Il cristiano deve essere «esagerato»!
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(Roma, 22 giugno 2104)

Il processo culturale ed antropologico di cui viviamo oggi un passaggio cruciale ha radici remote: senza andare troppo indietro, basti pensare al differente “assalto” lanciato negli anni ’70 in Italia, quando è stata dapprima attaccata l’unità della famiglia, per portare poi un’offensiva a cerchi concentrici sempre più stretti, fino ai “mattoncini” costitutivi della creazione (la differenza dei due sessi).
Come sacerdote cattolico davanti ad un’assemblea di fedeli cattolici faccio innanzitutto un mea culpa: mi rendo conto che il vero problema è la mancanza di formazione (antropologica innanzitutto, ma anche semplicemente formazione in senso lato) dei cattolici; il che ritengo sia un problema gravissimo, a tutti i livelli. Perché, guardate: noi esseri umani difendiamo quello che ci sta a cuore, non è pensabile mandare in battaglia qualcuno per una causa che non sente! E così rischiamo di fare appelli che cadono nel vuoto. Oggi il nostro santo Popolo di Dio, per lo più, non è in grado di capire per quale motivo queste battaglie culturali siano così cruciali, perché non ha gli strumenti!
Come sacerdote faccio parte della categoria che dovrebbe formare, quindi lo dico con dolore, però questa è per me una constatazione tra le più amare che devo fare, dopo tanti anni di ministero. Si tratta di recuperare il tempo perduto. Senza angoscia però: Dio è più forte, e nel Suo Figlio risorto ha già vinto.
Preciso innanzitutto, ritornando sugli interventi che ho ascoltato, che di Magistero autorevole ce n’è tanto, e assolutamente chiaro: sarebbe opportuno prendere più sul serio il Magistero della Chiesa, non tanto le singole affermazioni del singolo sacerdote, del singolo prelato. Il fatto è che solo queste ultime trovano di solito spazio sui mass-media. Capisco che a livello mediatico, se parla uno vestito col clergyman, allora si dice «la Chiesa dice». Ma non è così, quella persona ha un nome e un cognome.
I Papi su questo hanno parlato tantissimo! Posso citare il discorso che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato, facendo gli auguri natalizi alla Curia Romana il 21 dicembre 2012 (e probabilmente già aveva chiaro che di là a poco, l’11 febbraio 2014, avrebbe lasciato il soglio pontificio). Ebbene gli auguri natalizi in buona parte li ha dedicati, come in un commiato profetico, al gender (non devozionalmente a Gesù Bambino!) e ha detto, citando un’affermazione famosa di Simone de Beauvoir («Donna non si nasce, lo si diventa»): «In queste parole di fatto è dato il fondamento di ciò che oggi sotto il lemma gender viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso secondo tale filosofia non è più un dato originario della natura che un uomo deve accettare e riempire di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi».
Questi sono i due passaggi fondamentali del suo argomentare: accolgo quello che sono e poi, certo, lo devo riempire di significato e di senso, a partire da questo atto di fiducia, di accoglienza di un dato che non è soggettivo o puramente culturale. Quindi, un atto di libertà, certo, ma che parte dall’accoglienza di un dato.
Noi, anche geneticamente, siamo xx e xy; il mio essere maschio o femmina è un dato che è fecondo e vitale accogliere. Attenzione, perché il fenomeno culturale in atto è anche un fenomeno di perdita di contatto con la realtà: potremmo dire, di perdita di contatto col dato genetico, col dato morfologico, biologico, organico/strutturale. Perché questo soggettivismo – cioè il fatto che l’unica “verità” o meglio l’unica certezza è affermarmi in relazione agli altri e a me stesso come io mi (ri)leggo, mi interpreto – è (anche) in definitiva una perdita di contatto con la realtà.
Benedetto XVI continua: «La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata».
Noi sappiamo che dal punto di vista spirituale questo significa “peccare”, nel senso di mettere al centro l’uomo che decide da solo (cf. Gn 3), l’uomo che dice con arroganza a Dio: «Io non voglio sottostare a limiti nel conoscere me stesso e la realtà, nemmeno se venissero da Te». E’ una rivendicazione di carattere assoluto ed idolatrico (ego-latrico), che fa dell’uomo un individuo che taglia il rapporto con Dio e così rimane solo dentro la creazione, solo e fragile, appeso solo alla propria volontà di auto-affermazione, a cercare di dare un significato ad un mondo che però non capisce più perché ne ha contestato e rifiutato l’Autore.
È interessante cercare di capire perché Dio fa la creazione così come l’ha fatta: perché ha creato maschio e femmina? Perché l’umano è maschio e femmina, inscindibilmente? La Rivelazione ci dice che questa relazione rispecchia la natura di Dio stesso, che è comunione di persone. La differenza dei due sessi è un dato costituivo della creazione, la creazione Dio l’ha fatta così. Ma soltanto in una relazione con il Padre Celeste che ha fatto così la creazione e accogliendo questo dono della differenza dei sessi, che è un’iniziativa di Dio, noi possiamo poi avere le coordinate per decifrare noi stessi, altrimenti restiamo soli, soli con le nostre pulsioni, con le nostre paure, i nostri disordini: è quello che sta succedendo alla nostra cultura, alla nostra società.
