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L’ostentazione della morte

Fonte:
CulturaCattolica.it

Una volta alcuni autorevoli mussulmani dissero più o meno così «Usiamo le vostre leggi per invadervi, useremo le nostre per dominarvi». Sembra un progetto che funziona, se non ancora per dominarci fisicamente, per dominare la nostra mentalità e cultura.
C’è un aspetto per cui questo accade con sistematica puntualità, ma solo per la nostra ignavia e viltà. Penso all’ostentazione della morte. Da un po’ di tempo, da quando il più brutale e bestiale assassinio di innocenti viene usato dai media jihadisti per terrorizzare i nemici, sembra che il pudore di fronte alla morte, che sembrava essere una tacita regola nella comunicazione mass-mediatica, ora sia svanito.
Pensiamo alle orribili immagini di quel giovane di Napoli, Davide Bifolco, che non si è fermato all’alt della pattuglia dei carabinieri (e che non era certo “in regola”, per tantissimi motivi) e che per uno sparo è morto qualche giorno fa.
Dentro questa tragedia, preoccupa che i familiari stessi abbiano voluto mostrare la foto del suo cadavere a tutti, postandola in rete, quasi chiedendo a noi di condannare chi l’ha ucciso senza neppure bisogno di un processo che accerti le responsabilità. Preoccupa che ci si dimentichi che alle tre di notte, in tre su una moto, senza casco né assicurazione… se si fugge davanti a un posto di blocco forse è perché si sa di essere gravemente in errore. Preoccupa che di fronte alle gravi violenze della camorra tutti stiano in silenzio, e invece, per stigmatizzare l’opera della polizia, si sollevi una città intera.
Riflettiamo. Qui è in gioco il bene della città, l’educazione dei giovani, il valore della persona - viva e morta -, il rispetto della legalità, la credibilità delle istituzioni…
Non possiamo usare la morte di un giovane, «quella» morte, per comunicare un messaggio, di qualunque natura sia. La nostra tradizione ci ha insegnato un altro modo di vivere e di comportarci. E se gli assassini dell’ISIS e bande simili pensano di usare la morte ostentata per un loro progetto, sappiamo reagire, ritrovando le ragioni della nostra tradizione.
Finché siamo in tempo, riprendiamo le linee della nostra storia e cultura. Non ci perderemo!

Avevo scritto queste riflessioni, quando ho trovato su «La Stampa» questo giudizio di Michele Brambilla (Quel che non si può dire sulle morti di Roma e Napoli), che condivido e che riporto: «Altro esempio: la morte del diciassettenne Davide Bifolco di Napoli. Anche qui: come si fa a non avere pietà di un povero ragazzo che muore a 17 anni? Però un conto è la pietà, un altro è dare per scontata la versione dei fatti gabellata per vera dagli amici di Davide, e cioè che un carabiniere killer gli ha sparato alle spalle: così, per il gusto di accopparlo. Versione che ha dato il pretesto, a molti abitanti del quartiere, di assaltare e bruciare per giorni e giorni le auto di polizia e carabinieri. E versione del tutto falsa, visto che l’altro ieri sono arrivati i risultati dell’autopsia e anche i consulenti della famiglia Bifolco dicono che il colpo è stato esploso di fronte, esattamente come aveva detto il carabiniere. Qui, oltre che l’emotività, entra in gioco il timore di passare per reazionari. Timore che impedisce di dire quello che tutti pensano, e cioè che se a Cuneo vai in tre su uno scooter ti fermano e ti sequestrano il motorino. A Napoli invece non solo si può andare in tre, ma ci si può andare senza casco; e se non ti fermi a un posto di blocco i carabinieri - che sono lì perché stanno cercando un latitante, non per sport - devono dirti avanti prego, passate pure e scusate il disturbo. È normale. Così come è normale assistere impotenti alla rivolta di piazza dei giorni seguenti, con le forze dell’ordine che non intervengono e noi che stiamo zitti: solo un prete ha avuto il coraggio di dire che, quando è la camorra ad ammazzare per sbaglio un ragazzo, a Napoli non va in piazza nessuno.»

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