Ministro, non è un bel servizio alla verità e alla chiarezza
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A ondate alterne, specie in periodo di crisi economica, parte il refrain a livello istituzionale e mass mediatico, contro i cosiddetti privilegi della Chiesa cattolica, specie in tema di fisco.
E così è ripartito il ritornello del privilegio sull’esenzione dall’ICI per gli immobili “della Chiesa”.
La strumentalizzazione di questa offensiva è enorme. Eppure essa continua a trovare eco nei giornali e nell’opinione pubblica. Ciò che più lascia interdetti è che – nell’ambito dello stesso mondo cattolico – non sono pochi quelli che gridano al privilegio. Stupisce l’intervista dello stesso ministro per la cooperazione e l’integrazione, Andrea Riccardi, cattolico, che – pur non smentendo il ruolo fondamentale svolto dalla Chiesa mediante le proprie attività di culto e culturali – ha ribadito la necessità anche per la Chiesa di pagare la tassa quando si parla di edifici ad uso commerciale gestiti da enti ecclesiastici, da religiosi o da associazioni cattoliche.
Cosa dovrebbe capire il cittadino dalle parole del ministro, se non che la Chiesa non paga l’ICI per le attività commerciali, mentre tutti gli altri le pagano?
E certo questo non è un bel servizio alla verità e alla chiarezza.
Infatti, anche gli enti ecclesiastici e religiosi sono soggetti al pagamento dell’ICI per le proprie attività commerciali, al pari di tutti gli altri operatori economici.
Invece, l’esenzione dal pagamento dell’ICI è riconosciuta per tutti gli immobili non commerciali nei quali si svolgono attività di particolare rilevanza sociale e non è soltanto la Chiesa cattolica a beneficiarne, o meglio gli enti riferibili al mondo cattolico, ma tutti gli enti non commerciali pubblici e privati, laici e religiosi, anche di altre Chiese, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, onlus, enti non profit, circoli culturali, partiti politici, sindacati, immobili statali e di enti pubblici, purché vi si svolga un’attività di rilevanza sociale (art. 7 del D. Lgs. 504/92).
La Chiesa, le tasse le paga per gli immobili non esenti, ossia destinati ad attività commerciali, ad esempio, librerie, ristoranti, hotel, negozi, case date in affitto. Esattamente come fa ogni altro soggetto giuridico, pubblico o privato. Sia il governo Berlusconi che il governo Prodi hanno chiarito che l’esenzione deve intendersi applicabile se l’attività è esercitata in maniera “non esclusivamente commerciale”. E anche questo vale per tutti.
Allora, l’esenzione dall’ICI non è un privilegio della Chiesa cattolica. Se così fosse, all’esercizio di attività non profit che fanno capo alla Chiesa cattolica dovrebbe essere riconosciuto un qualcosa in più, ossia il mancato pagamento della tassa, che non dovrebbe essere riconosciuto all’analogo esercizio di attività non profit da parte di altri soggetti pubblici o privati che non siano la Chiesa cattolica. Così non né.
Pretendere quindi che la Chiesa cattolica venga costretta a pagare l’ICI per queste attività non commerciali, significa determinare una disparità all’incontrario. Tutte le attività socialmente rilevanti sarebbero escluse dal pagamento dell’ICI… tranne quelle della Chiesa cattolica!
Ora, tutto si può fare. Anche assoggettare a ICI le sole attività socialmente rilevanti gestite da enti ecclesiastici o da religiosi. Ma, per favore, non si parli di privilegio della Chiesa. Soprattutto non se ne parli all’interno dello stesso mondo cattolico.
Altrimenti, magari in buona fede, si rischia di fare il gioco di coloro che vorrebbero la Chiesa solo come entità spirituale non inserita nella realtà sociale e nelle sue regole, anche di rispetto delle leggi; o viceversa di coloro che vorrebbero la Chiesa impegnata solo sul fronte sociale, e che vorrebbero eliminare la Chiesa, come istituzione rappresentativa dell’espressione della religiosità umana, dall’ambito sociale.