L’insonne popolo del “Rorate”
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Un popolo insonne e sommesso arriva alla chiesa dei Filippini alla spicciolata mentre la città è un bastimento scintillante tra le brine della laguna di un inverno ormai scoccato. Sono appena le sei, è ancora notte fonda là sul Canal Vena e i primi ambulanti trascinano i loro carri sulle rive per la clodiense Vucciria. Padre Giacomo si premura di offrire a ciascuno la luce di un lumino ardente, ma la luce vera proviene dall’altare, da quella Donna dell’Avvento biancovestita che ci aspetta. Non ci si saluta arrivando, quasi non ci si vede, ma la chiesa si popola più della messa grande della domenica. Ciascuno è solo con la fiammella che arde al ritmo del cuore. Il popolo del rorate è un popolo antico e moderno. Nella penombra ciascuno cerca volti familiari: quello di nonna Norma col suo scialle nero, quello di nonno Egidio prima del lavoro allo squero che cominciava pure all’alba, quello di papà Michele fanciullo che qualche turibolata deve pur averla tirata anche da quell’altare tra i preti santi di cui abbiamo ancora traccia di memoria, o quello di mamma Amelia ragazza, incorniciato da una berrettina di lana. Il popolo del rorate ha i volti nuovi dei ragazzi di oggi: ma dove è spuntata la decisione di lasciare il letto caldo delle ultime ore di sonno per immergersi nel pungente freddo della prima luminosa mattina di dicembre? Il popolo del rorate ha il volto degli amici di una vita: Paolo che vedo ogni anno solo per il rorate ma è come se ci vedessimo tutto l’anno, Davide, Sauro e Rita, Ivonella, Marilena e Sandro, Nenni e Jolanda, Marino. E che dire della fedeltà di Don Umberto Pavan che mostra che lo stupore non ha età…
Le mani si scaldano con la cera che fonde mentre il caldo ventre di Maria annunciata fa sussultare quello della cugina Elisabetta. Il popolo del rorate non ha fretta, sa che l’attesa durerà ancora alcune settimane, ma l’appuntamento del giovedì anticiperà la gioia. Don Alfonso commenta il lungo elenco di nomi, quell’apnea genealogica di generò-generò-generò che dice che il figlio dell’uomo-figlio di Dio, ha scelto di entrare nella nostra storia di nomi, di volti, di carne. Il prete ci strega tutti come bambini con l’apocrifo, quasi una favola, della vecchia Eva che va a trovare Gesù e gli dona la mela frutto del peccato e se ne va via ringiovanita.
Il sole fulgido comincia a rischiarare la chiesa e scioglie il primo ghiaccio di dicembre, il popolo del rorate depone il lumino ancora ardente sugli altari per onorare la presenza dei suoi santi prima di affollare le pasticcerie del corso che si animano per l’incipiente mercato del giovedì. Alcuni nonni corrono al loro turno con i nipoti.
Il popolo del rorate si mescola tra l’altra gente, ma mantiene tra le mani la fiamma ardente di “un’attesa profonda che solo la venuta di Dio può colmare”.