I tuttologi del nulla
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Ho letto con attenzione l’intervista di Odifreddi a Watson, pubblicata sull’Espresso. Francamente ho faticato un bel po’ ad arrivare alla fine: è stata una lettura «fastidiosa». Le domande, le risposte, l’approccio alle questioni sono il contrario di un serio atteggiamento scientifico: saccenza, presunzione e banalizzazione non mi sono mai sembrate le note caratteristiche di un vero e buono scienziato. E neppure di un materialista, che crede solo ai fatti.
Perché Odifreddi perde tempo e spazio, e dunque l’occasione di farci conoscere il cuore e la mente di un uomo che con le sue scoperte ha dato un contributo formidabile all’avventura umana, alla conoscenza della realtà?
Se la religione qualcuno l’ha chiamata «l’oppio dei popoli», queste domande e queste risposte si possono definire «l’ovvio», ma non dei popoli, bensì di coloro che, davanti alla realtà, preferiscono cancellare quella spinta alla conoscenza che caratterizza l’umano, così, semplicemente. «La vita senza ricerca non è degna di essere vissuta» ricordava il grande Platone. E alla ricerca, come alla ragione, non si possono mettere freni.
Mi spiace per Watson, ma non è «elementare», e neppure «fenomenale». Nell’intervista di Odifreddi risulta, tutt’al più, «banale».
Abbiamo amato e amiamo un altro genere di scienziati: quelli che con umiltà stanno davanti al reale, tutto il reale, con riverenza e rispetto. Quelli che sanno che c’è ancora tanto mistero di fronte a noi, e che non pensano di conoscere già tutto. Quelli che non liquidano le grandi domande sulla vita definendole “perdita di tempo intellettuale”, o “tempo sprecato”.
Quella osannata da Odifreddi & company non è scienza, amici; è meschina propaganda del proprio nulla!