Per chi ci chiede le ragioni della nostra posizione
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Questa che riportiamo più sotto (da un’intervista a Don Giussani) è la nostra storia, e ne siamo fieri. “Pour se poser, il s’oppose”. Lo abbiamo detto tante volte, perché riteniamo che, nella vita e nella storia di tutti i giorni, abbiamo qualcosa da dire, convinti che l’intelligenza dell’interlocutore sappia riconoscere i valori affermati. Noi non crediamo che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore, né che la verità si faccia avanti attraverso chiacchiere e “dialoghi” nello stile di Funari, “A bocca aperta”.
Già San Paolo ricordava (in sintonia con il sì, sì e no, no di Gesù) che il Signore non è stato sì e no, ma ha testimoniato con la sua vita la verità che era venuto a portare. Gesù non aveva infatti la preoccupazione di “andare d’accordo” con tutti, ma di dire la verità, anche se scomoda; Lo abbiamo sempre riconosciuto come un uomo libero.
Così ci siamo mossi in tutti i casi nei quali ci siamo sentiti coinvolti ed anche nella vicenda dello spettacolo di Castellucci (nel giudizio sul quale ci sembra che tanti elementi ci diano ragione, non ultimo la lettera della Segreteria di Stato del Vaticano a padre Cavalcoli).
Come già ricordava un autore latino, Publio Terenzio Afro, “nulla di quanto è umano mi è estraneo” [Homo sum, humani nihil a me alienum puto]: da sempre ci interessa tutto ciò che riguarda l’uomo e lottiamo per la verità della vita. Per l’Incontro che abbiamo fatto ed anche per non doverci poi sentire rimproverare: “Ma dove eravate?”.
Siamo stati e siamo presenti dove sono in gioco l’umanità, la bellezza e la verità dell’uomo. Non abbiamo nulla di personale contro il regista Castellucci, e non intendiamo chiudere i ponti con nessuno. Dentro, attorno e al di là dello spettacolo che andrà in scena a Milano, però, è un clima culturale che ci interroga e ci chiede da che parte vogliamo stare.
E’ anche per questa ragione che non ci tiriamo indietro nel cammino intrapreso.
Questo testo di Don Giussani ci sembra illuminare e indicare i criteri di una presenza dentro la realtà sociale, che sappia dare ragioni per affermare ciò che vale, senza la preoccupazione di muoversi per il successo, perché il Signore e la Chiesa ci hanno indicato un criterio diverso.
«D. Si è già accennato alla polemica fra Gioventù Studentesca e le associazioni studentesche unitarie d’istituto. Le sarei grato se ci dettagliasse ulteriormente questa vicenda e ci desse il suo giudizio riguardo ad altre due clamorose polemiche in cui GS si impegnò: la lotta per la libertà di stampa all’interno delle scuole medie superiori di Milano (e il fraintendimento che se ne ebbe con il caso «Zanzara»); la lotta contro il monopolio della gestione delle iniziative culturali parascolastiche, concesso dalle associazioni d’istituto al «Piccolo Teatro della Città di Milano», ente comunale ma posto sotto l’esclusivo controllo di intellettuali della sinistra marxista e laica radicale.
Don Giussani: […] La Zanzara era l’unico giornale studentesco di cui il preside consentisse la diffusione all’interno del liceo Parini. Stando così le cose, diventava un organo ufficiale di tutti gli studenti del liceo; quindi dalle sue colonne non era lecito che alcuni studenti irridessero ai principi morali di una parte dei loro compagni. Diversamente da quanto si volle allora far credere, non fu Gioventù Studentesca ad innescare il caso; ma quando esso scoppiò noi ritenemmo di dover prendere pubblicamente posizione sottolineando l’essenza del problema, ossia quanto ho accennato più sopra. Tuttavia è indubbio che non ci comportammo abilmente nel successivo svolgersi della vicenda. Insistevamo sull’essenza della questione trascurando come secondario l’episodio che concretamente ormai polarizzava l’interesse dell’opinione pubblica. Non essendoci uniti con tutto il vigore necessario all’ondata di sdegno per tale episodio, demmo l’impressione a molti di esserci schierati dalla parte del magistrato in esso coinvolto, ed in genere dalla parte di un goffo tentativo di repressione burocratica che invece non condividevamo affatto. Come pure non condividevamo il rigido moralismo di molti di coloro che si erano schierati contro il famoso articolo.
