La vita è mia! Oh, poveretto!
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(Don Luigi Giussani, 1998)

Autodeterminazione? Padroni, noi, di noi? della vita?
Sala d’attesa. Le due di un pomeriggio caldissimo. Chiacchieriamo, io e la mia amica. Scrutini, figli, ultime incombenze a scuola, la meta delle vacanze… Entra lei per prima. Facciamo sempre così. E’ lei a prendere per tutte e due, da anni, l’appuntamento per questi controlli di routine che, fossero lasciati a me, non farei. Telefona, segna il giorno, passa a prendermi, andiamo. Mentre lei è dentro, sfoglio distrattamente una di quelle riviste che trovi dai medici: diete drenanti, prevenzione, consigli per una vita sana. Guardo l’orologio: sarà anche il caldo, ma di solito è più veloce, mi dico.
Poi esce ma la faccia non è la solita, sollevata, degli anni precedenti. E’ rossa in volto, mi cerca con gli occhi. «Devo fare una biopsia», mi dice piano mentre mi passa accanto perché tocca a me. «Un nodulo… va aspirato… bisogna vedere… poi ti spiego meglio».
Io bene, anche questa volta. Pago. Appuntamento al prossimo anno. Lei, da quel pomeriggio, è come in un limbo. La biopsia non è stata possibile perché i medici non sono riusciti ad aspirare nulla. Ieri è stata operata, il nodulo non c’è più. Venti giorni per sapere l’esito degli esami, poi si vedrà se è benigno o maligno, si deciderà che fare. E lei aspetta. Può solo questo.
E’ in ospedale da quasi venti giorni, G, il mio alunno di seconda. Supino, la testa appena sollevata. Stessa posizione da quando è entrato dopo l’incidente. Per le fratture al bacino e al ginocchio, per l’intervento al femore deve stare così. Ha quasi sempre un famigliare accanto perché gli serve aiuto per bere e per mangiare. Ha bisogno di qualcuno che lo lavi, che gli porga il pappagallo o la padella. Accudito come un vecchio, dice ridendo. Come quand’era bambino.
Anche la mia amica P. è ferma a letto da più di quindici giorni. E’ incinta, seconda gravidanza. Lei, medico, è (era) indaffaratissima: una sfilza di impegni che incroci le dita perché caschi il mondo non ti puoi assentare. Con il marito ha comprato casa da poco e la settimana scorsa c’era il trasloco da fare. Progetti, scadenze, e un calendario zeppo così.
E invece stop. E’ una gravidanza difficile, per un distacco parziale della placenta. Letto, riposo, si vedrà.
Michael Schumacher, il campione. Quasi nessuno ne parla, ma da 167 giorni è lì in quella stanza del centro neurochirurgico all’ospedale di Grenoble. Caduta con gli sci, due operazioni al cervello, il buio. Ora pesa 50 chili. Due leggeri movimenti delle palpebre in quasi sei mesi. Piccoli importanti progressi, dicono, ma è in coma. Famoso, sette successi mondiali. Ricchissimo. Ma la salute non si compra. La vita non si lascia corrompere.
Autodeterminazione? Padroni, noi, di noi? della vita?
Sì, forse. Al massimo di ucciderci o di uccidere, siamo padroni. Bella roba.
E allora capisco perché la tivù, perché i giornali tranne uno o due non hanno dato spazio al pellegrinaggio Macerata-Loreto. Perché si sono guardati bene dal far vedere le immagini.
Quel fiume di uomini e donne, di vecchi, giovani, adulti e bambini, quei centomila in preghiera e in cammino raccontano una verità che non piace a noi Prometei postmoderni, a questo mondo che chiede diritti e dimentica i doveri, che crede di essere diventato padrone dei segreti della vita, mentre ne è solo custode.
Siamo tutti figli, e tutti abbiamo ricevuto in dono una vita che non abbiamo chiesto. Dipendiamo. E mendichiamo ogni giorno, ogni minuto amore, e compagnia, e compiutezza, e senso…