Condividi:

W L’Italia

Fonte:
CulturaCattolica.it
Noi siamo l’Italia.
Insomma l’Italia è fatta di bella gente, è un grande paese, è bello, spesso inconsapevole delle sue bellezze e della ricchezza che esse rappresentano, attende solo di ritrovare le ragioni della sua fierezza

Lo ammetto, nonostante tre figli e un marito appassionati di calcio, io sono lo stereotipo di donna, che s’infiamma per il calcio solo quando gioca la Nazionale. Ascolto la partita standomene in cucina affaccendata, piombo in salotto solo attirata dalle urla di gioia o di dolore dei miei uomini, mi accontento dei goal rivisti al replay.
Ma, battere la Germania è stata una goduria.
Questa mattina al supermercato, dal giornalaio, via mail, tutti sembravano sentirsi un po’ più fiduciosi, riscattati da quei palloni messi in rete.
Umiliati dalle reprimende della Merkel, dall’altalenare dello spread, questa volta, ancora una volta, abbiamo dimostrato che la “regola” non è tutto e che nemmeno il rigore (calcistico e non) salva da solo una Nazione e una partita.
Lo so, lo so, non è il calcio a cambiar le cose, restiamo italiani, un po’ autolesionisti, capaci solo di denigrarci, esterofili quanto basta, incapaci di valorizzare le nostre vere risorse, insofferenti alle regole, ma anche sudditi di uno Stato che di leggi, decreti , norme e divieti ne ha sfornati troppi, e si sa, perché siano rispettate le Leggi dovrebbero essere – poche – chiare e severe.
Siamo un po’ rammolliti da un benessere oramai tramontato, ma ancora silenziosamente speranzosi che tutto tornerà come prima, è questo che ci frega , vivere nel ricordo e non nel presente, avere paura di quanto sta accadendo, sperare nel fato e non nelle nostre forze, non ricominciare da noi.
Abbiamo capito o almeno intuito, che la crisi non è solo economica, sociale, ma anche e forse soprattutto valoriale, ma sembra quasi che non si riesca a darci “un colpo di reni”, a guardare fuori dalla finestra, a ricominciare. Nuovi mercati, nuovi luoghi, nuove idee e certezze date dalla tradizione, certi di una speranza che ha solo, chi sa in chi riporla.
Perché lavorare con entusiasmo, creare nuove opportunità si fa solo se si crede nel domani, se la speranza è viva, se sai perché e per chi, stai facendo fatica. Sacrifici, si chiedono in continuazione sacrifici. Ma di questo sacrificarsi non si vede l’obiettivo, il risultato, la meta. I nostri vecchi han sputato sangue e sudore, ma a loro era chiaro per cosa e per chi.
Non è la prima crisi che attraversa il nostro paese, ma forse è la prima crisi economica che ci trova fragili, con i valori che ci ha consegnato la tradizione sfilacciati, il senso della vita, del dovere, del rispetto appannato da anni di lotte per diritti senza doveri, dall’aver creduto coscienti o no, che la felicità sia nelle piccole cose, ma nell’averle individuate con un profumo spray, o un capo di marca.
Eppure, questa mattina, più che – po poro popopo – il motivetto che suonava nella mia testa era una canzone di molti anni fa, che è riemersa dai cassetti della memoria.
W L’Italia - come cantava un giovane Francesco De Gregori, “l’Italia che lavora, l’Italia che si dispera
e l’Italia che s’innamora, l’Italia metà dovere e metà fortuna (…) viva l’Italia, l’Italia che resiste…”
Però, per resistere ed esistere, per avere speranza, per andare a cercar fortuna, bisogna che questa Italia ritrovi le ragioni, capisca in chi riporre la sua speranza, non certo nella politica, nell’economia, nella ricchezza. Da cosa è ripartito San Benedetto, da cosa son ripartiti i nostri padri?
Noi siamo l’Italia.
Insomma l’Italia è fatta di bella gente, è un grande paese, è bello, spesso inconsapevole delle sue bellezze e della ricchezza che esse rappresentano, attende solo di ritrovare le ragioni della sua fierezza.
W l’Italia, e per la finale? Sarebbe meglio vincere o almeno perdere dimostrando di avere fatto tutto il possibile per vincere.

Vai a "Ultime news"