Il dolore innocente: riflessioni
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Queste ultime settimane sono state turbate da tragici fatti in cui sono stati coinvolti bambini vittime di incidenti o della cieca violenza di un uomo. Lo sgomento è stato inevitabile sia di fronte all’incidente ferroviario accaduto in Svizzera, sia davanti alla follia omicida della strage compiuta nella scuola ebraica di Tolosa. Anche se si sono svolti in modo diverso, i due eventi sembrano solo una grande ingiustizia che pone, ancora una volta, l’antica domanda sul significato del dolore innocente. Ripercorriamo alcune osservazioni e giudizi per riflettere su questo grande tema che ha interrogato la coscienza degli uomini di tutti i tempi. Ivan, uno dei protagonisti dei “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, si chiedeva: “Se tutti devono soffrire per comperare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano i bambini? È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocchi pure a loro acquistare l’armonia con la sofferenza”. Dostoevskij era convinto che la sofferenza fosse l'unica causa della presa di consapevolezza per l’uomo, ma di fronte al dolore dei piccoli, il grido di desolazione è sconsolato. Commentando la narrazione evangelica dei Santi Innocenti, lo scrittore Charles Péguy mette sulla bocca di Dio sette ragioni per spiegare il mistero dei Santi Innocenti e lo scandalo di queste morti in cui dei bambini sono stati sacrificati dalla violenza di un potere che cercava di uccidere il Figlio di Dio. Le prime tre sprofondano nel mistero della libertà divina, mistero insondabile: “Perché li amo. Perché mi piacciono. Perché così mi piace”. E questo “può bastare”. Aggiunge poi: perché non conoscono l’amarezza. Perché “per una specie di equivalenza, questi innocenti hanno pagato per mio figlio […] Essi furono presi per lui. Furono massacrati per lui. Invece di lui. Al suo posto”. La sesta ragione è che “erano coetanei di mio figlio” ed è “una grande fortuna o una grande sfortuna per ogni uomo. Nascere o non nascere a un dato momento del tempo”. Da ultimo essi “erano simili a mio figlio. E lui era simile a loro”. Continuando la riflessione dirà dell’uomo maturo: “Ognuno di noi è strappato alla terra troppo tardi, quando già la terra ha fatto presa. / Ognuno di noi è strappato alla terra quando è già terroso. / Quando la sua memoria è terrosa e la sua anima è terrosa. / Quando la terra s’è incollata a lui ed ha lasciato su di lui un marchio incancellabile. Quei bambini no, non hanno questa piega e questo sapore d’ingratitudine. / Di un’amarezza. / Terrosa”. “I bambini di Dio”, come dice un canto di Claudio Chieffo, “la gloria canteranno liberi, di Chi ha fatto la vita e ha dato la speranza agli uomini”. Per i “grandi”, invece, cantare la gloria di Dio esige una dura lotta. Emmanuel Mounier, la cui figlia Francoise fu colpita da un’encefalite acuta, scriveva: “Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante, e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e d’amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo a faccia a faccia? Non dobbiamo pensare al dolore come a qualcosa che ci viene strappato, ma come a qualcosa che noi doniamo, per non demeritare del piccolo Cristo che si trova in mezzo a noi” (…) “Ho avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce, di avvicinarmi a un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un segno”. Lasciarsi interrogare dal dolore e dalla testimonianza di chi l’ha vissuto e offerto, è un modo per guardare oggi alla Croce di Cristo in modo vero.