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1914 - 2014
 Diciotto milioni di morti

Autore:
Costa, Luca
Fonte:
CulturaCattolica.it

1914 - 2014
 Ricorre quest’anno il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Diciotto milioni di morti, intere città rase al suolo, l’Europa che va in frantumi e perde definitivamente il suo ruolo di guida culturale e politica del mondo.
 Una tragedia di portata incalcolabile, una ferita aperta nella coscienza di ogni uomo di ragione veramente europeo.
Ecco invece il giudizio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano su Repubblica.it:
La prima guerra mondiale divenne “la prima grande esperienza collettiva del popolo italiano”. L’Italia ne uscì non solo riunita - con il ricongiungimento di Trento e Trieste - entro i confini sognati dai patrioti del Risorgimento, ma cambiata moralmente perché forte di una nuova e più vasta consapevolezza del proprio essere nazione.
Potranno queste fondamentali acquisizioni storiche rivivere e trasmettersi alle generazioni più giovani attraverso un programma di attività già delineato in sede di governo per il centenario della prima guerra mondiale, di quella drammatica esperienza che, con sue motivazioni e suoi peculiari percorsi, l’Italia attraversò da non secondaria protagonista?”.
In sostanza, secondo Napolitano, la Prima Guerra Mondiale è stata tutto sommato un’esperienza collettiva che ha cambiato moralmente il paese, un’esperienza che l’Italia ha vissuto da protagonista.
Un’esperienza positiva insomma...
Non quindi Inutile Strage, non Suicidio dell’Europa civile, come gridò Benedetto XV, macché!
 Secondo la più alta carica dello Stato quei quattro anni di violenza fratricida, quei milioni di ragazzi mandati a morire come topi nell’inferno delle trincee, sono un esempio da trasmettere alle nuove generazioni. Quale? Ma il sacrificio della nazione ovviamente. Il sacrificio per la patria.
La lettura di Napolitano è la seguente: l’intervento italiano nella Grande Guerra è servito soprattutto per portare a compimento il progetto risorgimentale. Si era fatta l’Italia, ma ancora gli italiani non c’erano. Almeno non nel senso cui aspiravano i padri della patria. Gli italiani non si sentivano uniti, amalgamati, definiti nello e dallo Stato. Non avevano metabolizzato l’avvento della Terza Roma, l’apparato amministrativo/burocratico (in un certo senso la Costituzione) non era ancora il legame chimico essenziale del popolo. Ed ecco che improvvisamente si presenta l’occasione: una guerra tra nazioni.
Come rinunciare all’opportunità di ammucchiare nelle trincee, sugli altipiani, tra le rocce, centinaia di migliaia di giovani provenienti da tutte le regioni, e dir loro di morire, di sacrificarsi, per la patria, per l’Italia? Come rinunciare?
E infatti il potere non rinunciò. A nulla valsero le offerte territoriali dell’Austria (oggi tutte documentate, per dettagli consiglio la lettura di “Requiem per un Impero defunto” di F. Fejto), che era disposta a garantire all’Italia Trento e Trieste, in cambio di un non intervento, o meglio di un non tradimento... L’Austria voleva la pace, non la guerra, i tentativi dell’Imperatore Carlo lo dimostreranno chiaramente.
L’Italia no, bisognava combattere. Poiché c’era bisogno di un’esperienza collettiva per cambiare moralmente questa e le generazioni future: occorreva una nuova genesi patriottica, una mistica del sacrificio collettivo, da scolpire nella coscienza e nella mente dell’Italia che verrà!
Cosa importa il milione e mezzo (un milione e mezzo) di italiani morti - civili e militari, età media delle vittime: 25 anni - il milione di invalidi, la famiglie smembrate, i corpi mutilati?
 Cosa contano le decimazioni? Sì, perché l’esercito italiano praticava la decimazione delle proprie truppe, per rinvigorirne il morale.
Chissà perché Napolitano non consiglia la visione di “Uomini contro”, di Francesco Rosi, per trasmettere alle future generazioni un’idea di ciò che è stata questa esperienza collettiva?
Anche sul, “presunto” da Napolitano, ruolo da protagonista, ci sarebbe un bel po’ da ridire (e da ridere).
 Sorvolando sul vergognoso tradimento nei confronti dei nostri alleati ci sono le figure meschine di Salandra, Sonnino, Orlando, i nostri “potenti” che vollero quel progetto, che lo attuarono. Ci sono i nostri potenti che dopo la guerra supplicarono umilmente Wilson di confermare gli Accordi di Londra, e vennero presi a pesci in faccia. Un’umiliazione - per l’Italia intera, ma soprattutto per quel milione e mezzo di morti - talmente profonda, che solo un uomo interessato a cavalcare lo sfinito cavallo della retorica e della storia patria può tradurre in un “fummo protagonisti”.
Peccato che quest’uomo sia il nostro Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano.
Aspettiamo curiosi il “programma già delineato dal governo per il centenario della prima guerra mondiale”...

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