Eterologa: il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno
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E’ la storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.
A seconda di come lo si guarda, del punto di vista dell’osservatore, lo stesso bicchiere cambia aspetto e diventa un bene che disseta un po’ o che lascia ancora un po’ di sete.
Così la recente sentenza della Corte Costituzionale, che si è pronunciata sul divieto di fecondazione eterologa prevista dalla legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, pare accontentare tutti o – viceversa – scontentare tutti, sia i fautori della legittimità del divieto, sia chi ritiene che il divieto violi i diritti umani.
La Corte ha infatti rinviato gli atti al giudice a quo, ossia al giudice che ha sollevato la questione di costituzionalità, affinché riesamini la rilevanza della questione anche alla luce del mutamento di indirizzo in materia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), che alla fine ha ammesso la legittimità di una legislazione (quella austriaca), analoga – sul punto – a quella italiana.
Una cosa è certa. La Corte Costituzionale non ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge 40 e di conseguenza ha legittimato il divieto ivi previsto di effettuare fecondazione in vitro con donatori esterni alla coppia.
Se la Corte avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, si sarebbe verificata l’ipotesi, per i figli concepiti, di avere più padri o madri biologici, con grandi problemi non solo etici e antropologici, ma anche giuridici. Insomma, un gran casino.
Dunque è da salutare positivamente la decisione della Consulta, anche se era in parte prevedibile.
Infatti, la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Firenze, sull’onda lunga di una prima decisione della CEDU del 4 aprile 2010, che aveva affermato la violazione della convenzione europea da parte del divieto alla procreazione eterologa prevista dalla legge austriaca. Detta norma, secondo la Corte Europea, sarebbe stata discriminante e addirittura irrispettosa della vita familiare. Si pensi a che punto si arriva a giocare con le parole: il vero rispetto alla vita familiare è – all’opposto – quello assicurato dal divieto all’eterologa, ossia l’esigenza di nascere in una famiglia con padre e una madre, senza “partecipazioni” biologiche estranee alla coppia.
Comunque, la decisione della CEDU è stata fortunatamente riformata in appello dalla Grande Chambre, che il 3 novembre scorso si è pronunciata per la legittimità della legge austriaca, con osservazioni di grande ragionevolezza e buon senso.
Innanzitutto ha riaffermato che i singoli paesi hanno un margine di discrezionalità nel bilanciare i diversi interessi umani coinvolti, in particolare modo per quanto riguarda la procreazione assistita, visti i “delicati interrogativi etici che essa suscita” e che “s’iscrivono nel rapido contesto evolutivo della scienza”.
La sentenza ha poi precisato che la legislazione austriaca, come quella italiana, non vieta totalmente la procreazione medicalmente assistita, in quanto autorizza il ricorso a tecniche omologhe. In questo – a mio avviso – afferma indirettamente che non esiste un diritto ad avere un figlio a qualunque costo o condizione.
La Grande Chambre ha quindi affermato che non vi è violazione delle norme sui diritti umani, in quanto la legislazione austriaca si è mantenuta entro il margine di discrezionalità decisionale che le competeva e “si è sforzata di conciliare l’esigenza di prevedere la procreazione medicalmente assistita con l’inquietudine che suscita in larga parte della società il ruolo e le potenzialità proprie della medicina riproduttiva moderna”.
La Corte Costituzionale italiana non poteva non tener conto del mutamento di indirizzo intervenuto. E così ha fatto, restituendo gli atti ai giudici rimettenti per valutare la questione alla luce della sopravvenuta sentenza europea.
Non è vero che “la Corte ha deciso di non decidere” come si è letto in diversi giornali. Ha invece deciso e ha ritenuto che la legge 40 non è incostituzionale.
Resta il rammarico dell’operazione finale di rinvio, un po’ alla Pilato. Per non chiudere definitivamente la questione, la Consulta ha invitato i giudici a verificare se possano residuare elementi di incostituzionalità alla luce della sentenza d’appello europea.
Si può osservare che tale valutazione avrebbe ben potuto essere svolta direttamente dalla stessa Corte Costituzionale, che così avrebbe archiviato la pratica (anche se va detto che una questione può essere sempre riproposta con diverse motivazioni alla Corte).
Non lo ha fatto, credo più per non dividersi al proprio interno e presso l’opinione pubblica in posizioni opposte e conflittuali, che non per altro.
In conclusione, non viola la costituzione il divieto italiano a procedere a pratiche di procreazione assistita eterologhe. Né detto divieto viola i diritti umani.
Siamo all’assurdo. L’umanità si è infine ridotta a doversi giustificare rispetto a scelte assunte a tutela dei diritti umani, come se fossero – invece – una lesione dei diritti umani. Ammettere l’eterologa, ossia la possibilità di avere più genitori biologici esterni alla coppia, è una violazione dei diritti umani (sicuramente del nuovo nascituro, ma anche degli stessi genitori). Non è contro i diritti umani vietarla. Eppure è questo divieto che viene sospettato di essere incostituzionale e contrario alla dignità umana. Un pensierino su dove stiamo andando dovremmo farcelo tutti.