Atti di culto: anche un Decreto del Capo dello Stato
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Leggendo quello che ha scritto in questi giorni l’UAAR a proposito della liceità o meno di compiere in orario scolastico atti di culto, mi par di capire una sola cosa: io sono libero perché rispetto la legge, gli altri non so…
La norma sulle iscrizioni prevede che all’atto dell’iscrizione venga dato un solo modello, cioè quello se l’alunno o la famiglia si avvale dell’IRC e solo successivamente l’alunno deve dichiarare che cosa intende fare in alternativa all’IRC.
Infatti proprio per quella libertà garantita dalla Costituzione solo entro trenta giorni dall’inizio delle lezioni la scuola deve organizzarsi chiedendo ai non avvalentesi cosa intendono fare in alternativa all’IRC.
Nell’orario scolastico c’è infatti Religione Cattolica, solo chi non si avvale di detta disciplina e in momenti diversi dall’iscrizione può chiedere di fare altro.
Anche questa precisazione è frutto di ricorsi e pronunciamenti.
Così come per le visite pastorali: il decreto del Capo dello Stato è stato emesso il 6 maggio 2011. Nella sua motivazione il decreto del Capo dello Stato si rifà al parere n.335/2009 emesso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato nell’Adunanza del 21 aprile 2010.
L’Accordo di revisione dello stesso Concordato sancito con legge 121 del 25 marzo 1985 nell’articolo 9.2 stabilisce, a mio avviso, una continuità ed un orientamento nuovo, quando dice: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, CONTINUERÀ ad assicurare nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.
Più che evidente la continuità con il passato (la sottolineatura della parola continuità è mia), ma anche da evidenziare il nuovo assetto dell’IRC che viene messo in relazione non con l’istruzione pubblica, ma con il patrimonio culturale del popolo italiano e sempre in rapporto con le finalità della scuola.
Sono due le sottolineature che vanno bene evidenziate: da una parte per chiarire le caratteristiche di un insegnamento che si inserisce nella formazione culturale dell’alunno e dall’altra per distinguere l’IRC dalla catechesi che ha come finalità di formare il credente.
Ma valore culturale del cattolicesimo non significa insegnamento dimezzato o un generico cattolicesimo che non conosca i suoi aspetti caratteristici e individualizzanti, ma conoscenza precisa nella sua interezza, che comprende fonti, contenuti della fede, aspetti di vita, espressioni di culto e quant’altro è necessario per apprenderlo. E il tutto orientato alle finalità scolastiche che sono di conoscenze di quella specifica cultura italiana, e oggi dovremmo dire europea ed occidentale, che non è possibile spiegare e conoscere in tutte le sue forme (letteratura, arte, musica …) senza il cattolicesimo.
Vorrei dire e con tutta serenità che non la Chiesa ma lo stesso Stato deve nelle scuole pubbliche avere il coraggio di trasmettere la genuina cultura del popolo italiano che respira cristianesimo, e cattolicesimo in specie, da tutti i suoi pori.
Anche espressioni di dissenso e di contrasto con il cattolicesimo non si possono comprendere senza il confronto con quella matrice culturale che viene contestata.
A ognuno il suo compito: alla Chiesa quello di far crescere nella fede una comunità nazionale che oggi stenta a riconoscere nel cattolicesimo la sua identità e che, perdendo il senso di quella precisa qualifica, necessita di una nuova evangelizzazione, allo Stato invece l’impegno di non far perdere traccia di quelle radici che ogni tanto emergono dal terreno roccioso e che sono ben profonde e affondano ancora per metri nel terreno sottostante.