La Chiesa nemica? Il popolo odiato dagli intellettuali
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(G. Ungaretti, Non gridate più)

Mancano pochi giorni alla fine del 2011 ed è tempo di bilanci. E’ tempo di chiedersi come, quest’anno, si è celebrato il 150° dell’Unità d’Italia.
Impossibile, qui, fare il resoconto di tutte le conferenze e le manifestazioni promosse nella penisola. Ciò che interessa, piuttosto, è invitare i lettori a riflettere: loro sì, a conoscenza di ciò che il proprio Comune, la Provincia, la Regione hanno organizzato, potranno criticamente chiedersi se il modo scelto per ricordare il passato e ragionare sul presente è stato efficace.
Posto che l’Unità d’Italia è un dato innegabile e irrinunciabile, l’anniversario dei 150 anni poteva essere il momento per una seria e rigorosa “lezione di storia”: un’analisi del passato a partire dalla realtà presente; una rilettura della storia capace di affrontare questioni (il federalismo, la sussidiarietà, la laicità, tanto per citarne alcune…) le cui radici affondano proprio nell’epoca risorgimentale; una domanda su cosa significhi, oggi, essere “italiani”, per una consapevole acquisizione di responsabilità; il superamento della damnatio memoriae per cui del Risorgimento (come anche, purtroppo, di altre epoche, specie recenti) la storiografia “che conta” (quella, per capirci, politically correct: l’unica che ha il lasciapassare nei libri di storia adottati nelle scuole…) continua a raccontare solo le luci, senza l’onestà intellettuale di far emergere anche le ombre che, sempre, accompagnano le vicende degli uomini…
Non so a che conferenze abbiano partecipato i lettori di questo articolo, ma una ricostruzione rigorosa del Risorgimento avrebbe dovuto dare ragione di tutti gli aspetti, senza censurarne alcuno, “purificando” dunque la memoria, come bene ha scritto mons. Luigi Negri nel suo recente saggio Risorgimento e identità italiana: una questione ancora aperta: “Non solo denunciare che il processo di unificazione è avvenuto in modo poco rispettoso del popolo e della grande tradizione cattolica, ma anche riconoscere il contributo fondamentale del Magistero sociale della Chiesa e l’apporto decisivo dei cattolici a livello sociale”.
Non fosse accaduto questo, tocca dare ragione ad Ungaretti citato in cima a questo ‘pezzo’, ed ai suoi versi. I morti non vanno tirati per la camicia (rossa, se erano garibaldini) e non vanno nemmeno scordati se si trovavano “dall’altra parte”. Meritano rispetto, i morti, perché, tutti, hanno la loro storia da raccontare.
Torniamo dunque alle celebrazioni. Non so, francamente, in quanti Comuni siano stati invitati a prendere la parola storici che abbiano ad esempio ricordato le diverse anime del Risorgimento o, con onestà intellettuale, abbiano fatto piena luce sulla figura straordinaria di Pio IX che frettolosamente, dalla storiografia à la page viene liquidato come “antitaliano” e “antiliberale” facendo credere che la causa dell’inimicizia tra Stato e Chiesa sia nata dal potere temporale e non dall’attentato minuziosamente pensato e puntualmente eseguito alla libertas ecclesiae.