Quindi il problema è remoto, viene da lontano, è questo tagliare la relazione con Dio, farsi “dio” di se stessi: questo atto sta all’origine del male e oggi assume anche questa forma culturale, come un fenomeno tipico del nostro tempo.
Benedetto XVI stigmatizza la profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente. Beh, purtroppo questo dato apparentemente immediato e tutto sommato chiarissimo, non è più evidente per noi, perlomeno per molte delle persone che frequentano le nostre parrocchie: perché?
Per esempio, ecco una convinzione che è passata alla grande nella mentalità corrente (e qui vado davvero a pennellate, necessariamente grossolane): l’unica cosa che conta nel nostro mondo soggettivista è il dato emozionale, il massimo potenziamento e la massima espressione dell’ego (spesso delirante), che vuole essere appagato ad ogni costo. La mia formazione giuridica mi ha fatto riflettere sul fatto che nessuna società civile in passato ha mai legiferato principalmente sulla base delle emozioni/pulsioni o del sentire soggettivo delle persone: noi oggi stiamo inghiottendo anche questo a livello giuridico, cioè che il sentire soggettivo della persona (e magari fosse della persona in quanto tale e non di alcuni individui!), la sua sfera emozionale, il suo benessere psicologico, diventano il criterio regolante addirittura di una parte significativa dell’attività legislativa. E neppure ce ne rendiamo conto!
Nella società che ha espresso il diritto romano – non parlo del diritto dell’Occidente cristiano – questo era già evidente: il diritto romano, pagano, disciplinava il contratto matrimoniale in un certo modo in quanto fondamento della civitas, la civitas (e la civiltà) si è strutturata così, per cui la stabilità del rapporto tra un uomo e una donna che mettono al mondo dei figli e li educano è un dato fondamentale. Questo l’aveva capito una grande civiltà antica prima della venuta di Cristo, proprio perché è un dato antropologico chiaro e fondante.
Purtroppo, come dice Gianfranco [Amato], tutto questo non è un processo casuale, è un processo indotto, che viene da lontano. In particolare, viene da un fermento culturale sparso a piene mani dall’antica gnosi, dove l’essere umano “perfetto” è l’indistinto, l’indifferenziato. La gnosi è il grande nemico della fede giudeo-cristiana: la rivelazione gnostica dice che l’indistinto, o meglio l’androgino, è l’uomo vero (come nel Simposio di Platone o nel Vangelo apocrifo di Tommaso).
Queste cose vengono riproposte culturalmente in salse diverse, ma è sempre la stessa robaccia; un cattolico dovrebbe essere formato a riconoscere in questo l’anti-creazione. Per questo il fenomeno non è casuale, è voluto da chi attacca la creazione di Dio: c’è sempre stato questo attacco contro la creazione fatta ad immagine e somiglianza di Dio, i cristiani dovrebbero saperlo.
Ritorno quindi al tema iniziale, per cui non si può combattere per difendere qualcosa di cui non si capisce la preziosità; il vero problema è dare strumenti, ma soprattutto lavorare per formarci di più, per crescere nella consapevolezza del tesoro che abbiamo ricevuto attraverso la Rivelazione giudeo-cristiana.
Si profila un tempo in cui bisognerà probabilmente pagare un prezzo più elevato; già lo stiamo vivendo, questo tempo difficile, specie dentro certi ambienti, e presto penso che lo pagheremo tutti, sempre di più. Però un conto è pagare questo prezzo, come hanno fatto sempre i cristiani, con la fierezza di chi sa che sta testimoniando la verità di Dio e la verità dell’uomo, a vantaggio della libertà e della pienezza della persona umana: noi non testimoniamo un’ideologia, non ce ne importa niente di un’ideologia cristiana, ci interessa testimoniare la fedeltà a Dio, all’opera di Dio, alla bellezza di questa creazione.
Noi non vorremmo che tutta questa creazione si frantumasse nel fragoroso silenzio dei cristiani: la frantumazione della creazione è il caos, è l’anti-creazione; e questo - ci dice la Rivelazione - è quello che il Maligno da sempre vuole, lui che è omicida e menzognero fin dal principio (Gv 8,44).
Attenzione! Non è che c’è qualche “Grande Vecchio” nascosto in qualche posto segreto del mondo che sta manipolando, tramando, escogitando strategie. No! Nessun complottismo becero. L’Apocalisse ci dice chi è il grande interprete di questo male: ha un nome preciso, si chiama Diavolo e Satana, e l’ha ricordato anche l’attuale Pontefice più volte, senza paura di dichiarare nome e cognome del grande menzognero.
