Il matrimonio non è... una «palla al piede»
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Da molti anni, a scuola, ho l’occasione di esporre ai ragazzi delle superiori, la concezione cristiana della famiglia fondata sul matrimonio cristiano, attraverso la lettura e lo studio della Lettera Enciclica Humanae Vitae. S.S. Paolo VI nella bufera culturale, sociale, politica e religiosa del 1968, che aveva propugnato ideologicamente anche la demolizione dell’istituto della famiglia, tradizionalmente intesa, aveva preso posizione e aveva tracciato le coordinate all’interno delle quali si dovevano collocare le caratteristiche dell’amore umano ed il compito della famiglia cristiana. Proporre la lettura di questi contenuti e discuterne con i ragazzi in classe mi ha permesso di accorgermi che molti di loro non conoscevano la reale concezione cristiana della famiglia, e soprattutto, non ne avevano fatto esperienza. In tanti cominciavano, invece, a mettere in discussione l’identità stessa della famiglia fondata sul matrimonio e la loro mentalità rivelava già le prime tracce di quell’ individualismo che avrebbe portato, in seguito, un’intera generazione a rapportarsi alla realtà secondo il criterio dell’istintivismo e del ricavo del massimo benessere individuale. Oggi la realtà culturale e sociale che contraddistingue la nostra società è nettamente peggiorata e politici, sociologi e psicologi propongono diverse interpretazioni della famiglia, come le coppie di fatto, le coppie di persone omosessuali e i single. Il matrimonio cristiano, poi, disconosciuto persino da tanti “cristiani” nella sua realtà autentica, è considerato da molti giovani semplicemente come una “palla al piede”. In realtà le giovani generazioni, spesso non si fidano né di sé stessi né degli altri e tendono spesso, per questa ragione, a preferire la convivenza al matrimonio. A volte, cercando di immedesimarmi in loro, mi sembra di capire le ragioni della loro diffidenza: essi vedono davanti a sé un mondo dove l’individualismo ha raggiunto la sua massima espressione nei rapporti interpersonali, dove le persone sono costrette a non fidarsi mai del tutto, le une delle altre… dove si potrebbe trovare la forza per prendersi degli impegni, delle responsabilità, come si potrebbero sostenere delle promesse o fare “investimenti” affettivi sul lungo periodo? Mi sembra di vederli in faccia quando dicono:“…ma chi me lo fa fare?”. Ma questo modo di intendere le cose, non rende né spensierati, né felici e non è bello vedere i ragazzi, disorientati, confusi, per non dire, già cinici… con il sorriso sulle labbra! Eppure, in questo inferno, ci sono migliaia di famiglie che tutti i giorni affrontano la loro vita matrimoniale e la sfida educativa dei loro figli, con generosità e coraggio, perché ne conoscono il valore e lo scopo, ne conoscono la bellezza ed il destino e hanno imparato che la famiglia è un compito che “va considerato, al di là delle prospettive parziali - siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico - nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna”. Questa affascinante avventura, perciò, non è fatta per essere affrontata da soli, a due a due. Essa rivela la sua vera natura “quando è considerata nella sua sorgente suprema, Dio, che è “Amore” e che è il Padre da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome”. Essa è destinata, perciò, a diventare amicizia e condivisione sostenuta dalla certezza che Cristo è una Presenza su cui si può contare e che si fa presente attraverso la compagnia di quelli che Egli ci accosta nella vita come Suoi testimoni. La speranza cristiana non è un’illusione: l’oggetto dell’illusione è qualcosa che non esiste ancora, Cristo invece c’è già, e della Sua Presenza fanno esperienza coloro che lo seguono.