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La mia lavandaia nel vento azzurro di Forlì

Fonte:
CulturaCattolica.it

Viaggio, con vento a folate, percorrendo l’antica Romea. Lo aveva previsto mia figlia Marianna: "Copritevi bene, ci sarà un vento gelido!". Con un vento così si stendono i panni che è un piacere, le donne lo sanno: è il vento della lavandaie.
Forlì oggi è Nazareth e Betlemme insieme, un gigantesco presepe di 500 angeli, cherubini e serafini, pueri ebreorum, mercanti e romani e poi tanta gente venuta a farsi censire o semplicemente a vedere figli e nipoti.
Io e mia moglie Luisa facciamo fatica a trovare una locanda per mangiare in tutta fretta: tutti gli ostelli son pieni, soppalchi e ballatoi… Ci aspetta una lavandaia della casa di Elisabetta, là in piazza Ordelaffi, vicino alla fontana. Di passaggio, incontro Elisabetta incinta di sei mesi che mi riconosce e mi saluta, io stento un po' per via del velo che porta. Ma come si fa a non riconoscere la cugina di Maria? I bambini si uniscono alle lavandaie e ballano una danza ebrea nel vento di Nazareth che spinge un angelo con un giglio bianco ad una giovane donna della casa di Davide sopra una terrazza, sì che tutti la possano vedere. Ci sono molte telecameree giornaliste stupite: non s'era mai vista tanta gente a Forlì per seguire un evento a tutti ormai noto... Arriva Giuseppe con il suo bastone fiorito, lo scortano con il candelabro a sette braccia e un baldacchino: mi sembra di aver già visto una scena così alla Cappella degli Scrovegni...
C'è lo zampognaro che attacca la sua nenia e un'asina che lo segue a ritmo di danza verso piazza Saffi. La gente si stringe tutt'attorno, solo Maria cammina lenta e maestosa e la folla del sabato le si apre davanti come un mare. La mia lavandaia continua a sventolare drappi in Piazza Ordelaffi e il vento li porta in alto come i festoni degli angeli quella notte e li asciuga profumando di buono tutta la piazza... Da un palazzo spuntano gli sgherri di Erode perché ci deve essere anche il nostro male in questo presepe vero. Si arriva al palazzo municipale e dal balcone quattro angeli con le trombe dorate (ma chi è l’assessore che ha consentito la cosa?!) richiamano l’attenzione dei pastori che bivaccano là sull'asfalto tra le pecore stanche: è annunciata una grande gioia anche a chi sta facendo il suo shopping e a chi, distratto, si è trovato suo malgrado nel presepe di un sabato qualunque, un sabato italiano.
Strada facendo si uniscono soldati, paggi e tamburini, qualche salto di tempo, ma si sa com’è: i secoli scorrono come fiumi verso la capanna. I Magi sono veri, uno viene dall'Africa nera e vanno sotto il campanile di San Mercuriale dove Maria trascolora divinamente affranta. Lì nasce il Bambino e i nostri occhi lo cercano e lo trovano 'tra la paja e du strezz cum d'i occ cier cme e'zil' tra la paglia e due stracci con occhi chiari come il cielo, 'chi m'ha scaldé è cor par sempar',che mi hanno scaldato il cuore per sempre…
E tutto ciò avviene perché Lo si riconosca adesso, come 2011 anni fa, qui e ora, nell'imbrunire di una grande piazza di uno dei nostri paesi, visitato da un evento che si ripete da dieci anni, seguendo un capobanda lieto di nome Massimo Fabbri, e due pastori fieri del proprio gregge come don Luigi e don Enzo che lo consegnano alla benedizione finale del Vescovo mons. Lino Pizzi. E lì, davanti al Bambino che nasce nella piazza grande di Forlì, la mia lavandaia trova finalmente suo marito che canta davanti al presepio, dove il vento gonfia le vesti variopinte come i colori di Vignazia nella chiesa di Coriano. Gli artisti, loro sì, sanno che ciò che rappresentano accade ora, che ciò che è stato rinasce per sempre, che ogni generazione può narrare all'altra le Sue meraviglie. Per questo ha senso questa decima edizione forlivese del presepe vivente ed è possibile venire da Chioggia, per l’antica Romea, a vedere una lavandaia lanciare drappi nel vento azzurro di Forlì.

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