detto il nostro Presidente Ernest Koroma alla popolazione: “Alcune delle cose che stiamo chiedendo alla nostra popolazione sono difficili, ma la vita è più importante di queste difficoltà.”
In un Paese con 2 dottori ogni 100.000 residenti è stato ed è per noi uno sforzo logistico ed organizzativo grandissimo, mentre l’economia è al collasso.
Durante questo blocco nazionale a Freetown, la capitale e anche a Makeni e in altre città già sono stati trovati alcuni cadaveri di morti per ebola abbandonati per le strade o negli edifici scolastici ora inutilizzati.
Intanto tra i morti si conta un dieci per cento di decessi tra medici e infermieri, dei quali il Paese ha ora enorme bisogno.
I prezzi sono raddoppiati, chi può scappa dalla Sierra Leone, le scorte di riso cominciano a scarseggiare, molti perdono il lavoro anche per la cessazione delle attività di investitori e multinazionali, le già scarse entrate dello Stato si erodono ulteriormente (la Sierra Leone si colloca al 180 posto su 187 nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, sebbene stesse facendo considerevoli progressi economici ed umani dalla fine della guerra nel 2002 ). Le compagnie aeree hanno nel complesso cancellato 70 voli per Freetown, nonostante i ripetuti appelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per non isolare il Paese, dato che così facendo si aumenta la paura tra la popolazione e risulta più difficile far arrivare gli aiuti.
In questo desolante panorama, io ho ricevuto dal mio Presidente incarico e responsabilità, senza fondi allocati, di monitorare e supervisionare, da agosto, in questi 3 giorni e successivamente, la situazione nella mia Regione di Koinadugu, coordinare gli interventi degli operatori sanitari negli 11 Comuni e nei villaggi, fare in modo che alcune persone spaventate escano dalla foresta, insomma sostenere ed istruire nella prevenzione e nel soccorso la popolazione.
A me si rivolgono poi anche i più deboli, come i ciechi, i lebbrosi, i bambini di strada rimasti orfani, perché per tutti costoro è ancora più difficile sopravvivere in un contesto così problematico, soprattutto per procurarsi il cibo e altre cure. Con gli aiuti ricevuti dagli amici italiani, come cloro, guanti monouso, termometri, altri dispositivi di protezione e motorini per girare nei villaggi per sensibilizzare la popolazione, e anche con parte del mio stipendio, io cerco di fare il possibile per aiutare la mia gente.
Persino il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York ha adottato nei giorni scorsi all’unanimità una risoluzione per espandere la risposta globale alla diffusione di ebola in Africa occidentale, invitando tutti gli stati membri a “fornire assistenza urgente, compresi ospedali da campo e personale.”
Il Parlamento europeo ha denunciato che la comunità internazionale ha finora sottovalutato gravemente l’epidemia.
Perciò mi permetto di rivolgere ancora, a nome della popolazione della Regione di Koinadugu, che ringrazia insieme a me per tutte le attrezzature sanitarie e gli aiuti già mandati, un appello perché, come ha detto l’inviato delle Nazioni Unite David Nabarro, il divario tra la diffusione della malattia e l’abilità di combatterla è diventato enorme e l’unica soluzione è che tutto il mondo investa più risorse.
Abbiamo tantissimo bisogno di medici, infermieri, dispositivi ospedalieri e sanitari, ma anche fondi per l’organizzazione e la logistica all’altezza di questa gravissima emergenza.
Sin da ora ringrazio di cuore chi vorrà aiutare la sofferente popolazione della Sierra Leone e vi chiedo di diffondere questo mio appello a tutti i vostri amici, conoscenti, organizzazioni che ci possano dare una mano.
Per donazioni, potete fare riferimento ai siti delle Associazioni MICROCAMMINO e FONTE DI SPERANZA di Milano e OCCHI DELLA SPERANZA di Castiglion Fiorentino:
www.microcammino-onlus.it
www.occhidellasperanza.it
www.fontedisperanza.org
Un abbraccio
Peter Bayuku Konteh
Kabala, 21 settembre 2014
Ebola in Sierra Leone. Padre Boa: tra povertà e paura diamo speranza
Cresce la paura per l’epidemia di ebola in Sierra Leone. Proclamato un coprifuoco dal 19 al 21 settembre per tentare di arginare l’impetuosa diffusione del virus. Mancano farmaci e personale medico. Sulla difficile situazione sanitaria e sociale Antonio Elia Migliozzi ha raggiunto telefonicamente in Sierra Leone padre Maurizio Boa missionario giuseppino nel martoriato Paese africano.
