Lettera aperta a Paolo Flores d'Arcais
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Signor Paolo Flores d’Arcais,
ho letto la sua lettera al Card. Scola. Le rispondo non a nome del Cardinale, ma mio personale (dato che la lettera non è stata mandata al suo indirizzo, bensì pubblicata su un giornale [La Repubblica del 28 febbraio 2012] – è pubblica, quindi).
Altri, e forse il Cardinale, ben più preparati di me potranno risponderle, con ragioni profonde e seria documentazione.
C’è un aspetto della sua lettera che, per quanto la rilegga e mi sforzi di comprendere, non mi convince affatto.
Lei, tra le altre cose, afferma «che nella sfera pubblica – dai dibattiti tv ai disegni di legge alle sentenze di tribunale – Dio non possa essere ammesso, perché ne andrebbe della democrazia stessa». Strana idea della democrazia, la sua. Come se per poter essere democratico bisognasse lasciare da parte la ragione e la realtà. E mi spiego. Quando lei parla di Dio, di religione, di rivelazione, di convinzioni religiose, mi pare che dimentichi un aspetto essenziale (soprattutto se parla delle convinzioni cristiane). Penso cha abbia avuto modo di leggere (se non di ascoltare) quanto il Papa Benedetto XVI ha detto in Germania, nella storica visita al Bundestag. Se permette le rinfresco la memoria. Il Papa ha detto, in quella occasione: «Come si riconosce ciò che è giusto? Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio».
Ritengo che quando si argomenta, la prima cosa da fare (lo ha insegnato da vero maestro il grande Tommaso d’Aquino) è riportare con correttezza le posizioni che si vogliono confutare, in modo da non fare apparire come «mostruoso» ciò da cui si dissente. Papa Benedetto ci ricorda che la ragione (e questo è il «fondamento del diritto») nella sua manifestazione più vera deve essere in qualche modo aperta all’infinito. Dice precisamente così: «Una concezione positivista di natura, che comprende la natura in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la riconoscono, non può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzionali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. In essa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito della ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica; invitare urgentemente ad essa è un’intenzione essenziale di questo discorso.»
Il dogmatico «Dio lo vuole» credo sia più una interpretazione mitologica di Paolo Flores d’Arcais che la convinzione seria del credente fedele alla dottrina della Chiesa.
Ben venga dunque lo spazio dato alla religione (a questa religione) per un autentico concetto di democrazia. Come sempre, la realtà è più concreta di ogni mistificante, ideologica ed illusoria teoria.