Benedetto e la socialità nuova
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Quando Benedetto costruì il suo monastero a Montecassino, l’Italia stava vivendo uno dei periodi più bui della sua storia. Il dominio dei Goti e le ambizioni di Bisanzio si scontravano tra loro e il popolo ne fece le spese. Pagò con fame, povertà e miseria, violenze e distruzioni. Solo i monasteri si ergevano imponenti e già numerosi in luoghi isolati, lontani dalle città, soprattutto distanti dai centri di potere. Sembrava che in quegli edifici austeri vivessero gli unici uomini veramente liberi in un mondo in cui, l’ambizione e la lotta politica unite al dominio straniero, avevano ridotto il popolo romano in una condizione di schiavitù. La logica cieca e spietata del potere che passava da una mano all’altra, la corruzione diffusa e la perdita della tradizione che aveva reso grande il popolo romano, avevano contribuito a fare di Roma un luogo insicuro. Benedetto comprese che il vero nemico non era il dominatore goto, piuttosto che un rivale in affari o la tifoseria avversa all’ippodromo ma che il vero avversario si annidava nel cuore dell’uomo per indirizzare i suoi desideri e i suoi pensieri al male. Per questo si ritirò in solitudine per capire cosa Dio volesse da Lui. Poi edificò luoghi dove tutto si faceva solo per Dio, dove sette volte al giorno ci si radunava per lodarLo e dove si coltivava la più alta ambizione per un uomo: diventare amico intimo di Dio. I monasteri ospitarono profughi romani, goti e bizantini. Molti vi restarono e divennero a loro volta monaci. La vita monastica generava uomini nuovi che ponevano le basi di una società in cui essere al servizio di Dio permetteva di riconoscersi in una nuova forma di fraternità. Il passato, la stirpe e la differente cultura non erano più di ostacolo. Diceva Péguy: “La rivoluzione sociale sarà morale oppure non ci sarà”. Nulla potrà sostituire la libertà della persona che si assume la responsabilità di una vera moralità, perciò di una concezione di sé che si confronti con la verità e sia disposto ad amarla. Benedetto sapeva che il mondo può cambiare solo attraverso il cambiamento del singolo uomo. E che è proprio questo cambiamento a sostenere il mondo. La preghiera a Dio, la bellezza del canto e la disciplina a cui Benedetto educò i suoi giovani nei monasteri, contribuirono a tenere il mondo in equilibrio. Dice il profeta Isaia: “se non crederete non resterete saldi”. Quando tutto crollava e la rovina dell’impero era sotto gli occhi di tutti, Benedetto fu la roccia su cui la vita di centinaia di uomini si ancorò. Tutta l’Europa riprese vigore dalla testimonianza dei monaci benedettini e la loro diffusione permise di ricostruire un tessuto sociale che si era sfaldato. Fu la risposta alla crisi del tempo. La risposta di un uomo che si mise nelle mani di Dio e che vide ciò che altri non videro. Non si preoccupò di avere successo. Come ha ricordato il Papa nella sua visita a Frascati, i discepoli “devono parlare a nome di Gesù e predicare il Regno di Dio, senza essere preoccupati di avere successo. Successo. Il successo lo lasciano a Dio. E questo rimane il mandato della Chiesa: non predica ciò che vogliono sentirsi dire i potenti. Il criterio è la verità e la giustizia anche se sta contro gli applausi e contro il potere umano”. E poi la carità. Gesù, ai suoi discepoli, “parla delle guarigioni concrete delle malattie, parla anche dello scacciare i demoni cioè purificare la mente umana, pulire, pulire gli occhi dell’anima che sono oscurati dalle ideologie e perciò non possono vedere Dio, non possono vedere la verità e la giustizia”. Missione, cioè testimonianza e carità. Due poli che devono orientarci anche oggi. Per affrontare la nostra crisi. Il bisogno di uomini nuovi che contribuiscano a tenere il mondo in equilibrio.