R. - L’impressione è la paura. Ed è una paura grande; si sta in casa, se si esce si cerca di non toccare nessuno. Si calcola che normalmente ogni giorno si registrano dai 20 ai 30 casi nuovi. Tuttora si dice che le persone infette siano state 1500 di cui 500 morte. Queste sono cifre approssimative, non riusciamo a sapere il numero dei morti, questa è la notizia che viene fuori. In questi tre giorni di silenzio - venerdì, sabato e domenica in cui si è obbligati a stare in casa a riflettere - dei “team” ebola stanno passando casa per casa per controllare la situazione, a rassicurare la gente che è sì una malattia grave, ma che ci si può curare se viene presa in tempo. Abbiamo vissuto 10 anni con la paura della guerra; ora stiamo vivendo questo periodo con questa paura. La città di Freetown è affollata di gente che cerca rifugio ma che non sa dove trovarlo. Oggi purtroppo la situazione è questa: la gente vede il nemico nel fratello, nel vicino, in chi ti ama; nessuno ti tocca, non accarezzi neanche i bambini e il nemico - l’ebola - avanza invisibile, letale, reale e si vede; si vede e si sente soprattutto nell’urlo delle sirene che vanno e vengono in continuazione.
D. - Come state aiutando la popolazione in questo difficile contesto?
R. - Noi non stiamo aiutando la popolazione dal punto di vista medico, se non dal pulpito delle chiese dicendo loro quelli che sono i modi di evitare il contagio. Poi confortiamo la gente, diamo un po’ di speranza. Vedo che qui pregano volentieri, ci si mette insieme a pregare: altro non si può fare. Ci sono i Centri appositi per ebola. La sanità è al collasso e non è la prima. Quella della Sierra Leone è stata una sanità significativa: tutto è a pagamento quindi gli ospedali, i Centri medici non sono visti con grande gioia. Adesso sono chiusi. Moltissimi ospedali, quelli non governativi, sono chiusi: ordine del governo. Restano aperti gli ospedali governativi e la gente non sa dove andare a curarsi quando sta male e ha anche paura di andare nei Centri aperti perché sono luoghi dove appena vedono un po’ di sangue, febbre o altro, pensano subito ad ebola, non a malaria, tifo o a sintomi di gravidanza.
D. - Quali ripercussioni sta avendo questa epidemia di ebola sulla vita sociale ed economica della Sierra Leone?
R. - L’economia è al collasso. Noi lo avvertiamo dall’aumento incontrollato dei prezzi; ogni giorno c’è un prezzo diverso. Chiunque fa il prezzo che vuole. Già prima non c’era lavoro, adesso per le strade i ragazzi che vendono acqua fresca, quattro banane, un pacchetto di caramelle o altro, sono aumentati a dismisura. Attorno ad ogni macchina si vedono una decina di ragazzini con qualcosa in mano da vendere. Non c’è più il modo per mangiare il cibo quotidiano. Diventa difficile anche questo. Più che pensare alla malattia ebola direttamente, noi come missione pensiamo alla povertà della gente, a quelli che non hanno nulla da mangiare, a coloro che hanno bisogni immediati. Queste situazioni a cui nessuno pensa perché adesso la cosa importante è ebola. Le Caritas diocesana di Freetown e di Makeni sono in prima linea proprio nella sensibilizzazione contro l’ebola e anche nell’aiuto con i loro ospedali, con i loro Centri, nell’aiuto sanitario. Penso che la Chiesa sia in tanti sensi in prima linea in questa situazione e la gente avverte questa nostra vicinanza.
Per tutte le necessità sanitarie della sua parrocchia in Sierra Leone, padre Maurizio Boa ha aperto un fondo. Le offerte possono essere inviate al Bonifico bancario intestato a: Murialdo World onlus, codice IBAN: IT 17 E076 0103 2000 0100 1330 032, causale: emergenza Ebola - Sierra Leone
(Radio Vaticana 20 09 2014)