“Non ci può essere memoria condivisa” – PMLI
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(Pavel A. Florenskij, in Ai miei figli)

Ero afona, il 10 febbraio. Completamente. Eppure, chi volesse andare a leggere i registri delle mie tre classi, a destra, in corrispondenza alle mie ore di venerdì, troverebbe scritto “Giorno del ricordo”. Silenziosissimi, i miei ragazzi di prima, seconda e quarta superiore, leggendo il labiale della loro prof., hanno saputo cosa è accaduto, nell’immediato secondo dopoguerra, nei territori italiani sulla costa orientale dell’Adriatico; hanno sentito le traversie dei 300 mila italiani costretti ad andarsene dall’Istria, dalla Dalmazia, dal Quarnaro. Ho spiegato loro la pulizia etnica compiuta con ferocia dalle milizie comuniste di Tito: il massacro di decine di migliaia di persone, gettate nelle foibe o, polsi legati e pietra al collo, spariti in mare. Ci siamo detti, insieme, che “fare memoria” significa non solo ricordare il passato, ma vivere “in memoria” di chi ci ha preceduto, e cioè sentire, tutti, la responsabilità di un compito.
Non so se le scuole, tutte le scuole, hanno programmato delle iniziative per il “Giorno del Ricordo”, istituito con la legge 30 del 2004 “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Non so se i miei colleghi hanno fatto spallucce o hanno dato retta alle indicazioni espresse nella circolare firmata dal ministro Francesco Profumo, che, rivolgendosi ai dirigenti scolastici, così aveva scritto: “si invitano le SS.LL., anche mediante la collaborazione con le Associazioni degli esuli che potranno fornire un importante contributo di analisi e di studio, a sensibilizzare le giovani generazioni su questi tragici fatti storici, al fine di ricordare le vittime e riflettere sui valori fondanti la nostra Carta costituzionale”.
Ho aspettato a scrivere questo articolo, perché ho assegnato ai miei studenti uno strano “compito per casa”: chiedere per un po’ di giorni, ai coetanei che trovavano, se il 10 febbraio o nei giorni successivi, nelle loro classi era stato affrontato l’argomento, e verificare, sul sito dei loro Comuni di provenienza, se le amministrazioni avessero promosso qualche iniziativa.
Ho atteso qualche giorno, poi mi sono fatta raccontare. I loro amici sapevano poco o niente. I loro Comuni avevano organizzato poco o niente. Per le scolaresche sostanzialmente nulla.
Nel frattempo, un po’ mi sono informata anch’io.
Alcune conferenze e alcune mostre, effettivamente, navigando in rete, ho visto che ci sono state, così come ho letto il discorso tenuto dal presidente Napolitano.
Sul web e sui giornali ho però anche riletto le polemiche che hanno accompagnato e accompagnano il film del regista Martinelli, Porzûs, uscito nel 2007 e che, accusato più o meno esplicitamente di lesa Resistenza, è girato poco per le sale e meno negli Istituti scolastici. E però – onore al merito – è stato trasmesso in tivù, proprio la sera del 10 febbraio.
Ho letto che il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha fatto una toccata e fuga alla cerimonia in largo Martiri delle foibe, organizzata dal Comune, ma… ha parlato (democraticamente, si capisce!) solo lui, perché non c’è stata la possibilità di prendere la parola per gli esuli del Movimento nazionale Istria Fiume e Dalmazia. Non era previsto dal programma. Del resto, l’11 febbraio del 2004, Pisapia, deputato di Rifondazione comunista, era stato uno dei 15 a votare contro la legge che istituiva il “Giorno del ricordo” e quindi non si può dire non sia stato coerente con la scelta d’allora. Sono sindaco, devo andare, mi turo il naso, vado, dico due parole (ma tre no: “comunismo” e “pulizia etnica”), saluti, dietrofront, arrivederci alla prossima.
Non c’è da meravigliarsi, se penso che esiste ancora il PMLI: il partito marxista leninista italiano. Credevo fossero pagine antiche e polverose, quelle che ho trovato in rete; e invece no: sul web, vivo e vegeto, dice la sua sul governo Monti, segno che il sito viene costantemente aggiornato. Del 10 febbraio – come volevasi dimostrare – si afferma, con un titolone, che “è un oltraggio alla Resistenza e al socialismo”. Perché? Perché evidentemente ciascuno si costruisce la “sua” storia ed anche se i documenti, le foto, le testimonianze, sempre più numerose, parlano chiaro, anzi chiarissimo, su questi episodi (e non solo su questi!) molti continuano a seguire la strada del negazionismo e/o del giustificalismo. La realtà non conta.