Tanto per fare un esempio, il 25 gennaio 2011, con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura della Provincia di Venezia, dell’Università Ca’ Foscari, dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto, della Rete provinciale insegnanti di storia, a Portogruaro, la cittadina in cui vivo, si è tenuta la conferenza La Chiesa nemica. Percorsi e problemi della nuova Italia. Relatore, il professor Mario Isnenghi, che in un’intervista rilasciata a Gianni Barbacetto, giornalista de Il fatto quotidiano, così si è espresso: “Il dibattito che si è finora sviluppato nell’ambito del bicentenario, nei convegni, nelle discussioni, ha espresso una diffusa e rammaricata meraviglia davanti all’anticlericalismo di Garibaldi. Grottesca, diciamolo pure. Io mi rammarico e mi sorprendo per questo rammarico e per questa sorpresa. L’attuale situazione d’invadenza clericale dovrebbe portare a rimettere sugli scudi l’anticlericalismo che è non di Garibaldi, ma di tutto il Risorgimento italiano: perché le leggi Siccardi non le ha mica fatte Garibaldi, le ha fatte il Regno di Sardegna; la Breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 non l’ha mica fatta Garibaldi – purtroppo per lui che si rodeva il fegato per esserne stato tenuto fuori – ma l’esercito italiano, i bersaglieri di Raffaele Cadorna”. E infatti.
Il problema è che quella che Isnenghi definisce “attuale situazione d’invadenza clericale” porta lo stesso Isnenghi a dare per scontato, già nel titolo del suo intervento alla conferenza per le scolaresche organizzata per le celebrazioni del 150°, che la Chiesa è stata (ed evidentemente, secondo Isnenghi, è ancor oggi) “nemica”. Alla faccia del rigore storico che dovrebbe cercare di liberarsi dei pre-giudizi ed evitare di brandire la storia come un’arma.
E chissà se Isnenghi e gli storici che qui e lì sono stati invitati hanno raccontato che il fenomeno che comunemente viene definito “brigantaggio” in realtà è stato, nel meridione, il segno di una mancata partecipazione popolare al processo di unificazione, se non una chiara forma di resistenza, poiché il popolo (il “popolino”, fatto – così si diceva – di “cafoni”) è stato tagliato fuori, o usato, perché le decisioni sono state prese da una minoranza.
In quanti Comuni il Risorgimento è stato raccontato come progetto rivoluzionarista ed anticattolico, frutto di una cultura razionalistico-illuminista che voleva sostituire alla cultura di popolo l’ideologia di una minoranza che si credeva legittimata ad imporre, anche con l’uso della violenza, il proprio punto di vista, attraverso anche l’ingerenza dello Stato sulla Chiesa?
Non so se questa occasione per una seria lezione di storia, capace di raccontare a trecentosessanta gradi il processo di unificazione è stata colta come occasione di riflessione e di crescita per tutti.
Mi piacerebbe mi raccontassero, ora che il 2011 sta terminando, se chi ha preso la parola nel corso delle innumerevoli celebrazioni, ha esordito con una premessa imprescindibile: ricordando cioè che la storia degli italiani è una storia bimillenaria e che non ci si deve far trarre in inganno dal termine “Risorgimento” come se, prima d’allora, la società fosse “morta” e la cultura italiana inesistente. E’ bene ricordare, se gli intellettuali che sono saliti in cattedra si fossero scordati di rammentarlo, che esiste un’unità (e identità) italiana che precede – e di molto – quella politica!
A questo proposito, inequivocabile è stato il messaggio che Benedetto XVI, il 17 marzo 2011, ha indirizzato al presidente Napolitano in occasione del 150° dell’Unità.
“Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico. San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale”.
Chiarissimo.
Non so cos’è accaduto quest’anno nei vari Comuni, nelle Province, nelle Regioni. So però cosa è accaduto nella cittadina in cui abito, e con amarezza dico che, a fronte di tanti “eventi” promossi e di tante conferenze organizzate, forse si è persa un’occasione importante: riflettere sul passato con onestà intellettuale, senza cadere nella retorica idolatrica del Risorgimento, per capire cosa significa essere italiani oggi. Lo rammenta bene mons. Negri: “Un impegno, una responsabilità nella quale il nostro popolo è chiamato ad assumere un volto più maturo e responsabile”.
Solo così la storia non resta ricordo più o meno nostalgico del passato e solo così sarà possibile, insieme, costruire un futuro più libero, più giusto, più democratico. Una società che parta dalla centralità della persona e sia desiderosa di impegnarsi per il bene comune.