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“L’orrore di un albo per i bambini mai nati”

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Non ti dimenticherò mai. Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano».
(Is 49,15-16)

Dicono che non è bene rispondere colpo su colpo, perché la presenza dei cristiani non deve essere reattiva ma creativa. Vero. E’ questo che ho pensato quando ho letto l’articolo “L’orrore di un albo per i bambini mai nati”, scritto da Maria Luisa Mastrogiovanni, direttrice del giornale Il Tacco di Italia. Ho tenuto a freno l’indignazione e ho resistito all’impulso di fiondarmi alla tastiera del computer. Per un po’ ce l’ho fatta, ma come una zanzara antipatica le sue parole sui bambini non nati hanno continuato a ronzarmi in testa. Mi conosco e lo so che quando mi capita è segno che con quelle parole devo fare i conti.
Riepilogo per chi non ha capito di cosa sto parlando.
Recentemente, il Consiglio comunale di Lecce ha approvato una mozione perché venga istituita un’anagrafe dei bambini mai nati e per dare la possibilità ai genitori, qualora lo desiderino, di offrire degna sepoltura al loro piccolo. La legge prevede già che i genitori possano chiedere i resti del nascituro di età inferiore alla 28° settimana entro le 24 ore dall’espulsione o estrazione del feto – in caso contrario finisce nell’inceneritore – ma non si esprime sulla possibilità di iscrivere il suo nome nei registri di Stato Civile.
Nel suo articolo, la Mastrogiovanni non solo definisce questa proposta «disumana» (!), ma affonda il pennino nel vetriolo e scrive: «Prendete invece questi feti, inseriteli in un albo comunale ufficiale, realizzate poi un recinto speciale nel cimitero. Ecco fatto il recinto dei figli di puttana. Il ghetto dei figli di stronze. Oppure dei mostri, dei diversi, di quelli che erano troppo deformi per condurre una vita normale. […] Immaginatevi poi gli antiabortisti a fare funerali a questi mucchietti di cellule, con frasi ad effetto sulla vita e l’amore negato».
Saranno anche iperboli, come le ha poi definite la giornalista, ma perché tanto odio – mi sono detta – se non per cancellare dalla faccia della terra (e della memoria, e del cuore) questi figli, così piccoli ma così “ingombranti”?
E’ vero. Al cristiano non è richiesta una presenza reattiva ma originale, creativa.
Significa che deve voltare la faccia da un’altra parte? Chiudere gli occhi, di fronte a parole come quelle della Mastrogiovanni? Tapparsi le orecchie se gliele leggono? Tacere, quando sente la solfa menzognera che un bambino esiste solo se sua madre autodeterminandosi lo vuole, altrimenti è «grumo di cellule»? O che un disabile è «un mostro, un diverso, troppo deforme per condurre una vita normale»? Hanno, i cristiani, abbiamo qualcosa da dire sulla dignità di ogni persona dal concepimento alla morte naturale? Abbiamo qualcosa da dire sulla vita, sulla morte, sul dolore? E sul nome? E sulla memoria? E su questi figli non nati?
Presenza puramente reattiva sarebbe se, indignata, mettessi qui un punto fermo. Invece no, vado avanti.
Presenza creativa è Giovannino Guareschi: la sua vita e questa pagina tratta da una delle opere sue più belle: Diario clandestino. Presenza creativa è riproporre, qui, queste sue parole di padre e di cristiano. Presenza creativa e dirompente è quella di Ci, un bambino non nato, il secondo dei tre figli di Guareschi. «Alto niente e senza peso», ma presenza presentissima. Proprio come i protagonisti silenziosi ma scomodi dell’articolo della Mastrogiovanni. Non muoiono neanche se li ammazzano.

Ci
Giovannino seduto per terra sulla sabbia deserta. E’ solo, ma non è solo. La vita gli diede tre figli, ma il secondo non ebbe niente dalla vita (né una briciola di luce, né un filo d’erba, né un nome), perché quando nacque già la morte l’aveva agghiacciato.
Ma egli ravvivò la bocca muta con un soffio del suo respiro; accese gli occhi spenti con un po’ di luce dei suoi occhi, e gli fece un nome con un pezzettino del suo cuore: Ci.
E Ci – non nato – visse. E fu sempre con suo padre, e anche ora è qui con lui, e nessuno lo sa.
Il tempo passa per gli altri suoi figli, ed essi invecchiano minuto per minuto: ma per Ci il tempo non esiste, ed egli eterna la sua giovinezza.
Ha tre figli: due sono il legame fra lui e la vita; Ci è il legame fra lui e la morte. Due gli fanno dolce la vita: Ci gli fa dolce la morte.
Gli uomini l’hanno diviso dagli altri suoi figli, ma Ci è sempre con lui; e nessuno può staccarlo da lui, neppure la Morte. Perché il giorno in cui egli getterà il suo fardelletto d’ossa, Ci ancora sarà al suo fianco, e lo prenderà per la mano, e assieme cammineranno sulle nuvole cupe e sui mari tempestosi dell’Eternità.
Un uccellino ha fatto il nido nel suo cuore: Ci. Da tre anni egli lo riscalda col suo amore, e la carne pallida è diventata rosea, e gli occhi brillano come due perline nere, e i capelli – rasciugati – riempiono la testolina di minuti ricci.
Gli ho fatto una camicia candida che lo copre fino ai piedi, e Ci – così, alto niente e senza peso – sembra un angiolino delle cartoline di Natale.
Non sa parlare, Ci, ma comprende suo padre perché è una parte del cuore di lui, e vive dei battiti del cuore di lui.
Giovannino, seduto sulla sabbia deserta, al limite del campo, sembra solo. E invece Ci è qui con lui, seduto sulla sua spalla destra, col faccino appoggiato alla sua gota scarna. E insieme guardano oltre la siepe e oltre la vita, e aspettano qualcosa.

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