Come al solito, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Specie se parte dal presupposto – cito dal sito del PMLI – che “non ci può essere memoria condivisa”.
Ecco. Credo che il punto sia questo. Oggi e nella scrittura della storia tutta.
Nei nostri libri di storia (anche in quelli, freschi di stampa, che stanno arrivando a scuola a valanghe, in questi giorni), ci sono buchi, anzi voragini – e cioè omissioni – da far inorridire ogni docente serio (penso al genocidio degli Armeni; penso ai temi che sono argomento di questo articolo; penso ai massacri compiuti nel corso della guerra civile dopo l’8 settembre 1943; penso ai gulag, e agli orrori del comunismo: dai 7 ai 10 milioni di vittime in due anni, solo in Ucraina… E sono solo alcuni esempi, relativi alla storia del Novecento). Ci sono, inoltre, periodi della storia di cui nei nostri testi vengono proposte solo le “luci” e, alle ombre, al massimo si accenna appena, e sempre minimizzando, giustificando. Due esempi: il Risorgimento e la Resistenza. Su questi due momenti importanti del nostro passato, che pur occupano pagine e pagine dei manuali, urge un lavoro serio, onesto, “condiviso” da parte degli studiosi, con il coraggio – quando occorre – anche di tirare fuori dagli armadi vecchi scheletri. Potrà forse essere doloroso, ma va fatto, perché ha ragione il filosofo Remo Bodei: “L’oblio del proprio passato modifica l’identità di un individuo o di un popolo, in quanto essa è plasmata non solo dal patrimonio di memorie ereditato, ma anche da quanto si dimentica o si è obbligati a dimenticare”.
Riporto questa lettera al Direttore di Avvenire dell’11 febbraio 2012, istruttiva: «INFOIBATI DAL COMUNISMO NON DA «DERIVE NAZIONALISTICHE»
Caro direttore, come profugo istriano sono rimasto colpito dal messaggio del presidente Napolitano: gli eccidi e l’esodo sono stati causati dalle derive nazionalistiche europee. Ero bambino, all’epoca, ma me la sento di dichiarare che gli eccidi e l’esodo sono stati causati dalle ideologie: a finire nelle foibe è stata particolarmente la borghesia, vittima del comunismo più deteriore. A Pola, a Fiume, a Gorizia, a Zara, a Trieste vennero deportati dai comunisti titini anche membri del Comitato nazionale di liberazione, colpevoli solo di avere altre ideologie; e i titini sono stati aiutati in questo da comunisti italiani, che credevano nel ‘paradiso’ sovietico. A Genova, la sindaco Vincenzi ha sostenuto che le foibe sono state solo una reazione al fascismo, ma si è guardata bene dallo spiegare perché nelle foibe sono finiti tanti antifascisti o perché, malgrado a Pola su 34.000 abitanti ci fossero ben 6.000 cittadini inseriti nei gruppi combattenti partigiani, solo 2.000 persone nel 1947 abbiano deciso di optare per la cittadinanza jugoslava... Gli anni passano e i ricordi si affievoliscono, ma ancora oggi ricordo le scazzottate quotidiane coi ‘compagni’ di scuola che non accettavano di avere come compagno di classe un ‘fascista’ fuggito dal paradiso di Tito. La sindaco di Genova perché non prova a confrontarsi con un suo predecessore, anche lui di sincera fede democratica, ma come me esule da Pola?
Sansa ha vissuto l’esodo sulla sua pelle e non è un negazionista, anzi … Infine, una preghiera: in Italia ci sono ancora Comuni che hanno una via o una piazza intitolata a Tito, il grande infoibatore. Se qualche sindaco avesse lasciato una piazza intestata a Mussolini, a quest’ora lo avrebbero linciato. Non dico di fare altrettanto con loro, ma non esiste un limite alla decenza?
Norberto Ferretti»
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Don Gabriele Mangiarotti