Per noi la questione era di principio, e il vero problema era ben più ampio e complesso; ma in pratica non fummo capaci di far emergere chiaramente i tratti distintivi della nostra posizione.
Anche la polemica con il «Piccolo Teatro», pure spesso fraintesa, fu ispirata alla nostra volontà di difendere, per noi e per chiunque, lo spazio necessario allo sviluppo di culture e di visioni-del-mondo formalmente accolte ma in pratica escluse e negate dalla scuola statale «laica». Nell’inverno 1962-63, su invito delle associazioni d’istituto, il Piccolo Teatro della Città di Milano organizzò in molte scuole medie superiori cittadine dei recitals dal titolo «Poesia e verità», in cui venivano appunto letti e presentati testi poetici scelti però solo in base a criteri e convinzioni di matrice marxista e laica radicale. Gioventù Studentesca, coerentemente con la sua linea, si oppose a tale operazione: se la scuola vuole essere neutra — argomentavamo — allora non proponga d’autorità e privilegiatamente strumenti culturali di matrice determinata, ma lasci spazio nel proprio ambito anche a strumenti ed iniziative di altra matrice, come quella cattolica. Con quale diritto le associazioni concedevano al Piccolo Teatro ciò che invece negavano non ad altre realtà estranee alla scuola ma addirittura ad un raggruppamento studentesco come GS? Anche in questo caso, la nostra era una lotta su un problema di principio e una ribellione contro il tentativo di instaurare un regime: possono esistere infatti regimi fascisti, regimi nazisti, regimi clericali, ma anche regimi laicisti e marxisti.
Qualche anno dopo, avremmo avviato una campagna di protesta contro la politica culturale a senso unico portata avanti dal Piccolo Teatro: una politica di cui i recitals «Poesia e verità» erano stati un riflesso a livello dell’ambiente scolastico. Fu appunto in quell’occasione che, per la prima volta, il nostro movimento uscì dal ristretto ambito del mondo della scuola per affrontare un problema di rilievo non solo milanese, ma addirittura nazionale (il Piccolo Teatro, diretto da organizzatori e registi certamente di valore, aveva infatti una fama ed un influsso che andavano ben oltre Milano). Ancora una volta la nostra era una battaglia a favore del pluralismo politico e culturale, e contro le colorazioni a tinta unita di strutture che, essendo pubbliche, dovrebbero invece essere proposte e gestite come spazi ugualmente accessibili a tutte le forze democratiche, ugualmente fruibili ed aperti a tutti gli apporti che da esse provengono. In tale prospettiva non potevamo accettare che un ente comunale, come il Piccolo Teatro, fosse controllato e gestito in via esclusiva da intellettuali marxisti e radicali. Queste erano le motivazioni cui la nostra campagna si ispirava, anche se da molte parti si tentò di mistificarle facendoci passare per dei nemici della cultura che si accanivano per cause oscure contro una prestigiosa istituzione che teneva alto in tutto il mondo il nome di Milano.
Non era questo, invece, il nocciolo del problema, e già l’ho spiegato. Ma non sempre fu possibile reagire con efficacia a tale mistificazione, anche perché non trovammo alcun aiuto nel mondo cattolico adulto, il quale — in questa come in tante altre circostanze — con grande impegno stava perlopiù creando le premesse della propria futura totale emarginazione.» [L. Giussani, Il movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book]
Per l'immagine di don Giussani