Principi non negoziabili, ovvero la confutazione del cannibale
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Parla chiaro e senza fronzoli il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede “NOTA DOTTRINALE circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”:
[…] Se il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali», egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”. |
Se questi diritti non sono difesi, abbiamo minato il fondamento stesso della democrazia: “I diritti umani dipendono dal fatto che nessuno è autorizzato a definire il gruppo di coloro ai quali essi spettano o non spettano – sostiene Spaemann – Ciò significa che tali diritti, benché fondati nella personalità dell’uomo, debbono essere riconosciuti ad ogni essere che nasce dall’uomo, e questo fin dal primo momento della sua esistenza puramente naturale, senza che debbano essere introdotti criteri aggiuntivi contenutistici di alcun genere. […] Se il rispetto per la dignità umana dipende dal consenso degli altri, allora un giorno potremo allevare una generazione di schiavi con la manipolazione genetica. Perché non dovremmo, se la dignità umana non esiste ma c’è solo quella della volontà? Un cannibale ha trovato su Internet uno disposto a farsi mangiare. E’ avvenuto tutto con il loro accordo. Da un punto di vista relativistico non era un crimine”.
Il relativismo è pernicioso perché, “innalzando” ogni opinione a verità, di per sé la nega. L’atteggiamento relativistico porta alla tesi che tutte le opinioni sono intellettualmente ugualmente sostenibili. Tutto è permesso. Questo implica l’elevazione del desiderio a diritto umano, conduce chiaramente all’anarchia e quindi alla distruzione della società civile; e in tal modo al dominio della violenza. L’anarchia, come diceva quel grande genio cattolico di Chesterton, è paragonabile ad una cascata d’acqua, la cui caratteristica peculiare è l’impossibilità di essere fermata e nella sue folle e inarrestabile corsa spazza via ciò che incontra. A prima vista, l’anarchia sembra tollerante: ognuno è libero di fare ciò che gli pare e, soprattutto, piace, ma provate a sostenere la tesi che una simile visione della vita è sbagliata ed irrazionale: vi fucileranno con l’infamante accusa di “intolleranza”. Invero, il relativismo è profondamente intollerante. Nel 2004 l’allora Card. Ratzinger scrisse: “Negli ultimi tempi mi capita di notare sempre di più che il relativismo tende all'intolleranza, trasformandosi in un nuovo dogmatismo. Il politicamente corretto vorrebbe erigere il regno di un solo modo di pensare e parlare. […] Mi sembra molto importante contrapporsi a questa costrizione di un nuovo pseudoilluminismo che minaccia la libertà di pensiero e anche la libertà di religione. […] Il relativismo comincia a prendere piede come una sorta di nuova «confessione», che pone limiti alle convinzioni religiose e cerca di sottoporle tutte al super-dogma del relativismo. […] Il relativismo, in certo qual modo, è diventato la vera e propria religione dell’uomo moderno [ed è] il problema più grande della nostra epoca”.
Per difendere i principi non negoziabili, le istituzione democratiche da sole non sono sufficienti. Secondo Popper, le tradizioni sono necessarie per creare una sorta di anello di congiunzione tra istituzioni da una parte ed intenzioni e senso del valore individuale dall’altra. La distruzione della tradizione rende la democrazia semplicemente un’impalcatura vuota che può essere riempita a piacimento (per questo i laicisti europei hanno rifiutato di riconoscere le radici cristiane dell’Europa) e le istituzioni servono solamente a nascondere la dittatura del relativismo o dittatura del ‘diritto-desiderio’. Questo occultamento funziona: stiamo già percorrendo questa strada e pochi se ne rendono conto. La voce più alta, se non l’unica, che si oppone a questa follia è la Chiesa cattolica, non a caso accusata sempre più spesso di essere intollerante. Per questo la fede cristiana è invitata sempre più pressantemente a divenire ‘fatto privato’, a tornare volontariamente nelle catacombe: è un velato ultimatum che precederà la persecuzione a cui tutta la Chiesa andrà incontro. Lo scopo è unico: spazzar via dalla faccia della terra la Chiesa perché nemica dell’umanità. Non ci riusciranno, ma il prezzo da pagare sarà molto salato: “Come hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Teniamoci pronti.
Vorrei aggiungere una riflessione dedicata ai fratelli di fede, che ritengono che il cristiano debba solo dare testimonianza con il suo stile di vita, ma non debba impegnarsi ‘politicamente’ nella difesa dei principi non negoziabili. Questa posizione è irrazionale, perché lascia via libera al relativismo, ovvero ammette implicitamente (comunque viene così percepito) che la propria posizione è, tra tutte, una delle tante possibili. Non è bastato e non basta davvero “il libero operare di famiglie, movimenti, istituzioni ecc.” a frenare la “cultura della morte”, nelle nostre società. Le sole testimonianze di vita restano scelte tue, influenzano circoscritti mondi relazionali; solo le ragioni possono diventare di tutti. Non si può fermare la cascata anarchica navigandoci dentro: ci si sfracellerebbe ‘allegramente’. Per salvarsi bisogna aggrapparsi ad una roccia e segnalarlo agli altri, sfidando la certezza di esserne derisi. Questa roccia di salvezza è Cristo: la Via, la Verità e la Vita.
Quando esprimo una mia opinione io, tra le tante, la ritengo quella che meglio si adatta alla verità e cercherò di dimostrarlo razionalmente, pronto a ricredermi ove mi accorgessi di sbagliare, ma non le affibbierò mai il medesimo valore dell’opinione opposta del mio interlocutore. Potrei sbagliarmi e avere ragione l’altro, allora è la mia opinione in difetto e la muterò. Infatti, se tutte le opinioni hanno lo stesso valore, allora tutte sono prive di senso: la discussione ed il dialogo sono una perdita di tempo. Siamo nel pieno del relativismo: si cammina senza avere una metà. Il dialogo, dicono, non ha per fine la confutazione dell'errore. La mentalità contemporanea aborre dalla polemica, tenuta per incompatibile con la carità, mentre al contrario ne è un atto. Il concetto di polemica è invero indissolubile dal contrapposto tra il vero e il falso. Il dialogo deve essere inteso a dimostrare un vero, a promuovere in altri una persuasione e ultimamente una conversione. […] La superiorità infatti non è del credente dialogante sopra il non credente dialogante, bensí della verità sopra tutte le persone dialoganti.
La battaglia culturale ed un pensiero forte sono avversati perché si dice che le idee dividano. In realtà, ciò che divide è la verità, è il bene, in ultima analisi è il Cristo stesso. Esprimere la ragionevolezza dell’esistenza del bene e della verità è un dovere di ogni cristiano: rinunciarvi significa, in ultima analisi, relativizzare Gesù Cristo: l’apostasia silenziosa è dietro l’angolo. Oltretutto, rinunciando alla verità, rimane solamente l’utilità come criterio di scelta di una opinione piuttosto che di un’altra. Per gli utilitaristi, una scelta è utile quando aumenta in media il bene della società. Detto chiaramente, per il bene comune è lecito, se non doveroso, il sacrificio del singolo essere umano. Si ritorna ai sacrifici umani precristiani. Icastico Friedrich Nietzsche “L’individuo è stato ritenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare. Ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani. La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento, perché ha bisogno del sacrificio dell’uomo. In questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo si vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”. Perfetta definizione di filantropia senza Cristo, per meglio dire anticristica: pseudoamore della divinizzata umanità e, contemporaneamente, profondo odio e disprezzo dell’uomo.