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I giovani e il «fattore B»

Fonte:
CulturaCattolica.it

Potessi, proporrei una Carta dei diritti dei ragazzi. Sì, perché è ora di smetterla di usarli quando c’è bisogno che facciano numero alle manifestazioni in piazza, dando loro l’illusione di essere protagonisti mentre invece vengono trattati come comparse. Ora di smetterla di servirsene per supportare le tesi che fan comodo ad altri. Meritano rispetto, i ragazzi. E qualcuno che li aiuti ad alzare lo sguardo. Qualcuno che testimoni loro speranza per l’oggi e per il domani.
Sfogliando l’ultimo numero de “Il Venerdì”, supplemento di Repubblica, a pagina 74 trovo: “Generazione speciale. Nati e cresciuti nell'Italia del ‘fattore B’ ma anche nell'età dei computer e degli iPhone, della democrazia web e delle incertezze globali. Cosa sognano, come giudicano questi anni e come proveranno a costruirsi un mondo in cui vivere? La parola a un campione di diciottenni”.
Insegno da quasi venticinque anni a questa fascia di età e figuriamoci se non mi interessa sapere “cosa sognano i giovani, come giudicano questi anni e come proveranno a costruirsi un mondo in cui vivere”. Sono cose di cui spesso parliamo, in classe, quindi mi fiondo a leggere il servizio, curiosa, ma bastano poche righe e viene a galla il tranello. Mica tranello per me! Adulta e vaccinata, mi basta davvero poco per capire dove si vuole andare a parare… Tranello per i quattordici ragazzi intervistati, fotografati e… usati dal giornalista Daniele Castellani Perelli, che evidentemente – alla faccia della correttezza e della professionalità – aveva la sua tesi bella e pronta da dimostrare e cosa ha fatto? L’ha messa in bocca a dei diciottenni. In cambio una foto e una colonna di notorietà. Complimenti vivissimi!
E io che – ingenua – mi aspettavo uno studio rigoroso, seppur “a campione”… Io che pensavo di leggere le cose che sento dai miei studenti, e cioè sogni veri, e desideri, e speranza, e gli interrogativi che ad ogni adolescente fanno sussultare il cuore…
Macché. “La parola a un campione di diciottenni” è lasciata affinché rispondano ad una dozzina di domande (per lo più le stesse) non sui sogni, sul presente, su un futuro da costruire, ma… indovinate un po’? Esatto! Il solito ritornello.
“Come definiresti Berlusconi?” “Che cosa hai provato quando si è dimesso?” “Una sua battuta che ti ha fatto ridere.” “La volta che Berlusconi ti ha fatto arrabbiare.” “La volta che ti ha fatto più vergognare?” e via di seguito…
Da insegnante puntigliosa quale sono avrei da discutere, oltre che sul contenuto (del quale discuterò), anche sull’assenza di scientificità di un sondaggio (?) in cui si pongono delle domande retoriche, ma siccome questo è lo stile del gruppo editoriale di cui il periodico fa parte, mi limito a segnalare – diciamo così – la stravaganza dello “stile”.
Anche se non insegno matematica, faccio poi due conti e mi dico che, se tanto mi dà tanto, se in una dozzina di domande poste ad ogni giovane almeno cinque riguardano quello che Il Venerdì chiama ‘fattore B.’, siccome la statistica non è un’opinione, posso proprio mettermela via che dal servizio emergerà quali sono i sogni dei ragazzi e i loro progetti per il futuro.
E’ vero che le domande non si fermano a Berlusconi, perché il giornalista argutamente chiede anche: “Di’ una cosa di sinistra”, “di’ una cosa di destra”, “qual è la tua paghetta”…, ma avessi posto questi quesiti ai miei studenti (anche solo di prima superiore), francamente credo mi avrebbero riso in faccia. Certamente si sarebbero rifiutati di rispondere. Forse avrebbero – e giustamente – raccolto firme per la mia rimozione.
Per fortuna sono abituati, nelle mie classi, a volare alto. Più alto della filastrocca proposta quattordici volte dal giornalista, stile “la bella lavanderina” (“…fai un salto, fanne un altro; fai una giravolta, falla un'altra volta. Guarda in su, guarda in giù: dai un bacio a chi vuoi tu.”)
