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Noi abbiamo scelto da che parte stare

Fonte:
CulturaCattolica.it

«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia», scrive William Shakespeare, nell’“Amleto”. Questo aforisma vale ancor di più oggi, soprattutto se rivolto ai vari giornalisti che trattano delle cose di Chiesa (ora ho in mente l’articolo di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera e quello di Adriano Prosperi su Repubblica). Chissà perché non riescono a sollevare lo sguardo e a pensare che la ragione sia (io l’ho imparato da don Giussani) «coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori»?
Vivo da tempo l’esperienza cristiana, che mi ha trasmesso mio padre, presidente diocesano della Azione Cattolica nell’anteguerra, e che nella scuola media ho visto testimoniata in maniera affascinante dalla mia professoressa di Lettere: una giovane donna, educata nel razionalismo illuminista e scientista del padre, e convertitasi durante gli anni dell’Università. Ho poi incontrato l’esperienza di don Giussani negli anni del liceo. Ebbene, in nessuno di questi «testimoni» della fede ho visto il seme della intolleranza, della chiusura, del settarismo, del rifiuto al confronto e al dialogo. Come per me, anche per tante altre persone, giovani e meno giovani, la fede cristiana è stata sempre lo stimolo ad una accoglienza seria, lieta e rispettosa. Ho vissuto, in questi ultimi anni, l’amicizia con Magdi Allam, prima della sua conversione al cattolicesimo, e non mi sono mai posto la questione di una diversità da evitare o di un proselitismo da vivere. Siamo stati amici, veri e seri, e basta! E lo rimaniamo, ora che abbiamo in comune, oltre che la domanda della verità, la risposta che è Cristo.
Ma quando leggo i quotidiani e cerco di scoprire le ragioni di quello che scrivono i vari giornalisti, mi ritrovo sempre più spesso a vivere un senso di disagio, come se si parlasse una lingua diversa e di argomenti diversi. Eppure si tratta sempre della Chiesa e della fede!
Molti di loro sembrano più attaccati a una tesi da difendere e propagandare che alla verità dei fatti. Ho in mente, ad esempio, come hanno trattato il grande pontificato di Giovanni Paolo II (anche se purtroppo non sono stati solo loro a ridurre la portata del suo insegnamento e della sua figura). È vero: tanti, dopo, si sono ricreduti, recitando il mea culpa. Chissà perché, però, non sono mai capaci di partire dal positivo (e non c’è bisogno di scomodare san Filippo Neri e il suo esempio del ‘cuscino di piume sparse al vento’ per indicare come il male comunicato prende poi una strada che non si può più fermare…). Chissà perché non riescono a scoprire nel mondo della fede e della Chiesa quei fermenti di novità e bellezza che potrebbero, se coltivati, contribuire a creare un mondo più umano, soprattutto più vivibile per i giovani. Chissà perché preferiscono una informazione «vecchia», al rischio di una comunicazione di ciò che merita di essere incontrato. Chissà perché preferiscono creare steccati e barriere, piuttosto che edificare ponti di bellezza e libertà…
Nel nostro piccolo, abbiamo scelto di dare voce a chi lavora per edificare, a chi sa offrire speranza ai giovani, a chi si appassiona ad usare la ragione (“allargata”, direbbe Benedetto XVI) come possibilità di incontro. Ci aspetta una nuova epoca; da noi dipende se sarà a favore o contro l’uomo.
Noi abbiamo scelto da che parte stare.

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