O Benedetto o Ciotti
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(Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2012)

Toccano gli stessi temi, il Papa nel suo messaggio per la celebrazione della XLV Giornata mondiale della pace e nel corso della visita del 18 dicembre ai carcerati di Rebibbia, e Luigi Ciotti nel suo ultimo libro “La speranza non è in vendita”. Parlano di giustizia, di solidarietà, di educazione, di speranza, di libertà…
I temi sono gli stessi, eppure… Eppure nel primo caso si avverte, sempre, la certezza di una Presenza sovrabbondante, gioiosa e generosa. Nel secondo caso, nonostante il tentativo lungo 126 pagine di dare sostanza, e senso, alla speranza che è soggetto del titolo, ciò che si avverte è come la ferita di un’assenza e, soprattutto, di un Assente. Già a partire dalla copertina.
Il sacerdote torinese, autore del saggio, si firma così: Luigi Ciotti. Quasi che il “don” fosse, quando si combatte per la giustizia sociale, solo un’inutile, ingombrante appendice. Un fardello.
E’ questa la prima cosa che colpisce: l’assenza del “don”. Che sia una vergogna appartenere alla Chiesa?
Non è dunque un prete a scrivere il libro: un uomo il cui abito, e la croce, e il nome nella sua interezza, immediatamente rimandano alla persona di Gesù; autore è un uomo che tiene per la domenica (forse) la sua vocazione, e nella sua “lotta” quotidiana sceglie di confondersi e di appiattirsi in un generico ed indistinto “noi”.
Non è una svista, no. E’ proprio convinto, Ciotti – lo si legge nella quarta di copertina – “che solo il noi può costruire cambiamento e giustizia sociale”.
E così il suo essere e non essere (sacerdote) inevitabilmente diventa un… dire e non dire. Anche a proposito della speranza, che dalla prima all’ultima pagina resta solo una buona intenzione.
Ben diversa la posizione di Papa Benedetto XVI. La speranza a cui guardano fissi i suoi occhi ha un nome ed ha un volto, è qui e ora. Non c’è ombra di equivoco, non ci sono perifrasi, perché la Chiesa da duemila anni parla a tutti e il Papa non ha la preoccupazione di non essere sufficientemente ‘inclusivo’. E così le sue parole sono chiarissime, inequivocabili. “Ai genitori desidero dire di non perdersi d’animo!”, afferma nel messaggio per la Giornata della pace. “Con l’esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza innanzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche”.
Così titola, invece, Luigi Ciotti, il capitolo a pagina 123: “La speranza ha il volto degli esclusi”. E prosegue: “Non possiamo ricostruire la speranza, se non partendo da chi dalla speranza è stato escluso, dai disperati che affollano la faccia di questa Terra. Sono loro quelli per cui sperare e soprattutto quelli che ci fanno sperare, offrendoci i punti di riferimento del nostro impegno, le sue coordinate etiche, politiche, sociali”.
Anche il Papa fa riferimento agli “ultimi”, ma prima si chiede chi è l’uomo, e così risponde: “L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. (…) Perciò, la prima educazione consiste nell’imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a questa altissima dignità”.
Poche parole, le sue (non servono 126 pagine!), ma indispensabili per chiarire cosa muove un cristiano ad essere “presenza significativa”, e lievito, nella vita, nella società, nella politica.
Si parla di giustizia, nel saggio del fondatore del Gruppo Abele e di Libera; si raccontano storie di disuguaglianza e di mafia; situazioni di povertà e di disagio; e poi i problemi dei migranti, dei carcerati… Parla di Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti umani, Ciotti, e di impegno sociale. Ma alla domanda “Cosa deve fare la Chiesa?” non risponde invitando i cattolici ad essere testimoni di Cristo; non accenna al compito missionario che a ciascuno è affidato; non esorta ad un approfondimento della fede. Scrive che la Chiesa “deve interferire, risvegliare le coscienze, denunciare non solo gli affari criminali e le ingiustizie sociali, ma l’illegalità diffusa e le morali di convenienza”. E aggiunge: “Si tratta di ritrovare insieme il senso di una politica che sia capace di soddisfare la ‘fame e sete di giustizia’ delle persone”.
Diverso, una volta ancora, lo sguardo del Santo Padre, che ricorda: “E’ importante non separare il concetto di giustizia dalla sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. E’ la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una visione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore”.