Ciò che inquieta, in effetti, non è tanto il livello delle risposte: i ragazzi, obbedienti, in fondo si sono limitati a dire la loro su ciò che veniva chiesto! Avvilente è la qualità e la triste monotonia delle domande.
Ipotesi uno: il giornalista non è capace (lui!) di liberarsi dal tormentone Berlusconi nemmeno ora che si è dimesso (ma è un problema suo e della testata per cui lavora se non sanno, ora, di chi e di che parlare!) e non è stato dunque in grado di alzare il livello del ragionamento. (L’avesse fatto; avesse anche solo dato il “la”, ponendo loro domande che potessero davvero provocarli, sono sicura che i ragazzi, quei ragazzi avrebbero potuto stupirci).
Ipotesi due: la solita. Piove? Colpa di Berlusconi. C’è la crisi in Italia, in Europa, nel mondo? Colpa di Berlusconi. I ragazzi sono… quel che sono (anzi: quel che Daniele Castellani Perelli del gruppo editoriale Espresso di loro ci mostra)? Colpa di Berlusconi.
Incerta su quale ipotesi scegliere, opto per entrambe, confortata anche dall’intervento di Dario Cresto-Dina, che, al termine dell’indagine (?) che sembrava sui giovani, ma sui giovani evidentemente (e tanto per cambiare) non era, scrive: “Quando disse ‘gli italiani che votano la sinistra sono dei coglioni’, mio figlio mi domandò: che cosa significa essere comunista? E non: quando vi liberate di Berlusconi? Lui sapeva benissimo chi era Berlusconi. Il Cavaliere era stato, attraverso i suoi genitori, l'interminabile pausa pubblicitaria della sua adolescenza, uno spot interrotto solo a tratti dal film normale della vita. Di comunisti in libera uscita, invece, ne aveva visti pochi. Non volendo spiegargli il cachemire di Bertinotti ormai infeltrito, pensai alla ragazza alta e magra dei miei 17 anni che mi fece conoscere lo spinello e Porci con le ali, al gabbiano senza nemmeno più l'intenzione del volo di Giorgio Gaber e all'intelligenza dolce e malinconica di Berlinguer. Poi gli risposi che non sapevo più nulla, che forse essere stato comunista era un po' come essere stato felice. (…) Affidiamo loro un'Italia immobile dopo un ventennio perduto, un paese tremebondo, povero e all'apparenza senza futuro. Berlusconi è la nostra autobiografia, non la loro.”
Ecco. Partirei da qui e do ragione a Dario Cresto-Dina. Berlusconi è la sua autobiografia e quella di Daniele Castellani Perelli, non dei diciottenni. Se ne facciano una ragione e lascino dunque in pace i giovani; la smettano di usarli come delle marionette nella loro eterna e ridicola battaglia “anti-cav”!
E ci aggiungo una postilla. Ciascuno su Berlusconi pensi quel che crede (non siamo parenti!), ma su una cosa non c’è dubbio: con i ragazzi stanno i loro genitori, i loro insegnanti, gli adulti che hanno intorno. Il capro espiatorio può far comodo, quando c’è bisogno di nascondere delle inadempienze, ma convince solo gli allocchi.
Ad “affidare ai giovani un’Italia immobile” sono i nostalgici anche un po’ patetici del cachemire infeltrito di Bertinotti, dello spinello e di Porci con le ali; i giornalisti che scrivono articoli come quello pubblicato su Il Venerdì della scorsa settimana, fingendo di avere a cuore i sogni e le speranze, il futuro dei ragazzi e che, invece, sono abituati ad usarli come dei burattini.
A rendere immobile l’Italia è chi non guarda la realtà con il desiderio di comprenderla e dunque non pone domande-domande, ma domande retoriche perché ha già pre-confezionata la risposta da appiccicarvi.
A rendere immobile l’Italia sono questi adulti a cui probabilmente fan comodo giovani tristi, nostalgici e sfigati come loro. Non uomini, ma Porci con le ali. Non uomini, ma gabbiani senza nemmeno più l’intenzione del volo…

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