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“Presenza”, testimonianza e missione

Fonte:
CulturaCattolica.it
“Trovare una verità che sia una verità per me, (…) trovare l’idea per la quale io voglio vivere e morire”.
(S. Kierkegaard, Diario, 1835)
www.settemuse.it

Cosa significa “presenza”, e testimonianza, e missione?
Ero di corsa, l’altra mattina. Un’ora buca, il tempo, a piedi, per trasferirmi dalla sede centrale alla succursale della mia scuola e, nel tragitto, sosta breve nei negozi per il pane e un po’ di spesa per pranzo.
C’è mercato, il giovedì, nella cittadina in cui vivo e insegno. Tante bancarelle, tanta gente nelle due vie parallele che costituiscono il nostro bel centro storico. Approfittando del movimento, sono sempre in tanti a fare volantinaggio. Mi porgono il foglio che hanno in mano, cercano di fermarmi, ma spesso, per la fretta, saluto, ringrazio e passo oltre. Così ho fatto, inizialmente, anche giovedì. C’erano quattro uomini di età diverse, in gruppo, poco distanti dalla mia scuola. Uno di loro mi ha allungato un volantino. Ho salutato, ho ringraziato, ma non l’ho preso. Ho detto che non avevo tempo e ho proseguito, veloce. Intanto, però, l’occhio era caduto sulla scritta più grande: “A lezione di Tav”.
Una ventina di passi, dietrofront e sono tornata da loro. Sì, perché mentre camminavo, mi è venuto in mente che avevo stampato gli ultimi articoli pubblicati nel nostro sito. Volevo portarli a mio papà, che non ha il computer ma ci segue assiduamente. Glieli lascio, li legge con calma, poi ne discutiamo ed è ricchezza per entrambi.
Avevo, in borsa, anche l’articolo “Che pecorella sei?” uscito proprio quella mattina.
A cosa può servire un articolo – quest’articolo – in borsa, mi sono detta. A niente. E così, tornata indietro, mi sono avvicinata ai quattro uomini che volantinavano.
Io do una cosa a voi, voi a me, ho detto con un sorriso. Prendo il volantino che avete in mano, se voi leggete questo articolo e poi ne parliamo.
Francamente mi hanno guardata un po’ perplessi e sorrido, ora, mentre ripenso alla scena. Volantinaggio che si ferma, uno di loro che legge ad alta voce a sé e agli altri il mio articolo, io che spiego cosa significa che ciascun adulto ha un “compito culturale” inderogabile e che solo se riconosciamo in noi ciò che ci rende “uomini” riusciamo a vedere l’umanità anche in chi ci è di fronte, che sia “dalla nostra parte” o anche no.
La gente, al mercato, guardava curiosa questa “nanetta” discutere con quattro energumeni (non sto esagerando: tutti sono energumeni agli occhi di una alta meno di un metro e sessanta!).
Abbiamo parlato delle proteste no-Tav in Val di Susa; della libertà di parola e di pensiero; dell’incontro pubblico che si svolgerà qui, patrocinato dal Comune, dal locale “Gruppo No-Tav” e dall’Associazione Ya Basta”, dal WWF del Veneto Orientale, dalla FIOM. Abbiamo parlato delle manifestazioni pacifiche, dei blocchi autostradali e degli scontri. Anche del faccia a faccia tra il giovane manifestante e il carabiniere, il cui video ha fatto – andata e ritorno – il giro di tutta la rete.
Si sono scaldati, perché han detto che le troupe televisive inquadrano ciò che vogliono, che i giornali son di parte e che “la base” si sta giustamente ribellando al potere politico/tecnico/ economico del nostro Paese.
Ad infervorarsi, soprattutto il più giovane: una trentina d’anni, capello lungo riccio.
Ad un tratto, ha tirato fuori il suo asso nella manica: Luca Abbà. Un mito, un eroe. Caduto dal traliccio – ha detto convinto – per colpa del celerino che l’ha inseguito.
Avevo presente il filmato (in rete, più truculente e più “esclusive” sono le scene, più te le trovi tra i piedi e c’ero dunque inciampata anch’io). Avevo visto esattamente ciò che era accaduto. Non ci vuole poi la laurea per capire che quello operato dall’agente certamente non era un provvedimento “ad personam”: che è vietato salire sui tralicci lo dice la legge e la legge è uguale per tutti. Anche per gli anti-Tav.
Ma non era questo il punto. Non era per questo che avevo deciso di tornare indietro.
Ho guardato negli occhi questo giovane, arrabbiato con le forze dell’ordine che – diceva – caricano chi manifesta e stanno dalla parte sbagliata: dalla parte dei “potenti”.
“Quanto vale la vita di Luca, la tua vita?”, gli ho chiesto. Quanto vale la vita del giovane a sinistra del guardrail, la vita del carabiniere a destra? Vale quanto il buco in una montagna? due binari? tre vagoni? un treno intero? Può essere offerta, spesa per questo, tanto da rischiare di perderla?
E poi: cosa rende l’uomo “uomo sempre”: che sia carabiniere, manifestante, giornalista, tecnico, politico, operaio dei cantiere, abitante della valle o delle zone in cui, qui da noi, è previsto passi il treno?
C’è una vita che vale di più e una vita che vale di meno?
Parlavo con lui e ascoltavano tutti. Non era un’arringa, la mia; nemmeno un sermone: era una domanda fatta al cuore. E infatti è solo a quel punto che la discussione non è più stata “ideologica” ma “umana”: quando loro con i volantini in mano, io con il mio articolo, ci siamo riconosciuti uguali. Mendicanti di “una verità che sia una verità per me”, che non vuol dire “secondo me”. Una verità che valga davvero la pena: che dia pienezza e senso alla vita.
Solo per lei possiamo vivere e anche morire.

P.S.: Cosa significa “presenza”, e testimonianza, e missione? Giovedì, ore 10.15, mercato di Portogruaro. Quattro persone fanno volantinaggio e invitano la cittadinanza ad un incontro pubblico dal titolo “A lezione di Tav”. In Val di Susa e in tante città d’Italia si manifesta pacificamente e/o con deragliamenti violenti; Luca Abbà, 37 anni, leader storico e capo carismatico dei no-Tav si è arrampicato per protesta su un traliccio dell’alta tensione, da lassù è precipitato ed è grave, in ospedale; il video del faccia a faccia tra un militante antagonista che insulta un carabiniere impassibile ha fatto il giro del mondo; si temono infiltrazioni dei black block e rigurgiti anarco insurrezionalisti…
Un cattolico, rispetto a questo, ha qualcosa da dire, un giudizio da dare, un volto da mostrare o è “un affare che non lo riguarda”, off limits, non c’entra con la fede? Giovedì, ore 10.15 c’erano queste quattro persone a volantinare e c’ero io. Potevo andare avanti o fermarmi. Parlare o stare zitta. Dire sì o dire no alle 10.15 del “mio” giovedì. Ho detto sì. Semplicemente.

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