Dice San Paolo: «la nostra battaglia non è contro le creature di carne e di sangue» (Ef 6,12), noi mai lottiamo contro gli uomini, piuttosto «contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti»: parla del Maligno, dello spirito di male, di quel “Signore del nulla” che se però trova spazio nel nostro cuore acquista un grande potere!
Per me la battaglia fondamentale è quella della formazione nostra, che si traduce in amore vissuto per questa creazione, per i nostri fratelli, per le nostre sorelle. Siamo consapevoli che a volte non verrà decodificato dagli interlocutori come amore, verrà magari inteso come una forma di pretesa, del tipo: «Chi ti credi tu per essere depositario di questa “verità”, ma chi te lo chiede di mettermi addosso le tue regole?». E cose simili. Va bene, lo accetteremo, i cristiani non si sono mai spaventati di questo, di essere considerati degli integralisti, degli esagerati. E chi li accusa è in definitiva uno Stato che ancora una volta pretende di essere divinizzato.
Anche nell’antica Roma la persecuzione c’è stata (pure) per questo. Molti dicevano: «Voi cristiani siete gli unici che non vogliono sacrificare pubblicamente all’imperatore; ma sacrificano tutti all’imperatore! Poi vanno a casa e lo mandano a quel paese, magari lo stramaledicono pure, ma in pubblico fingono, si adeguano! Fate come gli altri! Buttate pure voi ’sti tre granellini d’incenso per l’imperatore, poi andate a casa vostra e lo stramaledite come tutti». E i cristiani rispondevano: «Eh no, perché il grande Cesare dice una cosetta che noi non possiamo accettare: dice che lui è Dio». E si sentivano replicare dagli altri: «Sì, dice che è Dio, ma non ci crede mica nessuno. Neppure lui!». E i cristiani rispondevano ancora: «Sarà pure, ma noi non ce li mettiamo i tre granellini d’incenso, perché noi il nostro Dio, quello vero, noi lo conosciamo, e lo amiamo fino a rischiare la vita per Lui!».
La verità per noi non è un concetto, un’idea astratta, ma quella della relazione con Dio che ha fatto grande e bella la nostra fede: i martiri sono persone che hanno voluto e saputo dare la vita per una relazione, non per un’ideologia. Siamo (o dovremmo essere) quelli che amano, che amano Dio e amano il prossimo: ci capiranno o non ci capiranno, questo siamo chiamati a fare. I cristiani il sangue lo hanno dato anche per chi li perseguitava, per la salvezza dei persecutori.
Un altro tempo di persecuzione forse si profila, è un tempo in cui siamo fortemente interpellati a crescere nella nostra adesione a Cristo nello Spirito Santo, a crescere in questa capacità di amare: il tempo presente chiede un salto di qualità nella fede. Certo, lo possiamo fare solo come comunità, non come una battaglia di individui eroici, di singoli “geniacci”, di anime belle; è la buona battaglia (cf. 2 Tm 4,7) di un popolo che vuole rendere testimonianza a Dio e alla verità sull’uomo, perché la Verità esiste, la riceviamo come un dono da riconoscere, è bella, è santa, è la felicità di ogni persona umana, è la meta verso cui camminiamo.
Mi preoccupa anche che alcuni cristiani hanno perso questo senso della meta: noi non camminiamo solo in funzione di questa creazione, ma camminiamo in funzione di una nuova creazione. Ma se questo non c’è dentro la nostra vita, allora mi spiegate come facciamo a fare queste battaglie dove si rischia tanto? Se non c’è questo orizzonte ultimo, questa strada difficile non la intraprenderai mai! I cristiani quando hanno dato la vita l’hanno data per questo.
Oggi è la festa del Corpus Domini e nel vangelo di Giovanni abbiamo visto che Gesù fatica per far capire ai Giudei e ai suoi discepoli che Dio vorrebbe regalare all’uomo la Sua vita. Dice: non sono venuto a mettervi un peso o a darvi una risposta “di consumo” come la manna, cioè la sopravvivenza! Gesù dice: quel tipo di risposta più materiale ad un bisogno spicciolo, che pure Dio a suo tempo ha dato, non ha donato la vita vera ai vostri padri, tanto che sono morti; Dio adesso sta dando di più, sta dando la Sua vita!
Ecco, è chiaro che tutto quanto abbiamo cercato di comunicare ha un significato se abbiamo ricevuto la vita di Dio e quindi, ad esempio, se il nostro essere maschi e femmine dentro questa creazione prende la forma della vita di Dio. Allora non andrai all’altro come una specie di crociato con la spada, ma ci andrai come uno che ama, uno che ama Dio e la creazione che Dio ha fatto e quindi ama i fratelli.
Auguro a tutti di poter camminare in questa direzione, lo dobbiamo fare insieme come un popolo, perché siamo un popolo di salvati! Buon cammino, nel Signore.