E’ triste constatarlo, perché siamo di fronte a due uomini di Chiesa, ma più si leggono le parole del Papa e più ci si inoltra nel saggio di Ciotti, più sembra di avere a che fare con linguaggi e modi di vedere e di vivere la vita l’uno dall’altro lontanissimi.
Dice il Papa ai carcerati di Rebibbia: “Dovunque c’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto. E’ questa la ragione principale che mi rende felice di essere qui, per pregare, dialogare ed ascoltare”.
Anche nel testo del sacerdote torinese si citano le Beatitudini come “realtà che interpella chi ha fede (fiducia) nelle persone. Credente o laico che sia”, ma mai, in queste 126 pagine evidentemente rivolte a credenti o laici che siano, c’è un riferimento esplicito alla preghiera. Forse, in verità, un accenno pacato si avverte quando, nella penultima pagina, Ciotti scrive: “Abbiamo bisogno di quel silenzio che ci permette di scendere in una profondità interiore dove abita quel Dio che è la parte migliore di noi stessi. Un Dio che è stato sepolto sotto le macerie di un pianeta devastato e che ci chiede di aiutarlo a ritornare fra la gente”.
Il “silenzio” di Ciotti è però diversissimo dal “silenzio” del Papa. Sembra buio e vuoto, il primo. E’ ricco, e pieno di vita, di promesse, di speranza, il secondo. “Il Bambino di Betlemme sarà felice quando tutti gli uomini torneranno a Dio con cuore rinnovato”, dice Benedetto XVI ai carcerati. “Chiediamogli nel silenzio e nella preghiera di essere tutti liberati dalla prigionia del peccato, della superbia e dell’orgoglio: ciascuno ha infatti bisogno di uscire da questo carcere interiore per essere veramente libero dal male, dalle angosce, dalla morte. Solo quel Bambino adagiato nella mangiatoia è in grado di donare a tutti questa liberazione piena”.
Non c’è spazio per il Bambino di Betlemme, che mai viene citato, e non c’è evidentemente spazio per la preghiera, nelle tante cose da denunciare e da fare, elencate nelle 126 pagine del libro di Ciotti.
La preghiera è invece forza dirompente per il Santo Padre, che ai detenuti dice: “Io so che per me è un obbligo particolare di pregare per voi, di tirare voi, quasi, al Signore, in alto. (…) Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che un forte cavo, per così dire, sia, che vi tira al Signore e ci collega anche tra noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi. Siate sicuri di questa forza della mia preghiera e invito anche gli altri ad unirsi con voi nella preghiera, così trovate quasi una unica cordata che va verso il Signore”.
Eccola, infatti, la preghiera, che diventa cordata verso il Signore. E’ quella del carcerato Stefano, reparto G 11.
Preghiera dietro le sbarre
O Dio, dammi il coraggio di chiamarti Padre.
Sai che non sempre riesco a pensarti con l’attenzione che meriti.
Tu non ti sei dimenticato di me, anche se vivo spesso lontano dalla luce del tuo volto.
Fatti sentire vicino, nonostante tutto, nonostante il mio peccato grande o piccolo, segreto o pubblico che sia.
Dammi la pace interiore, quella che solo tu sai dare.
Dammi la forza di essere vero, sincero; strappa dal mio volto le maschere che oscurano la consapevolezza che io valgo qualcosa solo perché sono tuo figlio. Perdona le mie colpe e dammi insieme la possibilità di fare il bene.
Accorcia le mie notti insonni; dammi la grazia della conversione del cuore.
Ricordati, Padre, di coloro che sono fuori di qui e che mi vogliono ancora bene, perché pensando a loro, io mi ricordi che solo l’amore dà vita mentre l’odio distrugge e il rancore trasforma in inferno le lunghe e interminabili giornate.
Ricordati di me, o Dio, amen.
Fa’, o Dio, che imparino questa preghiera semplice anche i preti che quando scrivono libri si dimenticano di essere Tuoi pastori e quando parlano di speranza credono che Tu sia morto e “sepolto sotto le macerie di un pianeta devastato” e non sanno, forse, che il terzo giorno sei risorto per regalare speranza a tutti gli uomini e le donne del mondo. Amen.