L’inizio dell’essere cristiani è vivere la verità
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Nel XIV canto del Purgatorio, Guido del Duca lancia un’apostrofe che riecheggia la massima evangelica: “Dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. L’anima del nobile ravennate si trova tra gli invidiosi che hanno indirizzato i loro desideri verso beni che non si possono dividere con altri uomini. A chiusa del canto, Virgilio spiega che l’uomo facilmente abbocca “all’amo dell’antico avversaro”, il demonio, che l’attira a sé e, nonostante il cielo continui a mostrare la sua bellezza eterna agli occhi degli uomini, essi restano fissi a terra. Nel canto seguente, Virgilio completerà la spiegazione. Se l’amore per Dio indirizzasse i desideri umani ai beni celesti, l’uomo non conoscerebbe l’invidia e l’esclusione del suo simile per poter ottenere ciò che brama. Ripiegato su di sé, infatti, l’uomo, per affermare il proprio “io”, schiaccia il “noi”, cioè la dimensione comunionale. La carità, invece, amore che Dio concede a chi la chiede e in proporzione al desiderio, è fattore di unità e costruisce un “noi” in cui il bene è per ognuno. L’amore ha una fecondità generata dalla suprema carità di Cristo che si è “dato” all’uomo. “Castigarono il corpo di Cristo:/ lo volevano morto,/ lo volevano spento,/ lo volevano tragicamente offeso./ E quando Cristo/ arrancando sulle ginocchia si conduceva al patibolo,/ non immaginava che la forza del Padre/ avrebbe issato per lui/ quella croce di cui non era responsabile./ ed ecco il teatro magnifico della crocifissione,/ in cui Dio crocifigge il Figlio/ e lo dimostra a tutti./ Ecco il miracolo della contemplazione/ di quel volto spento/ che suda sangue e preghiere, / ed ecco le tenebre della morte/ cadere non su di lui/ ma sugli uomini che l’hanno crocifisso./ Ecco il Padre amorevole/ che corre in aiuto al Figlio e squarcia tutte le nuvole/ e fa piovere dal cielo/ quella manciata di rose/ che noi umani chiamiamo cristianesimo”(1). Stiamo vivendo un tempo propizio a farci cogliere il profumo di queste “rose” che ci sono state donate. Nel Messaggio per la Quaresima (2), il Papa invita a riflettere sul cuore della vita cristiana, la carità, di cui pone in luce tre aspetti. Primo, far “attenzione all’altro” vincendo l’estraneità e l’indifferenza, per “vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore”: da questo atteggiamento scaturiranno “naturalmente dal nostro cuore la solidarietà, la giustizia, la misericordia e la compassione”. Secondo, il dono della reciprocità, l’essere “gli uni agli altri”, in quanto parte di un unico corpo che è la Chiesa. È il Battesimo, la prima chiamata, a introdurci alla speranza e al dialogo, in quanto “la chiamata è un fenomeno dialogico, nell’“io e tu” e nel “noi” che è la Chiesa. Terzo, camminare insieme nella santità. Ai parroci di Roma (3) ha detto che “l’alterità è sempre un peso, ma è necessaria per la bellezza della sinfonia di Dio”. Non si tratta solo di “sopportare l’altro, ma, con amore, di trovare nell’alterità la ricchezza del suo essere”. Per questo, ha indicato tre virtù non presenti nel catalogo delle virtù precristiane, nate dalla “sequela di Cristo”: l’umiltà, la dolcezza, la capacità di accettare l’altro, che sono “anche virtù dell’unità”. Umiltà è “soprattutto verità, accettare me stesso come pensiero di Dio, così come sono, nei miei limiti, e, in questo modo, nella mia grandezza”. Il “realismo dell’umiltà” permette di “accettare se stesso e l’altro, dà la capacità anche di essere in contrasto con un’opinione prevalente” perché dona “la libertà nella verità”. Anche la carità, che mai si combina con la violenza, è il frutto della verità. Il Signore “ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità”.
Note
(1) Alda Merini, Poema della croce;
(2) Messaggio per la Quaresima, “Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci nella carità e nelle opere buone” (Eb. 10,24);
(3) Lectio divina ai parroci di Roma, 23 febbraio 2012.