Motivazioni della Corte sulla fecondazione eterologa: una deriva pericolosa
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Sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa il 9 aprile 2014 in cui la Corte Costituzionale sopprimeva il divieto, presente nella legge 40, di accedere alla fecondazione eterologa.
Sembrerebbe che si rinvii al parlamento il compito di dettare le linee applicative, sembrerebbe però che per l’accessibilità all’eterologa si debba partire dai requisiti dettati per la fecondazione omologa dalla legge 40.
Ma tra queste motivazioni merita attenzione in particolare l’affermazione: «La determinazione di avere o meno un figlio anche per la coppia assolutamente sterile o infertile concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali».
Questa affermazione apre scenari preoccupanti e inquietanti dal punto di vista culturale. I figli riguardano una sfera privata e intangibile e quindi nessun limite può essere posto per ottenerli, la determinazione - si dice - è incoercibile.
Questo significa che tutto ciò che può essere fatto deve essere consentito, unico limite è posto nei valori costituzionali, ma sappiamo bene che tra questi non vi sono i diritti del concepito.
Come conciliare questa parte della sentenza con l’articolo 1 della legge 40 che equipara i diritti dell’embrione a quelli degli altri soggetti rimane un mistero.
Ma tornando all’incoercibilità, è chiaro che questo termine rischia di eliminare qualsiasi riferimento etico all’agire, alla scienza, lasciando alla sola coppia il limite delle opzioni, negando anche alla società e allo Stato quel ruolo di tutela dei diritti dei più deboli che dovrebbe interessarlo (e come!). Si instaura un diritto al figlio che non può esistere, in quanto il figlio non è di proprietà dei genitori; si perde la concezione umana del figlio come dono, con tutte le implicazioni sociali e psicologiche anche a livello educativo. Il fine diventa quello della “produzione” del figlio, pericoloso in quanto come detto dal Cardinale Scola “Se il figlio non è più “ricevuto”, ma “prodotto”, è inevitabile che, come in ogni processo di produzione, prima o poi venga posta la domanda circa il “proprietario”.
Che dire poi della sentenza (dimenticata da questi giudici) del novembre 2011 della Grande Chambre di Strasburgo che sul caso S.H. e altri contro l’Austria, riguardante il divieto di fecondazione artificiale eterologa vigente in quel paese, aveva ribadito che il divieto di fecondazione artificiale eterologa non contrasta con l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani, che sancisce il diritto al rispetto per la vita privata e familiare e quindi non crea discriminazione, inoltre legittimava i singoli Stati a legiferare autonomamente e quindi anche a vietare l'eterologa?
Ovviamente delle sentenze e delle decisioni nel contesto europeo si tiene conto solo se sono a proprio favore.