“Tu che pecorella sei?”
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(G. Ungaretti, Fratelli)
Mi sono tornati in mente questi versi, quando ho visto il video cliccatissimo del faccia a faccia, ripreso da una troupe del Corriere.it, tra un manifestante no Tav e il carabiniere che è stato premiato dal comandante generale dell’Arma Leonardo Gallitelli per “il lodevole comportamento tenuto di fronte alla provocazione”.
Autostrada A32, uscita Chianocco. Le corsie sono bloccate dai manifestanti. A separare il giovane a volto scoperto e il carabiniere con la sua tenuta antisommossa, solo il guardrail. A sinistra il ragazzo, che chiama “pecorelle” gli agenti e li insulta; a destra, impassibile per tutta la scena, il giovane carabiniere.
“Tu che pecorella sei? Hai un numero, un nome, un cognome? Sai che sei un illegale?”, inizia il ragazzo. “Dovresti avere un numero di riconoscimento - incalza - io così non so chi sei e tu sai chi sono io. E’ vero, pecorelle?” Gli insulti proseguono, ma né il carabiniere, né gli altri militari intorno reagiscono. “Sei forte – lo provoca l’attivista no Tav - ma sai anche sparare? Vorrei vederti sparare: mi piacerebbe. Comunque sei una bella pecorella. Sei carino… Dai anche i bacini alla tua ragazza con quella mascherina? Così non le attacchi le malattie. Bravo, bravo…”. Il manifestante continua: “Comunque, per quello che guadagni, non vale la pena stare qui. Vi siete divertiti? Quindi fra sei ore ci vediamo qua... Il cantiere dovrebbe durare vent’anni e ci vai in pensione vestito così come uno stronzo. Noi ci divertiamo un sacco a guardare questi stronzi”. Il video si conclude così: “Tu non ti puoi camuffare, lo sai? Dovresti farti riconoscere... Parla, invece di fare i gesti! Che sei, sordomuto?”.
Ho voluto trascrivere il monologo arrabbiato di questo giovane arrabbiato che, nel video, si trova a sinistra. L’ho trascritto perché, nero su bianco, renda la differenza rispetto a ciò che è accaduto a destra del video. A destra del guardrail. Silenzio. Lo sguardo fermo del carabiniere, che ha lasciato dire, ha lasciato fare.
Ho sentito e letto tante analisi, tanti commenti rispetto a questo episodio, ma non mi tornavano i conti. Mi mancava qualcosa. Poi ho capito. Quel giovane, il suo atteggiamento, le sue parole raccontano chi il mondo, questo mondo, vorrebbe farci diventare.
Posso manifestare, dissentire, lottare per le cose in cui credo. Ma se non so più vedere che chi è davanti a me è uomo come me e in lui invece vedo solo un numero, un ruolo, un nemico da insultare, la battaglia, qualunque esito avrà, è persa in partenza. Persa per il giovane a sinistra del video, persa per tutti quelli come lui.
Rischiamo però di perdere qualcosa di prezioso anche noi, se nell’analisi di ciò che è accaduto filosofeggiamo, parteggiamo per l’uno o per l’altro, approviamo o magari anche ci dissociamo, ma non comprendiamo che quella scena ci riguarda direttamente perché ci ricorda, una volta ancora, che il compito a cui siamo chiamati, ciascuno per le responsabilità che ha e per il ruolo che svolge nella vita, è innanzitutto culturale, nel senso etimologico del termine: “coltivare”.
Va coltivata, nei giovani, l’umanità: protetta ed aiutata a crescere. Proprio come la fragile “foglia appena nata” dei versi di Ungaretti…